By Asia News
suor Diana Momeka*
I cristiani in Iraq sono vittime di un “genocidio umano e culturale” che rischia di trascinare “l’intera regione sull’orlo di una terribile catastrofe”. È quanto ha detto ieri suor Diana Momeka, religiosa domenicana irakena, in un intervento davanti al Parlamento statunitense riunito a Washington. La religiosa, cui era stato rifiutato in un primo momento il visto dalle autorità Usa, ha raccontato il dramma della popolazione cristiana, vittima delle atrocità perpetrate dai jihadisti dello Stato islamico.
La situazione del Paese e del suo popolo è “grave”, conferma la
suora, “ma non priva di speranza”. Al termine dell’intervento suor Diana
si è rivolta alla comunità internazionale e al governo degli Stati
Uniti, perché “la diplomazia e non il genocidio, il bene comune e non le
armi” possano determinare “il futuro dell’Iraq e di tutti i suoi
figli”.
Intanto continua la campagna promossa da AsiaNews “Adotta
un cristiano di Mosul”, che ha permesso sinora la raccolta e l'invio di
circa 1,3 milioni di euro per il fabbisogno quotidiano dei profughi
irakeni fuggiti da Mosul sotto le minacce dello Stato islamico. Una
risposta alla richiesta di papa Francesco a tutti i cristiani di una
"preghiera intensa", una "partecipazione concreta" e un "aiuto
tangibile" per tutti loro.
La nostra agenzia invita lettori e amici a continuare la campagna
"Adotta un cristiano di Mosul”, per fornire ai profughi - superata la
prima emergenza - un alloggio più stabile. Il progetto prevede il
trasferimento di tutti i rifugiati cristiani - circa 130mila persone,
21mila famiglie - in case da abitare, dove essi possono riprendere
responsabilità della loro vita, trovare un lavoro, pensare a un futuro
prossimo per i figli. Il costo si aggira sui 3,5 milioni di euro.
Per comprendere la situazione in cui versano questi nostri fratelli e sorelle e per diffondere ancor più la campagna, AsiaNews ha prodotto un video, che potete vedere, scaricare e diffondere a questo indirizzo: http://www.asianews.it/index.php?l=it&page=69.
Ecco, di seguito, l’intervento completo di suor Diana. Traduzione in italiano a cura di AsiaNews:
Ecco, di seguito, l’intervento completo di suor Diana. Traduzione in italiano a cura di AsiaNews:
La ringrazio presidente Royce e voi, distinti membri della
Commissione, per avermi invitato qui oggi per condividere con voi la mia
riflessione su comunità antiche ora finite sotto attacco: La guerra
dello Stato islamico contro le minoranze religiose. Mi chiamo suor Diana
Momeka, della congregazione delle Suore domenicane di Santa Caterina da
Siena a Mosul, in Iraq. Vorrei anche chiedervi che la mia intera
testimonianza venga registrata.
Nel novembre 2009, una bomba è esplosa nel nostro convento a Mosul.
All’epoca vi erano cinque suore all’interno dell’edificio e sono state
fortunate a scampare all’attacco, senza riportare alcuna ferita. La
nostra priora, suore Maria Hanna, ha chiesto protezione alle autorità
civili locali ma la sua domanda è rimasta disattesa. Per questo, non ha
avuto altra scelta se non quella di trasferirsi con tutte noi a
Qaraqosh.
In seguito, il 10 giugno 2014, il cosiddetto Stato islamico in Iraq e
in Siria (Isis), ha invaso la piana di Ninive, al cui interno è situata
Qaraqosh. Iniziando con la città di Mosul, l’Isis si è impadronita di
una città dopo l’altra, dando ai cristiani della regione tre
alternative: convertirsi all’islam; pagare un tributo (jizya) allo Stato
islamico; abbandonare le città (come Mosul), con nient’altro che i
propri vestiti.
Mentre questa ondata di terrore si diffondeva per tutta la piana di
Ninive, al 6 agosto 2014 la zona di Ninive era completamente svuotata
della presenza cristiana; e, cosa ancor più triste, per la prima volta
dal settimo secolo nessuna campana di una chiesa della piana di Ninive
ha richiamato i fedeli alla messa.
Dal giugno 2014 in avanti, più di 120mila persone si sono ritrovate
sfollate e senza casa nella regione del Kurdistan irakeno, lasciandosi
alle proprie spalle il loro patrimonio e tutto ciò per cui avevano
lavorato nel corso dei secoli. Questo sradicamento, la depredazione di
ogni bene appartenuto sino ad allora ai cristiani, li ha resi profughi
nel corpo e nell’anima, strappando via la loro umanità e la loro
dignità.
Aggiungendo anche l’insulto alla ferita, le iniziative e le azioni
intraprese tanto dal governo irakeno quanto dal governo regionale curdo
sono state - volendo essere ottimisti - modeste e lente. Oltre a
consentire l’ingresso dei cristiani nella regione, il governo del
Kurdistan non ha offerto alcun aiuto di tipo finanziario o materiale.
Posso capire il grande sconvolgimento che questi eventi hanno provocato a
Baghdad ed Erbil, detto questo è passato quasi un anno e i cittadini
cristiani irakeni sono ancora in una situazione di piena emergenza e
bisognosi di aiuto. Molte persone hanno trascorso intere giornate o
settimane nelle strade, prima di trovare riparo in tende, scuole e
saloni. Grazie a Dio, la Chiesa nella regione del Kurdistan si è fatta
avanti e ha curato in prima persona i cristiani sfollati, facendo
davvero del proprio meglio per far fronte al disastro. Gli edifici
appartenenti alla Chiesa sono stati aperti e messi a disposizione per
fornire un riparo agli sfollati; hanno fornito loro cibo e altri generi
di prima necessità, per far fronte ai bisogni immediati della gente;
hanno anche fornito assistenza sanitaria gratuita. Inoltre, la Chiesa ha
lanciato appelli cui hanno risposto molte organizzazioni umanitarie, le
quali hanno fornito aiuti alle migliaia di persone in situazione di
estremo bisogno.
Oggi siamo grati per tutto ciò che è stato fatto, con la maggior
parte delle persone che hanno trovato un riparo in piccoli container
prefabbricati o in alcune case. Una soluzione di certo migliore rispetto
alla prospettiva di vivere in strada o edifici abbandonati, queste
piccole unità sono poche e sovraffollate, ciascuna al suo interno
contiene almeno tre famiglie, composte da diverse persone, che devono
condividere un solo alloggio. Questo, come ovvio, è fonte di tensioni e
conflitti, persino all’interno della stessa famiglia. Vi sono molti che
dicono “Perché i cristiano non lasciano l’Iraq e vanno in un altro Paese
e ricominciano da capo?”. A questa domanda, vorrei rispondere in questo
modo: “Perché mai dovremmo abbandonare il nostro Paese, cosa avremmo
fatto per meritarcelo?”.
I cristiani d’Iraq sono le prime persone che hanno abitato questa
terra. Potete leggere di noi fin dall’Antico Testamento nella Bibbia. Il
cristianesimo ha fatto il suo ingresso in Iraq fin dai primi momenti,
attraverso la preghiera e la testimonianza di San Tommaso e degli altri
apostoli della Chiesa degli albori.
Sebbene i nostri antenati abbiano sperimentato ogni genere di
persecuzione, essi sono rimasti sulla loro terra, dando vita a una
cultura per secoli al servizio dell’umanità. E noi, in quanto cristiani,
non vogliamo, né meritiamo di lasciare o essere costretti ad
abbandonare il nostro Paese, più di quanto non possiate esserlo voi ad
abbandonare i vostri.
La persecuzione che la nostra comunità si trova oggi a fronteggiare è
la più brutale della nostra storia. Non solo siamo stati derubati delle
nostre case, proprietà e terre, ma è stato distrutto anche il nostro
patrimonio. Lo SI ha distrutto e continua a demolire e bombardare le
nostre chiese, i reperti archeologici e luoghi sacri come Mar Behnam e
Sara, un monastero del quarto secolo e il monastero di San Giorgio a
Mosul.
Sradicati e cacciati a forza, abbiamo capito che il piano dello Stato
islamico è di svuotare la terra dai cristiani e ripulire il terreno di
ogni minima prova che testimoni la nostra esistenza nel passato. Questo è
un genocidio umano e culturale. I soli cristiani che sono rimasti nella
piana di Ninive sono quelli che sono stati trattenuti come ostaggi.
La perdita subita dalla comunità cristiana nella piana di Ninive ha
portato l’intera regione sull’orlo di una terribile catastrofe. I
cristiani per centinaia di anni sono stati il ponte che ha permesso di
unire le culture di Occidente e Oriente. Distruggere questo ponte
significa lasciare una zona di conflitto isolata e priva di cultura,
svuotata della diversità religiosa e culturale. Attraverso la nostra
presenza in quanto cristiani, noi siamo chiamati a essere una forza di
bene, pace e connessione tra culture.
Per ripristinare, riparare e ricostruire la comunità cristiana in
Iraq, bisogna adottare con la massima urgenza le seguenti iniziative:
1 - Liberare le nostre case dalla presenza dello Stato islamico e favorire il nostro rientro.
2 - Promuovere uno sforzo comune e coordinato per ricostruire ciò che
è stato distrutto - strade, acqua, forniture elettriche, ivi compresi i
nostri monasteri e le nostre chiese.
3 - Incoraggiare le imprese per contribuire alla ricostruzione
dell’Iraq e del dialogo interreligioso. Questo può essere fatto
attraverso le scuole, le accademie e progetti pedagogici ed educativi
mirati.
Sono solo una piccola persona, umile - io stessa vittima dello Stato
islamico e delle sue brutalità. Venire qui è stato difficile per me, in
quanto religiosa e suora non mi sento a mio agio con i media e con una
così grande attenzione. Tuttavia ho voluto essere qui, e sono venuta per
chiedervi, per implorarvi per il bene della nostra comune appartenenza
al genere umano, di aiutarci. Abbiamo bisogno della vostra vicinanza,
perché noi in quanto cristiani siamo accanto a tutti i popoli del mondo.
E aiutateci! Vogliamo solo ritornare alle nostre vite di prima; non
vogliamo nient’altro che fare ritorno alle nostre case.
Vi ringrazio e che Dio benedica tutti voi!
* Suora domenicana di Santa Caterina da Siena a Mosul.
* Suora domenicana di Santa Caterina da Siena a Mosul.