Fonte: Radiovaticana 9 settembre 2009
E’ sempre drammatica la situazione delle comunità cristiane in Iraq. La recente guerra ha ridotto le presenze da 800 mila a poco più di 500 mila. Per costoro continua la fuga dalle violenze quotidiane, da parte di gruppi delle altre etnie, all’estero o nel nord del Paese del Golfo nel tentativo di ricreare una situazione di pacifica stabilità. Ma anche questo tentativo sta creando nuovi atti di violenza e di intimidazione.
"Gli ultimi dati statistici parlano di circa metà dei cristiani iracheni che sono già all’estero, in Europa e in America, ma anche in Paesi circostanti come la Siria, il Libano, la Giordania, in attesa di trasferirsi in America o nel nostro continente. L’altra metà, invece, è soprattutto concentrata nella zona della piana di Ninive, vicino a Mossul. Questa concentrazione porta alcuni cristiani a meditare addirittura la creazione di una zona autonoma sull’esempio di quella che vediamo nel nord dell’Iraq come zona autonoma curda. Alla fine i cristiani si troveranno tra l’incudine e il martello, perché la loro zona si trova proprio sul confine tra la zona curda e la zona che potrebbe diventare lo Stato sunnita. Per questo motivo le autorità ecclesiastiche irachene ritengono che sia pericolosa anche dal punto di vista strategico, perché non è vivibile una zona autonoma, e soprattutto ribadiscono il fatto che i cristiani hanno sempre convissuto con curdi, sciiti, sunniti, turkmeni e con tutte le altre confessioni ed etnie irachene. Si chiedono perché mai debbano accontentarsi di un ghetto. Considerano questa ghettizzazione dei cristiani solamente una tappa verso la loro espulsione completa e definitiva dall’Iraq, un Paese in cui vivono da due millenni."
La presenza cristiana è stata ridimensionata anche dal punto di vista politico nei Parlamenti iracheni. Che cosa provoca la mancanza cristiana negli ambienti decisionali dell’Iraq?
"Provoca anzitutto amarezza perché i cristiani hanno sempre partecipato ai diversi governi. Effettivamente poi la diminuzione del ruolo politico dei cristiani porta ad una rinuncia del ruolo sociale della comunità cristiana; questo ovviamente favorisce solo le emigrazioni."
C’è il rischio che il dramma dei cristiani in Iraq venga dimenticato di fronte al dramma altrettanto grande che sta vivendo tuttora il Paese del Golfo?
"Purtroppo sì. Esiste certamente questo rischio, eppure noi sappiamo che la presenza cristiana in Medio Oriente è sempre stata un seme di pace tra differenti comunità. Gli iracheni sunniti, sciiti e curdi non si rendono conto che eliminare la presenza cristiana vuol dire anche eliminare ogni possibilità di convivenza tra loro stessi."