Fonte: Famiglia Cristiana n° 36 01/09/2009
di Fulvio Scaglione
Giocare, studiare, seguire il catechismo o le lezioni di computer. Non è un sogno ma un progetto che nasce, nella capitale irachena, grazie alla collaborazione tra arcidiocesi latina e Cei.
«Ogni giorno scoppiano le bombe, la gente ha paura e manca di molte cose importanti. Ma abbiamo, dobbiamo avere in testa la ricostruzione. E per noi cristiani la prima ricostruzione è quella dell’uomo». Con un cappelluccio di paglia sul capo nella calura schiacciante dei 55 gradi e nella polvere avvolgente della strada, chiusa ai due capi dalle barriere contro le auto al tritolo, monsignor Jean Benjamin Sleiman, arcivescovo dei latini di Baghdad, pare simbolizzare la fragilità della sua comunità (5 mila fedeli) e per estensione quella dei cristiani iracheni, decimati dall’emigrazione e dall’esilio, e dello stesso Irak, sempre tormentato dalle violenze a oltre sei anni dalla cacciata di Saddam Hussein.
Eppure… L’uomo di fede forse vede oltre i drammi del presente. O forse monsignor Sleiman, in Irak dal 2001, conosce i suoi, le loro speranze, le loro capacità di recupero. Così in quel grosso quadrato di cemento assolato lui già "vede" un torneo di calcio per ragazzi scatenati: «Hanno una fantasia pazzesca quando devono combinare le loro divise», dice l’arcivescovo: «Magliette con Superman o i colori più strani, per loro è un’arte. E a me tocca raccogliere qualche notizia sul calcio italiano o spagnolo per non sembrare del tutto sprovveduto». In quel prato verde i giochi per i più piccoli, e nella palazzina i concerti, i corsi per l’uso del computer, la catechesi, la formazione, le attività della Caritas… Vede, insomma, una "città dei ragazzi" brulicante di vita e di voglia di fare, dove i giovani cristiani possano crescere insieme e in allegria, e accogliere i coetanei musulmani che sono e saranno sempre maggioranza intorno a loro.
Il quartiere delle cattedrali
Un sogno? Andiamoci piano. Intanto, il quartiere dove si trova la diocesi latina, Hay al Wahda (quartiere dell’Unità) è già una specie di cittadella cristiana nel cuore dell’enorme Baghdad. Oltre alla nunziatura apostolica, dove dal 2006 lavora monsignor Francis Assisi Chullikat, si trovano nel giro di poche strade quattro cattedrali: San Giuseppe dei Latini, Nostra Signora della Salvezza dei siri cattolici, Nostra Signora dei Fiori degli armeni cattolici e San Pietro e Paolo dei siri ortodossi. Non lontana, ma già nel quartiere Karrada, c’è la cattedrale di San Giuseppe dei caldei.
E poi c’è lo spirito dei giovani. Quando sono arrivato a San Giuseppe, un gruppo di universitari stava montando una grande tenda per il campeggio in città dei piccoli: 400 bambini che i grandi aiutano a sentirsi in vacanza anche se la vacanza, qui, nessuno sa più cosa sia. «Adolescenti e giovani partecipano con slancio alle attività della Chiesa», dice monsignor Sleiman, «e non solo perché in essa trovano uno spazio di serenità rispetto a un presente spesso drammatico. La Chiesa è un tratto profondo della loro identità, la sentono come cosa propria». Infine, le strutture già esistenti, raggruppate intorno alla cattedrale latina: edifici da usare di più, spazi da razionalizzare, iniziative già oliate (per esempio, la casa per anziani che accoglie 40 persone, o la grande sala che ospita le occasioni solenni della comunità: fidanzamenti, matrimoni, onoranze funebri, feste per i giovani) da registrare, occasioni da valorizzare, come la casa acquistata un anno fa, con il contributo di Azione cattolica e Cei.
Perché ogni angolo e ogni muro, qui, va difeso e conservato. Un giorno tornerà la pace e con essa i cristiani ora in esilio, ma intanto le altre comunità si espandono e occupano ogni spazio libero. «Qui, nel quartiere Hay al Wahda, la presenza cristiana è sempre stata forte», spiega monsignor Sleiman, «ma negli ultimi tempi è sempre più frequente l’arrivo di famiglie sciite, richiamate a Baghdad dai nuovi equilibri di potere».
La città dei ragazzi nella capitale mondiale delle bombe, dunque, è un sogno ma non è privo di basi. È ancora un progetto ma non è privo di radici. Così a Baghdad è arrivata una delegazione della Fondazione "Giovanni Paolo II", specializzata in interventi di solidarietà in Medio Oriente, per dare concretezza a un’idea che ha già la disponibilità della Conferenza episcopale italiana e della Federazione italiana settimanali cattolici, 155 testate che lanceranno per Natale una campagna di sensibilizzazione.
I cristiani in esilio
Monsignor Rodolfo Cetoloni, vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza, Angiolo Rossi (direttore della Fondazione) e Paolo Ricci (del consiglio scientifico della stessa Fondazione) hanno visitato la diocesi di monsignor Sleiman per i primi accertamenti. E per lanciare un ponte tra Irak e Italia con il contributo di monsignor Chullikat, nunzio apostolico per l’Irak ma anche per la Giordania, cioè per il Paese che, dopo la Siria, ha accolto il maggior numero di rifugiati iracheni (circa 700 mila). Un intervento che si farà sentire a Baghdad ma anche tra chi non vede l’ora di tornare alla propria casa.
Commenta monsignor Cetoloni: «Con la Fondazione siamo abituati al lavoro in Palestina e in Libano. Ma qui abbiamo capito che l’Irak chiede più impegno, più coraggio e quindi più umiltà. Ma soprattutto, in questa Baghdad dove la violenza limita in modo drastico la libertà delle persone, abbiamo apprezzato ancor più la libertà di cui noi godiamo. E sentito il dovere di condividerla almeno in parte con gli iracheni».
Un sogno? Andiamoci piano. Intanto, il quartiere dove si trova la diocesi latina, Hay al Wahda (quartiere dell’Unità) è già una specie di cittadella cristiana nel cuore dell’enorme Baghdad. Oltre alla nunziatura apostolica, dove dal 2006 lavora monsignor Francis Assisi Chullikat, si trovano nel giro di poche strade quattro cattedrali: San Giuseppe dei Latini, Nostra Signora della Salvezza dei siri cattolici, Nostra Signora dei Fiori degli armeni cattolici e San Pietro e Paolo dei siri ortodossi. Non lontana, ma già nel quartiere Karrada, c’è la cattedrale di San Giuseppe dei caldei.
E poi c’è lo spirito dei giovani. Quando sono arrivato a San Giuseppe, un gruppo di universitari stava montando una grande tenda per il campeggio in città dei piccoli: 400 bambini che i grandi aiutano a sentirsi in vacanza anche se la vacanza, qui, nessuno sa più cosa sia. «Adolescenti e giovani partecipano con slancio alle attività della Chiesa», dice monsignor Sleiman, «e non solo perché in essa trovano uno spazio di serenità rispetto a un presente spesso drammatico. La Chiesa è un tratto profondo della loro identità, la sentono come cosa propria». Infine, le strutture già esistenti, raggruppate intorno alla cattedrale latina: edifici da usare di più, spazi da razionalizzare, iniziative già oliate (per esempio, la casa per anziani che accoglie 40 persone, o la grande sala che ospita le occasioni solenni della comunità: fidanzamenti, matrimoni, onoranze funebri, feste per i giovani) da registrare, occasioni da valorizzare, come la casa acquistata un anno fa, con il contributo di Azione cattolica e Cei.
Perché ogni angolo e ogni muro, qui, va difeso e conservato. Un giorno tornerà la pace e con essa i cristiani ora in esilio, ma intanto le altre comunità si espandono e occupano ogni spazio libero. «Qui, nel quartiere Hay al Wahda, la presenza cristiana è sempre stata forte», spiega monsignor Sleiman, «ma negli ultimi tempi è sempre più frequente l’arrivo di famiglie sciite, richiamate a Baghdad dai nuovi equilibri di potere».
La città dei ragazzi nella capitale mondiale delle bombe, dunque, è un sogno ma non è privo di basi. È ancora un progetto ma non è privo di radici. Così a Baghdad è arrivata una delegazione della Fondazione "Giovanni Paolo II", specializzata in interventi di solidarietà in Medio Oriente, per dare concretezza a un’idea che ha già la disponibilità della Conferenza episcopale italiana e della Federazione italiana settimanali cattolici, 155 testate che lanceranno per Natale una campagna di sensibilizzazione.
I cristiani in esilio
Monsignor Rodolfo Cetoloni, vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza, Angiolo Rossi (direttore della Fondazione) e Paolo Ricci (del consiglio scientifico della stessa Fondazione) hanno visitato la diocesi di monsignor Sleiman per i primi accertamenti. E per lanciare un ponte tra Irak e Italia con il contributo di monsignor Chullikat, nunzio apostolico per l’Irak ma anche per la Giordania, cioè per il Paese che, dopo la Siria, ha accolto il maggior numero di rifugiati iracheni (circa 700 mila). Un intervento che si farà sentire a Baghdad ma anche tra chi non vede l’ora di tornare alla propria casa.
Commenta monsignor Cetoloni: «Con la Fondazione siamo abituati al lavoro in Palestina e in Libano. Ma qui abbiamo capito che l’Irak chiede più impegno, più coraggio e quindi più umiltà. Ma soprattutto, in questa Baghdad dove la violenza limita in modo drastico la libertà delle persone, abbiamo apprezzato ancor più la libertà di cui noi godiamo. E sentito il dovere di condividerla almeno in parte con gli iracheni».