Non lontano da Mosul sorgono le rovine della biblica città di Ninive. A
partire dal primo secolo i cristiani popolavano l’intera regione. Dopo
tre anni di occupazione della città da parte dei terroristi dello “stato
islamico” (IS), l’eredità cristiana è ridotta a un cumulo di macerie. I
fedeli sono stati uccisi o cacciati.
L’arcivescovo di Mosul, Boutros Moshe, 74 anni, ha vissuto da vicino il dramma della fuga e della distruzione. Appartiene alla Chiesa siro-cattolica e vive tuttora in esilio. Durante un recente viaggio in Europa è stato ospite, tra l’altro, dell’Accademia cattolica di Amburgo. In questa intervista, rilasciata a Michael Althaus per l’agenzia cattolica KNA (24.11.2017) riferisce sulla difficile situazione dei cristiani nell’Iraq del nord, i quali, nonostante la liberazione, stanno lottando per la loro sopravvivenza.
L’arcivescovo di Mosul, Boutros Moshe, 74 anni, ha vissuto da vicino il dramma della fuga e della distruzione. Appartiene alla Chiesa siro-cattolica e vive tuttora in esilio. Durante un recente viaggio in Europa è stato ospite, tra l’altro, dell’Accademia cattolica di Amburgo. In questa intervista, rilasciata a Michael Althaus per l’agenzia cattolica KNA (24.11.2017) riferisce sulla difficile situazione dei cristiani nell’Iraq del nord, i quali, nonostante la liberazione, stanno lottando per la loro sopravvivenza.
Nel suo viaggio verso l’Europa lei è passato per Mosul. Che cosa ha visto?
Era mattina presto e piuttosto buio, ma
ho visto una quantità di macerie. Il settore occidentale dove c’erano
molte nostre chiese è completamente distrutto e, per il momento,
inabitabile. Molti cristiani erano fuggiti, alcuni già prima dell’arrivo
dell’IS. Ai tempi di Saddam Hussein a Mosul c’erano 10 mila cristiani.
All’arrivo dell’IS, nel 2014, ne rimanevano ancora 2.000, oggi in città
non c’è più nessuno.
Dove sono adesso i cristiani del nord Irak?
Si trovano in gran parte nella regione
dei villaggi del nord-ovest o sud-ovest di Mosul. Ma molti cristiani
sono anche in Kurdistan.
Lei vive già da alcuni anni a Karakosh, a circa 30 chilometri a sud est di Mosul. Com’è la situazione dei cristiani?
Anche Karakosh è stata occupata dall’IS e
tutti i cristiani dovettero fuggire. In questo tempo ho vissuto due
anni e mezzo a Erbil. Allorché i terroristi nell’ottobre 2016 furono
cacciati, saccheggiarono la città, incendiarono le case e distrussero le
chiese. Anche se la situazione in Iraq attualmente non è ancora
stabile, a Karakosh è in certo senso tranquilla. Molti cristiani, come
ho fatto anch’io, sono tornati. Attualmente vivono qui da 400 a 500
famiglie. Ma c’è ancora molto da fare prima di poter avviare una vita
normale.
Come si presenta attualmente la vita cristiana?
Il nostro popolo è molto credente e i
nostri sacerdoti sono molto impegnati. A Karakosh si celebrano ogni
giorno cinque messe. Nei giorni feriali non viene molta gente, ma la
domenica non basta il posto nelle nostre chiese e molti devono rimanere
fuori. Attualmente mi sto preoccupando per la festa di Natale. Non so
come possiamo accogliere tutta la gente.
Voi celebrate le messe in chiese semidistrutte in cui tuttavia vengono migliaia di persone. Come vi trovate?
Le distruzioni dell’IS hanno provocato
un forte shock nella gente. L’avviso diceva: se tornate indietro, vi
annienteremo. Ma noi abbiamo una grande fiducia nel Signore e non ci
lasciamo scoraggiare. Naturalmente dobbiamo stare molto attenti ed
essere vigilanti affinché i conflitti del passato non abbiano nuovamente
a ripetersi. Ma dobbiamo custodire la nostra cultura e la nostra storia
di cui siamo orgogliosi. Per questo vogliamo continuare e andare
avanti.
Si dice che l’IS è ormai in gran parte vinto. Ma è vinta anche l’ideologia?
L’ideologia estremista continua ad
esistere. Perciò abbiamo bisogno di un forte governo laico che applichi
correttamente la Costituzione. Ci sono, sia dopo come prima, molti
interessi in Iraq e non è escluso che ci capiti di essere vittime di un
nuovo conflitto. Noi speriamo che il governo iracheno si tenga lontano
dalle dispute etniche e religiose e che noi cristiani abbiamo ad essere
considerati cittadini alla pari e vengano garantiti i nostri diritti.
Questo ci attendiamo anche dalla
comunità mondiale da cui recentemente abbiamo sentito delle belle
parole, ma noi vogliamo vedere i fatti.
Avete fiducia che il governo iracheno garantisca la stabilità?
Dopo così tante guerre io spero che il
nostro governo abbia capito che con la violenza e la guerra non si
risolve alcun problema. L’Europa, per esempio, l’ha compreso e i popoli
hanno concluso la pace. La comunità mondiale deve esercitare una
pressione del genere sul governo iracheno.
Lei rivolge spesso delle critiche
alla comunità mondiale. Ci sono tuttavia già alcuni paesi che si
impegnano nella Regione. Anche la Germania, per esempio, ha predisposto
degli aiuti per la ricostruzione. Questo non è sufficiente?
Gli aiuti finanziari non sono la cosa
decisiva. Noi aspettiamo qualcosa di più, che cioè la comunità mondiale
eserciti una pressione sul nostro governo. Senza questa pressione,
riusciremo a far poco.
Lei, assieme ad altre Chiese della
Regione, ha costituito un comitato con il compito di promuovere la
ricostruzione. Ha in programma anche la ricostruzione delle numerose
chiese distrutte?
Personalmente sono convinto che il tema
delle infrastrutture costituisca la maggiore priorità. Abbiamo bisogno
di ospedali, scuole, posti di lavoro per la gente.
Dopo dobbiamo preoccuparci della
costruzione delle abitazioni. Le chiese, a mio parere, possiamo
ricostruirle quando ci saranno condizioni degne di vita.
Che speranze ha che i cristiani possano ritornare nella città di Mosul, così ricca di storia?
Per il momento ho poca speranza. Devo
dire onestamente che la maggioranza dei cristiani non vogliono più
tornare a Mosul. Molti stanno vendendo le loro case e sono sul punto di
lasciare definitivamente la città. Soltanto quando avremo un governo
stabile che garantisca la pace e la sicurezza posso pensare che la vita
cristiana in ogni caso possa riprendere a Mosul. Ma per il momento non
ne vedo la possibilità.