"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

25 dicembre 2006

L'unica Chiesa Anglicana in Iraq: ieri ed oggi


Un pomeriggio decidemmo di andare a visitare un’esposizione di libri presso il Melia Mansour, uno degli alberghi di Baghdad dove era più facile incontrare i pochi occidentali che visitavano la città, specialmente in quella seconda metà di settembre del 2001, a così pochi giorni dai fatti di New York. Dopo aver visitato la mostra, contenuta nelle dimensioni ma dignitosisssima, considerando quanto l’embargo avesse influito anche sulla produzione letteraria interna e l’importazione dall’estero, ci incamminammo lungo Haifa Street alla ricerca di una macchina che ci riportasse al nostro albergo. Attraversando il grande corso, però, notammo, tra gli imponenti ed “infotografabili” edifici del Ministero delle Comunicazioni e quello della TV nazionale, una piccola costruzione all’interno di un giardino. Una chiesa, fu chiaro mentre, varcato il cancello, ci avvicinavamo.
Ma che chiesa?

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La presenza di diverse confessioni cristiane aveva sempre reso una sorpresa scoprire l’appartenenza dei luoghi. Una croce bianca ornava la parete di mattoni crudi. L’edificio pareva chiuso e vuoto ma, mentre ci aggiravamo per il giardino si fece avanti un uomo non molto alto, con gli immancabili baffi “alla Saddam” e la pelle scura dal sole, forse quello che prendeva curando la sua piccola oasi di verde. In un misto di poco inglese (lui) e poco arabo (noi) riuscimmo a capire che il sacerdote della chiesa in quel momento non c’era e che la stessa era una chiesa anglicana. L’uomo che ci fece accomodare nel suo semplice salotto, ci offrì l’immancabile bicchiere d’acqua gelata e ci presentò la sua famiglia, si chiama John ed è ancora il sacrestano della Memorial Church of San George of Mesopotamia, l’unica chiesa anglicana del paese.
La chiesa, dipendente dalla Diocesi di Cipro e del Golfo guidata dal Reverendissimo Clive Handford che ha sede episcopale a Cipro, nacque nel 1936 per onorare la memoria dei soldati britannici che avevano perso la vita in Mesopotamia durante la Prima Guerra Mondiale.
Divenuta chiesa di riferimento per la comunità anglicana che in Iraq visse, prima grazie al mandato che la Gran Bretagna aveva sul paese, e poi allo sviluppo tecnologico bisognoso del knowhow straniero, con l’inizio della guerra contro l’Iran nel 1980 essa vide sparire la sua comunità straniera e divenne punto di riferimento per i pochi fedeli iracheni. Chiusa dopo la Guerra del Golfo del 1991 le sue funzioni ripresero nel 1988 quando al canonico Andrew White fu concesso dal governo di riprendere servizio.
Dopo l’invasione del paese del 2003 la presenza di soldati e personale di lingua inglese e di fede anglicana resero la chiesa nuovamente vivace, ma il progressivo ritiro degli stranieri nell'area più intena della zona verde di sicurezza l’ha poi di nuovo svuotata.
Nel settembre 2005 la piccola comunità anglicana subì un altro brutto colpo: 5 persone, tra cui il pastore Maher Dakel scomparvero per non essere mai più ritrovati. Di ritorno dalla Giordania stavano transitando in una delle zone più calde del paese, la strada che da Ramadi porta a Fallujia.
La gestione dell’edificio di culto è ora affidata ad un laico, Abu Firas, mentre quella dei fedeli al canonico Andrew White, un quarantenne molto attivo fondatore della Foundation for Relief and Reconciliation in the Middle East, il cui scopo generale è fornire una base di incontro per quei religiosi moderati che vogliano trovare la via della pace. Nel giorno di Pasqua del 2006 è stata istituita la Mothers’ Union, l’unione cioè delle donne della parrocchia e, nonostante le difficoltà, la comunità sta resistendo, conscia anche di non avere, a differenza delle altre confessioni cristiane in Iraq, nessun altro edificio di culto proprio e che, di conseguenza, una sua eventuale chiusura significherebbe la definitiva dispersione di una comunità già minuscola.