Fonte: SIR
di Daniele Rocchi
I cristiani iracheni devono riscoprire la loro identità "È stato fatto un grande passo avanti per la realizzazione di questo progetto cui teniamo tanto. La delegazione giunta sino a Baghdad, purtroppo, per motivi di sicurezza e per le rigide disposizioni in vigore ha potuto vedere ben poco della città per rendersi conto della situazione".
A parlare è l'arcivescovo latino di Baghdad, mons. Jean Benjamin Sleiman, che al SIR fa il resoconto del recente viaggio di fine agosto della delegazione della Fondazione Giovanni Paolo II, formata, tra gli altri, da mons. Rodolfo Cetoloni, vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza, Angiolo Rossi e Paolo Ricci, rispettivamente direttore e membro del Consiglio scientifico della stessa Fondazione, che a Baghdad sta lavorando per aprire un centro giovanile in alcuni locali messi a disposizione proprio dall'arcivescovado latino. Qui dovrebbe trovare posto anche un media center oltre che strutture idonee ad ospitare attività teatrali, musicali, di danza e artistiche. Alla realizzazione della nuova struttura partecipa, insieme alla Fondazione Giovanni Paolo II, presieduta dal vescovo di Fiesole, mons. Luciano Giovannetti, anche la Federazione italiana dei settimanali cattolici (Fisc).
Quale scopo si prefigge questo centro?
"In Iraq assistiamo ad un'emergenza-giovani cui cerchiamo di far fronte anche attraverso l'educazione, l'istruzione e la formazione. Il centro vuole soddisfare la voglia di incontro dei giovani. Non si può restare indifferenti alla loro malinconia che li spinge a cercare il futuro altrove. Sto lavorando alacremente a questo progetto che spero possa vedere la luce già entro la fine dell'anno. E sarà un centro aperto a tutti".
A tutti? Cioè?
"L'Iraq è un Paese multireligioso e multietnico. Ma anche i cristiani appartengono a varie Chiese autonome e provengono da determinate etnie. Ossia in Iraq non ci sono solo i caldei, non tutti i cristiani sono caldei. Da quello che a volte si legge, anche su media cattolici, sembra che in Iraq ci siano solo caldei ma non è così. Purtroppo la tentazione anche di certi esponenti caldei è di lasciarlo intendere. L'ultimo Sinodo ha rivendicato addirittura l'esistenza di una nazione caldea. Ma queste affermazioni vanno contro la verità storica, i dati antropologici e l'intelligenza politica. Sappiamo bene, infatti, che il nome caldeo è stato dato dalla Santa Sede a quei nestoriani che hanno voluto di nuovo la comunione con la Chiesa di Roma. Questa è storia".
Intende dire che la presenza cristiana irachena deve saper rileggere la propria identità?
"Bisogna capire se siamo una Chiesa oppure delle etnie. Se siamo un'etnia ci sbagliamo di molto, anche politicamente. Quelle etniche non sono le vere frontiere della società attuale che è sempre più multireligiosa e multietnica. Come Chiesa dobbiamo sviluppare un concetto di comunione e di comunità molto più vasto ed aperto. È importante avere un'identità ma la nostra che è cristiana deve essere aperta all'alterità. Le radici non possono essere dimenticate e quelle cristiane sono ecumeniche per natura".
Un'idea che confligge con la proposta di relegare i cristiani nella piana di Ninive…
"Una proposta da esorcizzare. Quella della piana di Ninive, ovvero di una zona nel Nord del Paese, dove i cristiani possano vivere in sicurezza, ha già causato catastrofi e altre ne potrebbe provocare se solo fosse attuata. I vescovi iracheni sono ufficialmente del tutto contrari a questa idea. E poi i cristiani non sono solo nel Nord, ma anche in altre parti del Paese e soprattutto a Baghdad, dove il loro numero è ancora importante".Resta il fatto che tutta questa violenza sta spingendo tanti cristiani iracheni verso il Nord.
Teme che ci sia dietro un progetto di pulizia etnico-confessionale?
"Ci potrebbe essere una volontà politica per fare pulizia in questo senso. La violenza non è solo dovuta alla criminalità. Da anni ormai i cristiani sono spinti a lasciare certe zone di Baghdad. Il male è fatto; il risultato di queste ultime esplosioni in agosto e settembre è l'aumento delle migrazioni non solo verso il Nord ma verso l'estero. L'Iraq senza cristiani è un Paese più debole, disunito".
A gennaio del 2010 l'Iraq tornerà alle urne. Con questi presupposti i cristiani rischiano di scomparire anche dalla politica. Come evitare tale pericolo?
"Ricercando l'unità. I cristiani devono essere molto di più uniti tra di loro, anche perché quando esortano all'unità del Paese saranno più credibili e l'unità dell'Iraq è fondamentale. In vista del voto sono già in atto grandi movimenti. I cristiani devono mostrare unità per essere più rappresentativi e propositivi".