Intervista di Baghdadhope a Mons. Rabban Al Qas
Il tono di Monsignor Rabban Al Qas, vescovo caldeo di Amadhiya ed amministratore patriarcale di Erbil, è veemente mentre spiega il significato delle parole da lui pronunciate lo scorso 15 maggio durante la funzione ad Araden e trasmesse da Ishtartv. Parole di critica verso la decisione del sinodo caldeo di chiedere che l’entità caldea venisse considerata come separata da quelle assira e siriaca nella futura costituzione del Kurdistan iracheno.
“E’ un errore, un grande errore” così ha definito Mons. Rabban Al Qas quella decisione nel corso di un colloquio telefonico con Baghdadhope.
Ma Monsignore, si tratta di una decisione sinodale…
“Una decisione non è un dogma ma solo una presa di posizione politica di alcuni vescovi e del patriarca.”
Anche la sua però è una posizione politica..
“Si, ma a favore dell’unità della chiesa non della sua frammentazione. La nostra missione è quella di arrivare alla Chiesa Universale tante volte invocata da Benedetto XVI. Quella è una decisione imposta dall’estero e non rispecchia il desiderio della popolazione”
Che sarebbe?
“Se lei chiede ai cristiani in Iraq – e non all’estero – che cosa sono, nel senso di che definizione danno di se stessi la risposta sarà una sola: 'Suraye'”
E’ questa la sua posizione? Preferirebbe che gli iracheni cristiani venissero definiti complessivamente Suraye invece che caldei, o assiri caldei siriaci?
“Sì. Perché per me il termine 'Suraye' non significa 'assiri' ma si rifà a ciò che i cristiani, cattolici, ortodossi, assiri, hanno in comune: la lingua, la storia, la tradizione. Usare dei termini che si riferiscono a presunte appartenenze etniche vuol dire fomentare le divisioni. Il termine che meglio ci rappresenta è quindi 'Suraye cristiani'.”
E gli armeni? La lingua, la storia, la tradizione degli armeni è diversa, come potrebbero riconoscersi nel termine Suraye?
“Gli armeni non hanno problemi. Esiste una nazione armena, una capitale armena. Loro sono armeni. Io mi riferisco a chi ritrova il suo passato nella comune origine per lingua, storia e tradizione.”
Monsignore le sue dichiarazioni mettono in discussione una decisione del sinodo al quale lei ha partecipato..
“Sì. Ma proprio nel corso del sinodo avevo espresso la mia contrarietà a quella decisione. E poi l’ho ripetuta altre volte e davanti a molti fedeli a Shaqlawa ed ad Araden.”
Quindi lei come definirebbe se stesso?
“Un suraya che abita in Kurdistan ed un caldeo non nel senso di appartenenza etnica ma in quello dell’appartenenza alla chiesa cattolica caldea. Quella caldea è una confessione religiosa e non una nazionalità separata.”
Che la richiesta di inclusione dell'entità caldea come separata dalle altre nella costituzione del Kurdistan avrebbe suscitato i malumori dei sostenitori della comune identità assiro caldea siriaca era prevedibile. Che fosse causa di analogo malumore tra gli stessi vescovi caldei lo era meno.
I tempi sono cambiati in Iraq. I disaccordi che sempre esistono tra le persone – e quindi anche tra i vescovi - e che in passato era più facile fossero conosciuti solo in un ambito ristretto a causa delle scarse comunicazioni del paese con il resto del mondo, nell’era di internet sono ora – e velocemente – patrimonio del mondo.
Certo è che la disputa sul nome – o i nomi - che dovrebbe rappresentare in sede politica gli iracheni di fede cristiana si presenta ora più che mai difficilmente risolvibile.
I tempi sono cambiati in Iraq. I disaccordi che sempre esistono tra le persone – e quindi anche tra i vescovi - e che in passato era più facile fossero conosciuti solo in un ambito ristretto a causa delle scarse comunicazioni del paese con il resto del mondo, nell’era di internet sono ora – e velocemente – patrimonio del mondo.
Certo è che la disputa sul nome – o i nomi - che dovrebbe rappresentare in sede politica gli iracheni di fede cristiana si presenta ora più che mai difficilmente risolvibile.