By Baghdadhope
Lo scorso novembre la comunità europea si è dichiarata favorevole ad un piano di reinsediamento di 10.000 profughi iracheni fuggiti in Siria e Giordania a causa delle violenze in Iraq. Un piano che, si badi bene, prevede l’adesione “volontaria” da parte dei paesi membri e che pur riguardando solo “un certo numero di rifugiati che non hanno alcuna prospettiva di soluzione duratura alternativa, neanche a lungo termine; persone che sono in una situazione di vulnerabilità e che sono facilmente identificabili, in particolare quelli con esigenze mediche, vittime di traumi o torture, membri delle minoranze religiose, o le donne sole con responsabilità familiari” ha suscitato nei mesi successivi molte reazioni negative.
I primi a dichiararsi contrari sono stati i rappresentanti delle chiese irachene che hanno visto in esso un provvedimento in grado di incentivare il già massiccio esodo della comunità cristiana come ha dichiarato a Baghdadhope Mons. Louis Sako, Arcivescovo caldeo di Kirkuk, che ha ricordato come “Il cristiano con il battesimo giura fedeltà alla sua fede, ed il cammino della fede può essere pieno di difficoltà e sacrifici ma non per questo non deve essere percorso” e che “emigrare per vivere una vita da profugo non è la soluzione. Cercare una vita più comoda neanche. Queste persone devono sperare, pregare e lottare perché la situazione migliori e ci sia un domani senza più cittadini di prima o seconda classe.”
A protestare adesso sono però anche i politici.
Così, Asghar Al-Musawi, vice ministro iracheno responsabile dei problemi degli sfollati e dei rifugiati ha definito “inaccettabile” l’incoraggiamento ad emigrare dato agli iracheni cristiani da “alcuni governi”. Una pratica addirittura etichettata come “contraria alle leggi internazionali” visto che riguarderebbe gli appartenenti ad un gruppo particolare (i cristiani) e totalmente “ingiustificata” visto che la situazione in Iraq è “stabile”.
Il riferimento di Al-Musawi più che ad alcuni “generici” governi, sembra indirizzato a quello tedesco.
Il riferimento di Al-Musawi più che ad alcuni “generici” governi, sembra indirizzato a quello tedesco.
Nell’aprile del 2008 il ministro degli interni Wolfgang Schaeuble si era dichiarato favorevole ad accogliere in Germania profughi iracheni di fede cristiana. Una proposta rigettata dall’allora presidente dell’Unione Europea, Dragutin Mate, che aveva affermato che “dobbiamo accogliere i rifugiati e dare loro asilo.. senza precondizioni di religione o razza”.
La questione per qualche mese sembrò in stallo, almeno fino a novembre, data della risoluzione dell’unione europea quando la Germania si dichiarò favorevole ad accogliere 2.500 dei 10.000 profughi previsti ribadendo, furono le parole del Ministro degli Interni dell’Assia Volker Bouffier, di volersi occupare dei cristiani in particolare ma senza rifiutare l’aiuto a persone non della stessa fede ma in analoghe particolari, difficili, situazioni.
Ieri, 18 febbraio, l’agenzia Pukmedia, ha riportato la notizia secondo la quale i primi 70 profughi iracheni destinati ad essere reinsediati in Germania arriveranno a metà marzo in Bassa Sassonia, uno dei 16 stati federati tedeschi che accoglieranno gli altri profughi.
La Germania, quindi, sembra intenzionata a continuare sulla sua strada ed ad accogliere chi, profugo in Giordania o Siria, non vuole o non può tornare in Iraq.
Il giudizio sulla questione è complesso. L’atteggiamento della Chiesa che intende preservare la già minuscola comunità è comprensibile. La sua sparizione dal paese rappresenterebbe una perdita sia per l’Iraq sia per l’intera comunità cristiana mondiale che verrebbe privata di una delle sue componenti più antiche.
Meno lo è quello dei rappresentanti del governo iracheno. Invocare il rispetto delle leggi internazionali che sarebbero violate in caso di accoglienza dei soli iracheni cristiani da una parte è comprensibile perché un tale provvedimento sottintende una “scelta mirata”, d’altra parte però si configura come un’ingerenza nelle decisioni di un governo sovrano che rivendica il diritto a tale scelta.
Gli iracheni per troppo tempo hanno vissuto in uno stato-prigione. Nessuno al mondo si augura che essi, musulmani o cristiani che siano, siano costretti ad abbandonare il proprio paese, la propria cultura, le proprie radici, per vivere la grama esistenza del profugo in terra straniera. Allo stesso modo però nessuno al mondo dovrebbe negare loro il diritto di scegliere dove vivere, specialmente in considerazione delle violenze che essi - tutti - hanno subito negli ultimi decenni tra guerre e dittatura.
Il tempo, e le statistiche, diranno se la Germania, per ora l’unico paese europeo ad aver iniziato la messa in pratica dell’invito dell’Unione, davvero accoglierà solo profughi iracheni di fede cristiana. Condizione che, è bene ricordare, non è presente nella risoluzione che si riferisce “anche” ma non “solo” ai “membri delle minoranze religiose”.
Per ora ciò che si sa è che proprio ieri il Ministro degli Affari Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, ha inaugurato il consolato tedesco ad Erbil, nel Kurdistan iracheno, territorio dove a migliaia gli iracheni del centro e del sud - e tra essi molti, moltissimi, cristiani - si sono rifugiati.
Quando si dice la caparbietà e l’organizzazione dei tedeschi!
Ieri, 18 febbraio, l’agenzia Pukmedia, ha riportato la notizia secondo la quale i primi 70 profughi iracheni destinati ad essere reinsediati in Germania arriveranno a metà marzo in Bassa Sassonia, uno dei 16 stati federati tedeschi che accoglieranno gli altri profughi.
La Germania, quindi, sembra intenzionata a continuare sulla sua strada ed ad accogliere chi, profugo in Giordania o Siria, non vuole o non può tornare in Iraq.
Il giudizio sulla questione è complesso. L’atteggiamento della Chiesa che intende preservare la già minuscola comunità è comprensibile. La sua sparizione dal paese rappresenterebbe una perdita sia per l’Iraq sia per l’intera comunità cristiana mondiale che verrebbe privata di una delle sue componenti più antiche.
Meno lo è quello dei rappresentanti del governo iracheno. Invocare il rispetto delle leggi internazionali che sarebbero violate in caso di accoglienza dei soli iracheni cristiani da una parte è comprensibile perché un tale provvedimento sottintende una “scelta mirata”, d’altra parte però si configura come un’ingerenza nelle decisioni di un governo sovrano che rivendica il diritto a tale scelta.
Gli iracheni per troppo tempo hanno vissuto in uno stato-prigione. Nessuno al mondo si augura che essi, musulmani o cristiani che siano, siano costretti ad abbandonare il proprio paese, la propria cultura, le proprie radici, per vivere la grama esistenza del profugo in terra straniera. Allo stesso modo però nessuno al mondo dovrebbe negare loro il diritto di scegliere dove vivere, specialmente in considerazione delle violenze che essi - tutti - hanno subito negli ultimi decenni tra guerre e dittatura.
Il tempo, e le statistiche, diranno se la Germania, per ora l’unico paese europeo ad aver iniziato la messa in pratica dell’invito dell’Unione, davvero accoglierà solo profughi iracheni di fede cristiana. Condizione che, è bene ricordare, non è presente nella risoluzione che si riferisce “anche” ma non “solo” ai “membri delle minoranze religiose”.
Per ora ciò che si sa è che proprio ieri il Ministro degli Affari Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, ha inaugurato il consolato tedesco ad Erbil, nel Kurdistan iracheno, territorio dove a migliaia gli iracheni del centro e del sud - e tra essi molti, moltissimi, cristiani - si sono rifugiati.
Quando si dice la caparbietà e l’organizzazione dei tedeschi!