By Asia News
Foto Patriarcato Caldeo |
“Sono rimasto molto colpito da questi giovani, sono tanti, che ho
incontrato in ospedale. Sono ragazzi di soli 16, 17 anni; alcuni di 20,
erano lì con le loro famiglie nelle manifestazioni, quando sono rimasti
feriti, alcuni dei quali in modo grave”. Lo racconta ad AsiaNews
il patriarca caldeo, card Louis Raphael Sako, che ha visitato questa
mattina un ospedale della capitale dove sono stati ricoverati parte
delle (centinaia) di feriti delle proteste
anti-governative. “Fra di essi vi sono alcuni cristiani, ma la maggior
parte di loro - aggiunge il porporato - sono musulmani e sono stati
felici di incontrarmi. Mi hanno ringraziato per la visita”.
Il nosocomio sorge in una zona diversa della capitale, lontano dal
patriarcato. Il card Sako, rischiando di rimanere egli stesso coinvolto
negli scontri, ha voluto visitare di persona i giovani colpiti nelle
proteste del fine settimana, dove si sono registrate almeno 74 vittime
in un crescendo di violenze che hanno interrotto una tregua in atto da
due settimane. Il bilancio complessivo dei morti dal primo ottobre “è di
oltre 250” racconta il porporato e “almeno 9mila i feriti”. “Prima di
andare via - aggiunge - ho incontrato il direttore sanitario e gli ho
voluto fare un’offerta in denaro, per contribuire all’acquisto delle
medicine”.
Nella mattinata di oggi le forze di sicurezza hanno lanciato gas
lacrimogeni contro studenti delle superiori e universitari, scesi in
piazza a Baghdad e nelle città del sud teatro della protesta accanto ai
manifestanti nonostante i divieti delle autorità. Un portavoce del Primo
Ministro Adel Abdul Mahdi, la cui posizione si fa sempre più precaria
dall’ascesa al potere un anno fa, è tornato ad attaccare i manifestanti.
Egli si è rivolto soprattutto agli studenti, minacciando “severe
punizioni” contro chiunque ostacoli il regolare svolgimento delle
lezioni.
Alcuni giovani hanno intonato slogan e canti fra cui “Basta scuola,
basta classi, fino a che il regime non collassi!”. Testimoni riferiscono
di centinaia di studenti, con le loro uniformi, uniti ai manifestanti.
In alcuni casi anche i loro professori hanno voluto unirsi alle
dimostrazioni popolari. Il sindacato degli studenti di Diwaniyah,
cittadina 180 km a sud di Baghdad, hanno annunciato 10 giorni di
sciopero, “fino alla caduta del regime”.
Circa il 60% dei 40 milioni di irakeni hanno un’età inferiore ai 25
anni ed è proprio il tasso di disoccupazione giovanile (attorno al 25%) a
destare le maggiori preoccupazioni. Oltre alla mancanza di lavoro pesa
la sensazione diffusa di insicurezza, la percezione di una corruzione
diffusa e il rischio di una escalation militare o una deriva jihadista. E
una persona su cinque vive al di sotto della soglia di povertà. Fra le
richieste dei cittadini in piazza: lo scioglimento del Parlamento, un
esecutivo a tempo chiamato a promuovere le riforme più urgenti,
emendamenti alla Costituzione ed elezioni anticipate, sotto l’egida e il
controllo delle Nazioni Unite. Ieri quattro deputati hanno rassegnato
le dimissioni, come gesto di solidarietà verso i manifestanti.
“Sono rientrato dalla visita di questa mattina - racconta il card
Sako - con i giovani feriti nella testa. Ragazzi e ragazze che cercano
solo pace, una vita dignitosa, un futuro e un lavoro. Non hanno agende
politiche, non si muovo con finalità religiose. La maggior parte delle
persone in piazza non era nemmeno nata o era giovanissima quando è
caduto il regime di Saddam Hussein, quindi la classe politica non può
accusarli di connivenze o strumentalizzazioni”. Essi sono “contro una
cultura settaria, vogliono il rispetto dei diritti umani e, nonostante i
morti, i feriti e le violenze sono pronti a continuare. Io ho detto che
prego per loro”.
Per essere vicino alla popolazione e seguire in prima persona la
situazione, il patriarca Sako ha cancellato una visita in programma in
Ungheria, dove avrebbe dovuto incontrare il presidente russo Vladimir
Putin ad un convegno dedicato alla situazione dei cristiani. “Ho
chiamato i capi religiosi - conclude il porporato - per proporre un
incontro. Come pastori dobbiamo restare vicini alla nostra gente e fare
attenzione alle parole, che possono essere male interpretate. Preghiamo e
speriamo, in un contesto che si fa sempre più delicato”.