Con una mossa "politicamente scorretta" l'Arcivescovo di Canterbury, Rowan Willimas, in visita nei giorni scorsi nella Terra Santa con una delegazione di altri prelati britannici, ha accusato i governi inglesi ed americani di avere causato, con una politica “miope” ed “incompetente” il peggioramento della situazione dei cristiani in Iraq. Preoccupato della sorte dei cristiani in Medio Oriente in generale, l’Arcivescovo di Canterbury ha incentrato la sua attenzione sull’Iraq, senza dubbio il paese che...
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Le parole dell’Arcivescovo di Canterbury sono state riprese da un testimone diretto della situazione che i cristiani stanno vivendo: Andrew White, canonico e vicario anglicano della chiesa di Saint George a Baghdad. “I collaboratori della mia chiesa sono stati uccisi” ha dichiarato il reverendo riferendosi alle cinque persone, tra le quali il pastore Rev. Maher Dakel, scomparse nel settembre 2005 sulla strada che va da Ramadi a Falluja che stavano percorrendo di ritorno dalla Giordania. Per quanto riguarda gli altri fedeli molti sono stati minacciati, e molti hanno ricevuto delle lettere minatorie contenenti delle pallottole, un chiaro avvertimento sulla sorte che aspetta loro nel caso si ostinino a rimanere nelle zone di Baghdad, ma anche del resto del paese, dove ormai negare che la “pulizia religiosa” sia in atto è solo un atto di cortesia politica verso i governi occupanti che, pur essendo stati avvertiti, hanno ignorato il pericolo che le loro azioni avrebbero creato alla minoranza cristiana.
Che il contesto in cui questa minoranza sta cercando di sopravvivere sia tragico è testimoniato dallo stesso tipo avvertimento ricevuto da famiglie cristiane di Mosul: "Andate via, crociati, o vi taglieremo la testa."
A Mosul quindi si sta affermando sempre più un sentimento anti-cristiano. Ai (pochi) fautori della convivenza islamo-cristiana, costretti a tener un basso profilo pena l’essere accomunati agli infedeli autoctoni e stranieri, si oppongono coloro come Al Jibouri che ufficialmente “invitano” i cristiani ad emigrare e che lasciano il lavoro sporco di rendere questo invito più pressante ed efficace ai gruppi armati che spadroneggiano in città, come le Brigate dei Leoni della Giustizia, responsabili, secondo il sacerdote caldeo Raghid Kanni, delle lettere minatorie.
Nonostante queste testimonianze, però, le parole di accusa dell’Arcivescovo di Canterbury sono state respinte dal Ministero degli Esteri britannico un cui portavoce ha dichiarato: “Non siamo d’accordo con la sua visione del problema. Non pensiamo che sia la nostra politica in Iraq la causa della sofferenza dei cristiani”
La colpa è se mai, continua la dichiarazione del Ministero, degli estremisti che vogliono causare dolore, sofferenza e caos per imporre un tipo di società modellata sul loro stile di vita anche a coloro che hanno chiaramente espresso con il voto il proprio desiderio di democrazia. La violenza, inoltre, colpisce indiscriminatamente tutte le componenti etniche e religiose del paese, continua il portavoce, e l’unico modo per venirne fuori è sostenere il governo democraticamente eletto perché possa creare una società in cui i diritti dei cristiani siano garantiti, tutto l’opposto della società desiderata da coloro che invece impongono la legge della violenza.
Sebbene, se considerate le diverse posizioni, ambedue le affermazioni siano a loro modo giuste: la guerra e la dissennata gestione del periodo post-bellico da parte degli americani ha certamente suscitato rancore nella popolazione musulmana che ha trovato facile bersaglio della sua rabbia nella piccola ed inerme comunità cristiana; la gestione degli attacchi ai cristiani è interna e funzionale alla politica di chi vuole istituire uno stato islamico, sunnita o sciita che sia, e che vuole eliminare le componenti “altre,” il problema non è ormai trovare il colpevole di questa situazione, ma una soluzione ad essa.
Ovviamente anche questo è difficile. Se Williams promette di portare, attraverso le chiese britanniche, la situazione dei cristiani iracheni all’attenzione di chi ancora nel mondo non la conosce, i cristiani del paese, sono le parole del Reverendo White, non vogliono enfatizzare la propria situazione per timore di un aggravamento delle violenze.
In questo senso nulla per loro è cambiato dal periodo del regime di Saddam Hussein.
Ciò che non è cambiato è che, allora come oggi, i cristiani sono costretti a subire le vessazioni cui sono sottoposti minimizzandole o negando la loro specificità dietro generiche parole di “violenze indiscriminate.” Certo a soffrire non sono solo i cristiani, ma chi, basandosi sui numeri, fa notare che sono più le moschee che le chiese attaccate, che muoiono per le strade più musulmani che cristiani, dovrebbe, proprio in virtù degli stessi numeri, ammettere che è solo la sproporzione esistente tra popolazione cristiana e musulmana (3 e 97% rispettivamente prima della guerra del 2003 e la successiva emigrazione di cristiani) a giustificare quella differenza. E dovrebbe inoltre ammettere che le violenze sui cristiani sono ingiustificate non rappresentando essi nessun pericolo né militare né politico, avendo essi l’unica chance di rimanere nel proprio paese come cittadini di seconda classe laddove si dovesse imporre un regime islamico sunnita o sciita che sia.
Come al solito, come prima, quindi, i cristiani tendono pubblicamente a negare le proprie sofferenze. Se, al tempo di Saddam, avessero pubblicizzato i decreti ad essi sfavorevoli la repressione del regime sarebbe arrivata molto prima e molto più efficacemente di ogni eventuale aiuto dall’esterno che, invece, ne avrebbe peggiorato la situazione. Se, adesso, alzassero il tiro delle accuse verso chi ne fa bersaglio della propria violenza nessuno, né le chiese britanniche tutte, né le truppe di occupazione, li salverebbe da una risposta ancora peggiore.
“Contenere i danni” sembra quindi la politica dei cristiani in Iraq, proporre – come sempre fa la più debole delle parti – il dialogo alle forze che, di volta in volta, sembrano garantire loro protezione: americani, sciiti, sunniti, curdi. Questa è la loro linea di azione. Che sia giusta o meno lo dirà la storia. Per adesso sembra essere l’unica possibile, ed è per questo che ieri sera, vigilia di Natale, le chiese di Baghdad sono rimaste buie e vuote ed una, o al massimo due funzioni, stamani ricorderanno ai fedeli che questo avrebbe dovuto essere il giorno più bello dell’anno.
Avrebbe dovuto.
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