"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

30 settembre 2016

Intervento del cardinale Parolin sulla situazione in Siria e Iraq. La priorità è fermare la violenza

By L'Osservatore Romano in Il Sismografo blogspot

Mettere fine alle violenze e fermare una volta per tutte le armi in Siria e Iraq, per poter aiutare le popolazioni che sono allo stremo a causa di un conflitto devastante e prolungato: ecco la priorità assoluta della Santa Sede espressa dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin che, giovedì 29 settembre, è intervenuto alla quinta riunione di coordinamento per gli organismi caritativi cattolici impegnati in quelle regioni insieme alle Chiese locali. Ad aprire il tavolo di lavoro, organizzato dal Pontificio Consiglio Cor Unum, era stato il Papa, ricevendo tutti i partecipanti, a cominciare da Staffan de Mistura, inviato speciale del segretario generale dell’Onu per la Siria.
Rilanciando le parole del Pontefice, e ricordando il grande impegno in prima linea delle entità ecclesiali in Siria e Iraq, il porporato ha presentato un’analisi del conflitto e ha indicato le priorità della Santa Sede. In questi anni, ha affermato, «è mancata la volontà politica non tanto di affrontare il problema quanto di risolverlo; non è invece mancata la volontà di far sentire la voce delle armi». E «se il conflitto attuale nella regione è nato come una crisi politica in Siria, con il passare del tempo ha assunto altre connotazioni».
Di fatto «la persecuzione dei cristiani e di altre minoranze religiose è uno dei molti fenomeni gravi legati alla creazione del cosiddetto califfato, che ha esteso le ramificazioni ad altri paesi della regione». Tutto ciò «viene da una visione fondamentalista della religione, che è inaccettabile». Il cardinale ha denunciato anche che «un altro fattore problematico legato a questa crisi riguarda il flusso migratorio e i rifugiati».
Una questione, ha auspicato, da affrontare «in modo non ideologico, tenendo presente sia il momento contingente dell’urgenza sia quello, a più lungo termine, di un eventuale ritorno o di un’integrazione». Ma la prima cosa da fare in Siria e Iraq, ha detto il segretario di Stato, «è porre fine alla violenza: la comunità internazionale, al di là dei cessate-il-fuoco temporanei, che sono indubbiamente utili, deve continuare a ricercare il dialogo e il negoziato, in vista di una soluzione a questa crisi». «La Santa Sede — ha spiegato — ribadisce che, di fronte a un conflitto così complesso, non ci possono essere soluzioni militari ma solo soluzioni politiche.
Ciò significa che bisogna attenersi saldamente a due principi di base: il rilancio di un percorso di dialogo e di riconciliazione e la salvaguardia dell’unità nazionale dei paesi interessati, evitando divisioni su base sociale, religiosa o etnica». Per il cardinale, inoltre, «si deve garantire che nella nuova Siria e nel nuovo Iraq ci sia uno spazio per tutti, anche per le minoranze etniche e religiose». Del resto «la soluzione ai conflitti in Medio oriente esige il rispetto dei diritti delle minoranze e del loro apporto specifico nella costruzione della società, il rispetto della libertà religiosa e la disponibilità a rinunciare a qualcosa di personale per edificare il bene comune».
«Una questione estremamente delicata — ha affermato — è la presenza sul territorio di gruppi terroristici, con i quali probabilmente non è possibile giungere a una soluzione negoziata». In proposito la Santa Sede ribadisce «l’iniquità del commercio delle armi che permettono a questi gruppi di proseguire la loro azione». In ogni caso, «la soluzione al problema del terrorismo deve essere il frutto di una concertazione» nell’ambito dell’Onu. Nel rivolgere un particolare pensiero alle comunità cristiane, il segretario di Stato ha chiesto infine che venga garantito «l’accesso agli aiuti umanitari nella zona di conflitto» pensando all’assistenza materiale e spirituale, al sostegno della famiglia e all’educazione.