By Baghdadhope*
Da tempo è in atto un duro scontro tra il Patriarcato Caldeo e la Diocesi di San Pietro Apostolo, negli Stati Uniti occidentali, su alcuni sacerdoti e monaci lì in servizio che hanno abbandonato le proprie diocesi ed il proprio monastero senza permesso, ed ai quali è stato ordinato dal Patriarca di tornare ad operare nelle sedi originarie in Iraq.
Disatteso, con poche eccezioni, l'ordine patriarcale, i toni dello scontro si sono fatti più duri e la questione è stata discussa sia nel sinodo straordinario tenutosi a febbraio scorso a Baghdad, al quale il vescovo degli Stati Uniti occidentali accusato di aver accettato illegalmente i sacerdoti e monaci, Mar Sarhad Jammo, non ha partecipato, sia nella successiva riunione plenaria della Congregazione per le Chiese Orientali.
Da essa, anche se non direttamente, vista la delicatezza della questione, era risultata quella che si prevedeva essere la linea che il Vaticano avrebbe adottato nei confronti dei chierici interessati dal provvedimento patriarcale.
Ecco infatti come il sito del Patriarcato Caldeo aveva diplomaticamente commentato i risultati dell'incontro:
"Hanno manifestato il loro appoggio all'autorità del Patriarca e del sinodo caldeo e l'importanza che i monaci e i sacerdoti rimangono al servizio dei fedeli nella loro terra madre, così danno un'autentica testimonianza sacerdotale, come pure hanno insistito sull'importanza di seguire i fedeli pastoralmente nelle diaspore secondo le norme canoniche vigenti."
Dopo circa un mese di silenzio la questione riaffiorò sui media il 1 aprile quando, nel nome dell'Anno della Misericordia, proclamato da Papa Francesco e della visita per la Santa Pasqua dell'inviato papale in Iraq, Cardinale Fernando Filoni, il Patriarcato tese, se così si può dire, una mano ai sacerdoti ed ai vescovi della diocesi di San Pietro offrendo loro l'opportunità di "tornare al normale servizio nella chiesa" regolarizzando così la loro situazione "moralmente e legalmente" a patto di "scusarsi pubblicamente" per il "torto fatto alla Chiesa Caldea, al Patriarca, al Patriarcato ed al Sinodo."
Il 7 aprile, dopo che nessuna comunicazione ufficiale in proposito era stata resa pubblica da parte della diocesi americana, il Patriarcato rese ufficiale la notizia secondo la quale il 21 marzo una lettera inviata dal Cardinale Leonardo Sandri, a capo della Congregazione per le Chiese Orientali, aveva posto fine alla questione: per volontà di Papa Francesco i sacerdoti ed i monaci che non avevano rispettato il codice di diritto canonico avrebbero dovuto fare ritorno alle proprie diocesi ed in monastero, e Mons. Sarhad Jammo avrebbe dovuto facilitarne il ritorno in patria.
Nella lettera anche un appello ai vescovi perchè rispettassero le decisioni del Patriarcato ed il provvedimento a carico di uno dei monaci, Noel Gorgis, già espulso dalla chiesa, che avrebbe dovuto pentirsi e scusarsi publicamente per gli "abusi perpetrati" ai suoi danni.
La decisione del Vaticano sembrò però suscitare delusione, espressa nella critica all'operato stesso della Congregazione per le Chiese Orientali accusata * di non aver mantenuto la promessa di una "soluzione radicale" "tergiversando e facendo il doppio gioco," in riferimento al fatto che nulla era stato stabilito per quanto riguardava il vescovo di cui quei sacerdoti e monaci - si legge - sono stati "vittime," tranne l'invito a facilitarne il ritorno in patria.
Una decisione che in un certo senso manteneva lo "status quo" e che era ben lontana da quella invocata dal Patriarca Sako che in un'intervista, a gennaio, riteneva che l'unica soluzione possibile fossero le dimissioni dello stesso vescovo, o addirittura un intervento vaticano per il suo esonero e sostituzione con un amministratore patriarcale.
Al tacere sulla questione da parte dei due siti internet che fanno capo alla diocesi americana si contrapposero invece in quel periodo le notizie dell'apertura di un secondo monastero in territorio diocesano (9 aprile) e dell'ordinazione sacerdotale di due giovani caldei nati negli Stati Uniti ed ordinati diaconi lo scorso luglio (10 aprile). Un evento celebrato perchè - si legge - era la prima volta nella storia della chiesa caldea che un seminario al di fuori dell'Iraq aveva come frutti dei sacerdoti.
La quasi contemporaneità degli eventi fu quasi certamente casuale, ma non si può fare a meno di leggere in quelli avvenuti oltreoceano una sorta di sfida a Baghdad: la diocesi di San Pietro Apostolo avrebbe continuato sulla sua strada, e se i sacerdoti e monaci richiamati in patria non avrebbero più potuto servirla altri, in essa cresciuti, li avrebbero sostituiti.
Dopo quasi un mese di nuovo silenzio sulla questione all'inizio di maggio essa si ripresentò con forza. La forza delle parole di Mar Sako che, in occasione della visita in Iraq del Cardinale Sandri la ricordò, non in un incontro privato, ma durante l'omelia nella cattedrale caldea di Baghdad, definendola una "ferita sanguinante" ed appellandosi alla Santa Sede perchè prendesse una decisione "veloce, chiara e decisiva" contro i sacerdoti ed e i monaci in questione "come Papa Francesco già ha fatto in situazioni simili." Appare probabile che l'aver scelto di trattare la questione nel corso dell'omelia pubblica, e l'aver tirato in ballo situazioni simili già risolte da Papa Francesco, sia stato il modo scelto dal patriarcato per far pressione sulla Congregazione delle Chiese Orientali e spingerla all'azione.
Ma azione c'è stata? Per adesso si sa che è stato stabilito il termine massimo entro il quale i sacerdoti ed i monaci dovranno tornare in sede: il 17 maggio. Oltre quella data gli inadempienti saranno sospesi dalla vita sacerdotale. Oltre a ciò, si legge, i vescovi della diocesi di San Pietro (Mar Sarhad Y. Jammo e Mar Bawai Soro) dovranno dichiarare pubblicamente la propria posizione nei riguardi della comunione con la Chiesa Caldea ed attraverso essa con la Santa Sede.
Una richiesta forte, quella fatta ai vescovi di pronunciamento pubblico di fedeltà, che nel comunicato del patriarcato assume toni ancora più drammatici vista la frase di Matteo (11:15) che lo chiude: "Chi ha orecchi intenda."
* Forse non è un caso che il comunicato riguardante la lettera del Cardinale Sandri sia stato pubblicato dal sito del patriarcato in arabo ed in francese, come a volersi assicurare che nessuno a Roma potesse affermare di non aver capito il messaggio.
Congregazione per le Chiese Orientali: sostegno agli iracheni cristiani ed al Patriarcato
Sinodo caldeo straordinario: alla prova l'unità della Chiesa
Da tempo è in atto un duro scontro tra il Patriarcato Caldeo e la Diocesi di San Pietro Apostolo, negli Stati Uniti occidentali, su alcuni sacerdoti e monaci lì in servizio che hanno abbandonato le proprie diocesi ed il proprio monastero senza permesso, ed ai quali è stato ordinato dal Patriarca di tornare ad operare nelle sedi originarie in Iraq.
Disatteso, con poche eccezioni, l'ordine patriarcale, i toni dello scontro si sono fatti più duri e la questione è stata discussa sia nel sinodo straordinario tenutosi a febbraio scorso a Baghdad, al quale il vescovo degli Stati Uniti occidentali accusato di aver accettato illegalmente i sacerdoti e monaci, Mar Sarhad Jammo, non ha partecipato, sia nella successiva riunione plenaria della Congregazione per le Chiese Orientali.
Da essa, anche se non direttamente, vista la delicatezza della questione, era risultata quella che si prevedeva essere la linea che il Vaticano avrebbe adottato nei confronti dei chierici interessati dal provvedimento patriarcale.
Ecco infatti come il sito del Patriarcato Caldeo aveva diplomaticamente commentato i risultati dell'incontro:
"Hanno manifestato il loro appoggio all'autorità del Patriarca e del sinodo caldeo e l'importanza che i monaci e i sacerdoti rimangono al servizio dei fedeli nella loro terra madre, così danno un'autentica testimonianza sacerdotale, come pure hanno insistito sull'importanza di seguire i fedeli pastoralmente nelle diaspore secondo le norme canoniche vigenti."
Dopo circa un mese di silenzio la questione riaffiorò sui media il 1 aprile quando, nel nome dell'Anno della Misericordia, proclamato da Papa Francesco e della visita per la Santa Pasqua dell'inviato papale in Iraq, Cardinale Fernando Filoni, il Patriarcato tese, se così si può dire, una mano ai sacerdoti ed ai vescovi della diocesi di San Pietro offrendo loro l'opportunità di "tornare al normale servizio nella chiesa" regolarizzando così la loro situazione "moralmente e legalmente" a patto di "scusarsi pubblicamente" per il "torto fatto alla Chiesa Caldea, al Patriarca, al Patriarcato ed al Sinodo."
Il 7 aprile, dopo che nessuna comunicazione ufficiale in proposito era stata resa pubblica da parte della diocesi americana, il Patriarcato rese ufficiale la notizia secondo la quale il 21 marzo una lettera inviata dal Cardinale Leonardo Sandri, a capo della Congregazione per le Chiese Orientali, aveva posto fine alla questione: per volontà di Papa Francesco i sacerdoti ed i monaci che non avevano rispettato il codice di diritto canonico avrebbero dovuto fare ritorno alle proprie diocesi ed in monastero, e Mons. Sarhad Jammo avrebbe dovuto facilitarne il ritorno in patria.
Nella lettera anche un appello ai vescovi perchè rispettassero le decisioni del Patriarcato ed il provvedimento a carico di uno dei monaci, Noel Gorgis, già espulso dalla chiesa, che avrebbe dovuto pentirsi e scusarsi publicamente per gli "abusi perpetrati" ai suoi danni.
La decisione del Vaticano sembrò però suscitare delusione, espressa nella critica all'operato stesso della Congregazione per le Chiese Orientali accusata * di non aver mantenuto la promessa di una "soluzione radicale" "tergiversando e facendo il doppio gioco," in riferimento al fatto che nulla era stato stabilito per quanto riguardava il vescovo di cui quei sacerdoti e monaci - si legge - sono stati "vittime," tranne l'invito a facilitarne il ritorno in patria.
Una decisione che in un certo senso manteneva lo "status quo" e che era ben lontana da quella invocata dal Patriarca Sako che in un'intervista, a gennaio, riteneva che l'unica soluzione possibile fossero le dimissioni dello stesso vescovo, o addirittura un intervento vaticano per il suo esonero e sostituzione con un amministratore patriarcale.
Al tacere sulla questione da parte dei due siti internet che fanno capo alla diocesi americana si contrapposero invece in quel periodo le notizie dell'apertura di un secondo monastero in territorio diocesano (9 aprile) e dell'ordinazione sacerdotale di due giovani caldei nati negli Stati Uniti ed ordinati diaconi lo scorso luglio (10 aprile). Un evento celebrato perchè - si legge - era la prima volta nella storia della chiesa caldea che un seminario al di fuori dell'Iraq aveva come frutti dei sacerdoti.
La quasi contemporaneità degli eventi fu quasi certamente casuale, ma non si può fare a meno di leggere in quelli avvenuti oltreoceano una sorta di sfida a Baghdad: la diocesi di San Pietro Apostolo avrebbe continuato sulla sua strada, e se i sacerdoti e monaci richiamati in patria non avrebbero più potuto servirla altri, in essa cresciuti, li avrebbero sostituiti.
Dopo quasi un mese di nuovo silenzio sulla questione all'inizio di maggio essa si ripresentò con forza. La forza delle parole di Mar Sako che, in occasione della visita in Iraq del Cardinale Sandri la ricordò, non in un incontro privato, ma durante l'omelia nella cattedrale caldea di Baghdad, definendola una "ferita sanguinante" ed appellandosi alla Santa Sede perchè prendesse una decisione "veloce, chiara e decisiva" contro i sacerdoti ed e i monaci in questione "come Papa Francesco già ha fatto in situazioni simili." Appare probabile che l'aver scelto di trattare la questione nel corso dell'omelia pubblica, e l'aver tirato in ballo situazioni simili già risolte da Papa Francesco, sia stato il modo scelto dal patriarcato per far pressione sulla Congregazione delle Chiese Orientali e spingerla all'azione.
Ma azione c'è stata? Per adesso si sa che è stato stabilito il termine massimo entro il quale i sacerdoti ed i monaci dovranno tornare in sede: il 17 maggio. Oltre quella data gli inadempienti saranno sospesi dalla vita sacerdotale. Oltre a ciò, si legge, i vescovi della diocesi di San Pietro (Mar Sarhad Y. Jammo e Mar Bawai Soro) dovranno dichiarare pubblicamente la propria posizione nei riguardi della comunione con la Chiesa Caldea ed attraverso essa con la Santa Sede.
Una richiesta forte, quella fatta ai vescovi di pronunciamento pubblico di fedeltà, che nel comunicato del patriarcato assume toni ancora più drammatici vista la frase di Matteo (11:15) che lo chiude: "Chi ha orecchi intenda."
* Forse non è un caso che il comunicato riguardante la lettera del Cardinale Sandri sia stato pubblicato dal sito del patriarcato in arabo ed in francese, come a volersi assicurare che nessuno a Roma potesse affermare di non aver capito il messaggio.
Congregazione per le Chiese Orientali: sostegno agli iracheni cristiani ed al Patriarcato
Sinodo caldeo straordinario: alla prova l'unità della Chiesa