Fonte: RADIO VATICANA
Leggiamo le dichiarazioni del Nunzio Apostolico in Iraq, Monsignor Francis Chullikat, sulla situazione nel paese, la libertà religiosa e l'eventuale ritiro delle truppe di occupazione straniere.
Nessuna dichiarazione sulla condanna a morte di Saddam Hussein e sulla sua esecuzione, non ancora avvenuta al momento dell'intervista, ma solo alle 5.55 del mattino del 30 dicembre, ora di Baghdad.
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Intervista al Nunzio in Iraq Mons. Chullikat sulla drammatica situazione nel Paese e sulla condanna a morte di Saddam Hussein
Radio Vaticana 29/12/2006 13.31.46
Polemiche in Iraq e nel mondo sulla condanna a morte di Saddam Hussein. La sentenza “non sarà rivista” e l’esecuzione “non sarà rinviata” e “nessuno può opporsi”, ha dichiarato oggi il primo ministro iracheno Nouri al Maliki, mentre il ministero della Giustizia ha smentito di aver preso in custodia dagli americani l’ex presidente – cosi come era stato annunciato stamani dai suoi avvocati – aggiungendo che non sarà giustiziato prima di un mese. Ma ad opporsi alla condanna è l’Unione Europea: “Quella sentenza non dovrebbe essere applicata” ha dichiarato oggi a Bruxelles il ministro degli esteri finlandese Erkki Tuomioja, presidente di turno del Consiglio UE. Riguardo il tema della pena capitale alcuni vescovi iracheni ricordano la sacralità e il valore della vita di ogni uomo. Luca Collodi, ha intervistato mons. Francis Assisi Chullikatt, nunzio apostolico a Baghdad.
Alcuni vescovi sono intervenuti sull’argomento e per loro la questione dovrebbe essere trattata secondo l’insegnamento della Chiesa. La Chiesa ha sempre difeso la vita e il rispetto della vita viene difeso dai vescovi locali.
Mons. Chullikatt, più volte, in questo tempo di Natale, il Papa si è detto preoccupato per la situazione in Iraq...
"Il Santo Padre è preoccupato per tutte le questioni che la Chiesa in Iraq deve affrontare. Nel suo messaggio natalizio il Santo Padre ha menzionato in modo esplicito la questione irachena. Quindi, qui è stata recepita molto bene questa sollecitudine espressa dal Santo Padre. Credo che questa sollecitudine sia stata apprezzata anche a livello governativo. In più, nel messaggio a tutti i cattolici del Medio Oriente, il Papa tocca un punto molto importante sulla questione dell’esodo silenzioso dei cristiani dalla Palestina, ma specialmente qui dall’Iraq. Si crede, almeno secondo un calcolo recente che è stato fatto, che quasi oltre il 40 per cento di quanti emigrano dal Paese siano cristiani. La maggior parte vanno in Siria, altri in Giordania, in Libano e parecchi nei Paesi occidentali. Quindi, questo esodo silenzioso dei cristiani è una questione che preoccupa non solo il Santo Padre, ma anche la Chiesa locale. Stanno cercando di convincere i cristiani a rimanere nel Paese e a dare questa testimonianza viva e diretta, come il Papa stesso chiede ai cristiani del Medio Oriente, così che la Chiesa possa sempre avere una presenza viva anche in Iraq."
Mons. Chullikatt, sul fronte della libertà religiosa c’è qualche passo in avanti?R. – "Questo è un tema che viene continuamente dibattuto anche nel contesto della nuova Costituzione. Stanno rivedendo alcuni articoli, tra i quali anche questo della libertà religiosa. Si spera, quindi, che ci sia una riaffermazione nella Costituzione, perché - come lei sa – attualmente non è facile esercitare questa libertà religiosa, che è garantita costituzionalmente. Ma nel testo stesso della Costituzione ci sono tanti equivoci. Si spera, quindi, che la libertà religiosa venga enunciata in modo più chiaro, dopo l’emendamento della Costituzione. Da parte sua la Chiesa farà tutto il possibile. Credo che tutto questo debba essere impostato a livello della riconciliazione nazionale, perchè i diritti delle minoranze vengano rispettati e riconosciuti a livello nazionale."
Il futuro ritiro delle truppe militari dall’Iraq può facilitare il ritorno all’unità del Paese?
"Il ritiro delle truppe – come si è detto varie volte – dovrebbe essere concordato con il governo iracheno. Un ritiro delle truppe immediate non credo che porti frutti positivi per il governo iracheno, per come stanno ora le cose."