By Asia News
Le Chiese orientali “hanno un futuro sia in Iraq, che in
Iran”, e quando finiranno i conflitti esso “sarà ancora migliore” perché
si potrà davvero avviare un cammino “di dialogo e di riconciliazione”
che abbraccerà cristiani e musulmani. “Le guerre hanno sempre una fine e
bisogna lavorare per il futuro, per la riconciliazione, con la pazienza
e la preghiera”. È questo il messaggio che il patriarca caldeo Mar
Louis Raphael I Sako consegna ad AsiaNews al rientro a Baghdad, dopo aver effettuato una visita di due settimane alle comunità cristiane caldee in Iran.
Sua Beatitudine ha voluto analizzare il momento attuale dell’Iraq,
teatro di una sanguinosa guerra fra le autorità centrali e i jihadisti
dello Stato islamico oggi concentrata attorno a Ramadi e in alcune zone della provincia di Anbar.
Mar Sako racconta che in Iraq - teatro oggi di un doppio attentato
nei pressi di due hotel di lusso nella capitale, che hanno causato morti
e feriti - la situazione “resta molto tesa” e “la gente è preoccupata
per il futuro”. I miliziani dello Stato islamico, aggiunge, “si muovono e
hanno occupato una parte molto importante del Paese”. I jihadisti
controllano “più del 50% del territorio siriano e anche il 30% del
territorio irakeno” sono diventati parte del Califfato e “questo mette
paura, la gente vive con ansia e timore”.
Per quanto concerne gli sfollati il numero ha superato i tre milioni
e, racconta il patriarca caldeo, “manca loro un po’ di tutto”; essi
possono contare sull’aiuto di agenzie internazionali e della Chiesa, “ma
è difficile andare avanti e vi è amarezza e sconforto” fra le persone.
“Il governo fa ciò che può - aggiunge - ma manca la formazione di
soldati, mancano le armi e il quadro generale della regione
mediorientale complica ancor più la situazione nel nostro Paese. Bisogna
affrontare questa crisi non solo dal punto di vista militare, ma è
necessario contrastarne anche l’ideologia. Sono molto pericolosi”.
Se il fronte interno irakeno è fonte di preoccupazione, il patriarca
di Baghdad ricorda ancora con fiducia e speranza il recente viaggio
pastorale - dal 12 al 24 maggio - fra le comunità caldee iraniane di
Teheran e Urmia, in cui vivono “quasi 400mila fedeli”. Incontrandoli,
racconta, “ho sentito dentro di me la forza della Chiesa primitiva”, una
realtà “che può crescere se ha pazienza e riesce a mantenersi unita”.
La mia visita, aggiunge, “ha contribuito a rafforzare la spiritualità e
dare loro speranza, incoraggiandoli a rimanere”. Anche perché, osserva,
“loro hanno pace e speranza, non hanno paura [a differenza dei fedeli in
Iraq] e questa è una benedizione per loro”.
Nel contesto del viaggio in Iran,
mar Sako ha incontrato le più alte autorità civili e religiose della
Repubblica islamica, sottolineando il ruolo di Teheran nel contesto
regionale come forza “di pace e di stabilità”. Bisogna imparare da
queste guerre, ha detto il patriarca ai leader iraniani, e “lavorare per
la riconciliazione fra sunniti e sciiti, siete tutti musulmani e non ci
sono scuse per fratture o divisioni”. “Ho insistito - aggiunge - perché
promuovano l’idea di un islam di pace e tolleranza, di mostrare nei
fatti che non vi è oppressione nell’islam… e poi ho proposto di fare
iniziative in comune nell’Anno della misericordia. Hanno risposto in
modo positivo, ma alle parole devono seguire i fatti!”.
Fra le idee emerse dai vari incontri, la possibilità di creare un
“comitato misto” di musulmani e cristiani iraniani “per il dialogo
sociale e religioso”, per dar vita a legami e rapporto “al di là delle
frontiere”. I fedeli, aggiunge, si sono detti “pronti” a dar seguito
alla proposta e desiderano davvero “un dialogo sincero”. “In Iran -
conferma Sua Beatitudine - c’è una presenza cristiana simbolica ma
attiva, e deve essere incoraggiata. Ho cercato di dare loro un impulso,
sottolineando che il patriarca è vicino a loro e pensa anche a loro”.
Da ultimo, il patriarca di Baghdad rivolge un invito alla Chiesa
cattolica universale perché “pensi di più a questi Paesi poveri in
numero, ma forti nella qualità” quando si parla di presenza cristiana.
“La Congregazione delle Chiese orientali - avverte - deve essere più
vicina a questi ‘piccoli resti’, lavorando per l’unità e la solidarietà,
non solo la semplice amministrazione”. Queste Chiese dell’Iran e
dell’Iraq, conclude, possono avere un futuro e i cristiani potranno
continuare a essere - come è sempre stato in passato - “un ponte fra
religioni, fedi e culture” in Medio oriente.