Fonte: The Guardian
Mentre il Papa cerca di costruire ponti con la Turchia la precaria situazione dei cristiani iracheni peggiora.
Jonathan Steele, Mosul
Giovedì 30 Novembre 2006
Qualsiasi ripercussione abbiano avuto gli incendiari commenti di Benedetto XVI nei confronti dell’Islam e del profeta Maometto per la sua immagine in Turchia, essi sono stati devastanti in Iraq.
La piccola comunità cristiana ora vive nella paura dopo le minacce degli estremisti di uccidere tutti i cristiani a meno che il Papa non avesse porto le sue scuse. Le chiese hanno cancellato le funzioni e le riunioni dei fedeli si sono ridotte perché la gente non esce di casa.
Secondo l’ultimo rapporto bimestrale sui diritti umani della missione delle Nazioni Unite in Iraq, alcune chiese a Baghdad hanno affisso dei cartelli per dissociarsi dalla citazione fatta dal Papa a settembre di un imperatore bizantino medioevale che aveva affermato che l’Islam non aveva portato alcun bene al mondo.
Clicca su "leggi tutto" per leggere il resto dell'articolo
Le più antiche chiese cristiane irachene si trovano a Mosul, costruite vicine l’una all’altra nella città vecchia su una collina sul Tigri. Esse hanno sopportato le reazioni più violente. Alcuni razzi sono stati sparati verso la chiesa caldea dello Spirito Santo ed una bomba è stata piazzata presso la sua porta principale. Spari sono stati diretti verso un convento di suore domenicane e la chiesa di Al-Safena.
Paolos Eskander, un sacerdote siro ortodosso, è stato sequestrato all’inizio di ottobre, ed alla sua chiesa è stato chiesto di affiggere dei cartelli di dissociazione dalle parole del Papa, così come un riscatto.
Sebbene la chiesa abbia prontamente acconsentito alla prima richiesta, due giorni dopo il sequestro è stato ritrovato il corpo decapitato del sacerdote con evidenti segni di tortura, e prima che il riscatto fosse pagato.
I cristiani del nord dell’Iraq erano sotto pressione già prima dei mal interpretati commenti papali. Migliaia di loro sono fuggiti negli ultimi mesi verso la Siria o verso la regione autonoma del Kurdistan, a nord. Ogni città o villaggio cristiano nella Piana di Ninive ad est di Mosul ora ha guardie armate.
“Rispondono a me” ha dichiarato Sarkis Aghajan, assiro e maggior leader politico cristiano nel nord. Da Irbil, Aghajan lavora anche come uno dei due ministri delle finanze del governo regionale curdo. “Nessuno, né curdo né arabo, può vietarci di creare una tale forza, neanche gli americani. Quando ci uccidevano e decapitavano nessuno ci ha protetto.”
Gli assiri si considerano come gli abitanti originari dell’Iraq. I loro avi costruirono Ninive, Babilonia e le altre grandi città della Mesopotamia. Essi furono anche i primi dell’area a convertirsi alla cristianità e la loro lingua, anche oggi, è l’aramaico.
L’ultima ondata di persecuzione segue un percorso già noto. “Siamo stati massacrati per duemila anni. Ci hanno sempre accusati di essere agenti dell’occidente” afferma Aghajan. L’attuale tentativo di espellerli da Mosul non è altro che il quinto in meno di un secolo, aggiunge.
Le forze armate irachene distrussero molti villaggi cristiani nel Kurdistan nel 1933, costringendo migliaia di persone a fuggire verso la Siria. La guerra di Baghdad contro i curdi significò tre ondate di violenza culminate nella famosa campagna di Anfal per la quale Saddam Hussein è ora sotto processo a Baghdad.
Questa volta, dice Aghajan, i cristiani non si faranno cacciare. Riferendosi alle guardie armate che le sue chiese hanno reclutato – Aghajan non ama il termine milizie – egli dice: “Ci siamo e ci resteremo.”
Le sue coraggiose parole arrivano però tardi. La comunità cristiana irachena contava 1.800.000 persone nel 1980, all’inizio della guerra contro l’Iran. Nell’aprile del 2003, quando l’invasione a guida USA ha rovesciato Saddam Hussein era scesa, secondo Aghajan, a 800.000 persone. Da allora la mancanza di leggi, le autobomba, ed il conflitto settario l’hanno ridotta a 500.000 persone delle quali 250.000 vivono a Baghdad.
I cristiani gestivano di solito le rivendite di alcolici, ma a Bassora ed in altre città sciite del sud, così come nei sobborghi sciiti della capitale dove i partiti islamici sono forti, sono stati costretti a chiudere i negozi. Molti cristiani lavoravano nelle basi americane come personale addetto alle pulizie o alle lavanderie perché gli americani percepivano i non musulmani come meno rischiosi, ma questo ne fece bersagli degli insorti che li consideravano “collaboratori.”
Come i cristiani di Mosul molti di quelli di Baghdad sono fuggiti nel Kurdistan. Nella chiesa di Saint Joseph ad Irbil, piena di fedeli alla funzione settimanale del venerdì pomeriggio, poche famiglie hanno voglia di parlare e si defilano quando ci si presenta come giornalisti. Un venditore di auto di Mosul che ora gestisce un piccolo negozio di abbigliamento vicino alla chiesa ha accettato di parlare mantenendo l’anonimato. “Abbiamo lasciato la nostra casa di corsa e non abbiamo portato via neanche un mobile. Una bomba era esplosa proprio fuori di casa.” Un fatto successo poco prima dei famosi commenti del Papa. Ora l’uomo è felice di avere lasciato Mosul in tempo
Tradotto ed adattato da Baghdadhope