By Asia News
Ai cristiani irakeni dico di sfruttare questo tempo per “approfondire la vocazione, pregare, riflettere sulla chiamata al sacerdozio, alla vita consacrata anche per i laici”. Perché la forza della Chiesa “dipende in gran parte da questo”. È quanto afferma ad AsiaNews il patriarca caldeo, card Louis Raphael Sako, commentando l’apertura del Mese missionario straordinario, in cui papa Francesco invita a “uscire da se stessi, farsi dono”. “È necessario - esorta il porporato - pensare e nutrire questa vocazione, cominciando a discuterne all’interno delle famiglie: parlare del sacerdozio, della vita in monastero, perché senza preti, suore, missionari com’è possibile andare avanti?”.
Ai cristiani irakeni dico di sfruttare questo tempo per “approfondire la vocazione, pregare, riflettere sulla chiamata al sacerdozio, alla vita consacrata anche per i laici”. Perché la forza della Chiesa “dipende in gran parte da questo”. È quanto afferma ad AsiaNews il patriarca caldeo, card Louis Raphael Sako, commentando l’apertura del Mese missionario straordinario, in cui papa Francesco invita a “uscire da se stessi, farsi dono”. “È necessario - esorta il porporato - pensare e nutrire questa vocazione, cominciando a discuterne all’interno delle famiglie: parlare del sacerdozio, della vita in monastero, perché senza preti, suore, missionari com’è possibile andare avanti?”.
A 100 anni dalla promulgazione della Lettera apostolica Maximum Illud
di Benedetto XV, all’indomani della Prima guerra mondiale per dare un
“nuovo impulso alla missione”, papa Francesco ha voluto rilanciare il
compito missionario della Chiesa e di ogni cristiano. Per il pontefice
argentino questo periodo vuole essere anche “una scossa per provocarci a
diventare attivi nel bene. Non notai della fede e guardiani della
grazia, ma missionari”.
Il primo ottobre “in comunione con il papa abbiamo inaugurato il mese
alla presenza di 200 fedeli”. Molti, sottolinea il card Sako, “non
hanno potuto partecipare per la chiusura delle strade, a causa delle manifestazioni”
contro corruzione e disoccupazione che hanno provocato in due giorni
almeno sette morti e 400 feriti; in queste ore il premier Adel Abdul
Mahdi ha imposto il coprifuoco fino a nuovo ordine. Il messaggio che
vogliamo lanciare, aggiunge, è che “ciascuno di noi è discepolo di
Cristo e anche apostolo, inviato per dare l’annuncio della Buona
Novella”.
Nella particolare realtà irakena è importante evidenziare l’elemento
della “gioia” che è presente nel Vangelo, applicarne dettami e valori
“nella condotta, nei rapporti con gli altri” anche e soprattutto “con i
nostri fratelli musulmani che aspettano una testimonianza diversa” per
loro. Fare questo, riflette, “tocca a noi e non dobbiamo essere timidi
nell’affermare la nostra fede cristiana, anche nelle liturgie che sono
segno del nostro amore per Cristo. Non solo parole, ma vera
testimonianza”.
I cristiani caldei vivono ogni giorno in un contesto di “sfide”,
partendo dal fondamentalismo islamico che non lesina l’utilizzo della
violenza. “Tutta la nostra storia - sottolinea - è così, i nostri padri
hanno resistito senza perdere la fede o la speranza. Anche noi dobbiamo
farlo”. Un’altra sfida è la “secolarizzazione” che guarda solo
all’economia, al denaro e che “vuole svuotare la società dai valori
cristiani”. Per questo anche noi, qui, abbiamo “una missione” che è
“testimoniare con i gesti, con le opere: quello che colpisce dei
cristiani, anche e soprattutto dove sono minoranza, è la loro carità, il
loro essere onesti, non solo a parole ma nella vita quotidiana, nella
famiglia”.
I musulmani, sottolinea il primate caldeo, sono colpiti da questo
amore, da questa apertura, dal fatto che “il Vangelo non è un dogma
chiuso. La Chiesa cambia, è in cammino e deve uscire come ha fatto la
barca di Pietro; non deve essere rigida, ma saper leggere i segni del
tempo”. E in questo contesto i laici ricoprono un ruolo fondamentale in
quanto “membri attivi” e la Chiesa caldea ha voluto sottolinearlo
“accogliendoli nel Sinodo”
e rendendoli partecipi del lavoro, delle decisioni. “Quando il papa
dice che noi battezzati siamo missionari - afferma il porporato - non
parla del clero, ma di ogni cristiano, ciascuno di noi è chiamato a
essere missionario”.
Al patriarca caldeo chiediamo infine se l’Iraq ha bisogno di
missionari stranieri: “Già noi, qui, siamo missionari - risponde -
perché abbiamo bisogno di tutti, anche di preti dall’estero. Abbiamo
nuove suore indiane malabaresi, due preti anch’essi dall’India che
lavorano nelle parrocchie a Baghdad, ma serve il sostegno di tutta la
Chiesa universale. Questo cammino - conclude - è uno scambio che
arricchisce. Abbiamo bisogno anche istituti, scuole, ospedali, centri
giovanili... le risorse sono limitate e tanti ne abbiamo dovuti inviare
all’estero per le comunità della diaspora”.