"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

15 dicembre 2017

Sacerdote iracheno perdona l’assassino del fratello e chi lo ha cacciato di casa

By Aleteia
Javier Lozano
Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti

Padre Naim Shoshandy
è un giovane sacerdote iracheno di rito siro-cattolico. A 34 anni confessa che la terra in cui è nato ha visto solo guerra e orrori. Lui stesso conosce in prima persona la sofferenza e la persecuzione.
Naim è il minore di cinque fratelli. Suo fratello Raid è stato assassinato a Mosul per il solo fatto di essere cristiano, e sia lui che la sua famiglia hanno dovuto fuggire dalla loro città, Qaraqosh, quando nel 2014 lo Stato Islamico ha attaccato e conquistato la città, in cui esisteva una consistente minoranza cristiana.

Una campagna perché i cristiani iracheni possano tornare a casa
Il religioso si è recato mercoledì a Madrid alla presentazione della campagna di Aiuto alla Chiesa che Soffre Ayúdales a volver (Aiutali a tornare), nella quale si ricostruiranno oltre 13.000 case di cristiani e centinaia di chiese e cappelle nella piana di Ninive perché possano tornare nella propria terra, in quella dei loro antenati, in cui hanno ricevuto la fede.
Visibilmente emozionato, padre Naim si è interrotto varie volte per le lacrime. Per vari anni ha vissuto con la famiglia e i parrocchiani in un campo di rifugiati di Erbil, nel Kurdistan iracheno, dove ha svolto la sua opera pastorale e ha seguito un programma di aiuto ai malati di cancro, malattia che ha ucciso suo padre, sfollato dagli jihadisti.
Nel suo intervento, il sacerdote ha parlato della forza della fede dei cristiani iracheni, della forza del perdono che stanno sperimentando e della grande voglia che hanno di tornare nelle proprie case. Non vogliono andare in Europa, né negli Stati Uniti o in Paesi vicini. Vogliono tornare a casa anche se sanno che non è ancora un luogo sicuro.


“Siamo riusciti a perdonare l’assassino di mio fratello”
“Vivere da cristiani in Iraq non è facile”, ha affermato, ricordando quanto sia stato difficile l’assassinio di suo fratello per mano degli islamisti. “La sua morte è stata dura, ma grazie a Dio siamo riusciti a perdonare l’assassino di mio fratello”, ha spiegato.
Nella sua testimonianza ha ricordato il momento in cui è caduta Mosul, la seconda città dell’Iraq per grandezza, ad appena 30 chilometri da Qaraqosh, il suo villaggio. Non dimenticherà nemmeno quel 6 agosto 2014, quando all’alba tutti sono stati svegliati dal rumore delle bombe e delle esplosioni, così come non dimentica il giorno in cui sono arrivati gli jihadisti.

L’arrivo dei terroristi a casa sua
Lo Stato Islamico ha attaccato Qaraqosh, e una delle bombe “è caduta vicino a casa mia. Ricordo che è morta una ragazza, una mia vicina che aveva quasi 25 anni, e anche due bambini che giocavano in strada”.
In quel momento hanno iniziato a provare una paura che non li ha più abbandonati e che solo la fede è riuscita a vincere. “Abbiamo sofferto molto per il fatto di doverci lasciare indietro la nostra vita, le nostre cose, la nostra storia, non sapendo dove andavamo e se saremmo rimasti in vita”, ha detto tra le lacrime. Hanno quindi iniziato a dormire in strada, in alcune tende nei parcheggi, soffrendo caldo e freddo.

La Croce, il motivo della sua espulsione
“Tutti siamo dovuti andare via da lì per questa croce”, ha detto padre Naim mostrando un grande crocifisso. Essere cristiani era l’unico motivo per il quale fuggivano o morivano. I cristiani, però, non hanno rinnegato la loro fede per sopravvivere.
Il sacerdote siro-cattolico ha affermato orgoglioso che i cristiani perseguitati del suo Paese “hanno una fede molto grande perché Dio è con noi”.

L’“arma” dei cristiani iracheni
Gli jihadisti hanno armi e bombe. “Noi abbiamo Dio e il Rosario come arma”, ha affermato mostrando il crocifisso e il rosario, le uniche cose che è riuscito a portare con sé quando ha dovuto lasciare in fretta Qaraqosh. Non ha potuto prendere né vestiti né beni, solo quello che aveva addosso e le sue due “armi”.
Malgrado le sofferenze che hanno sperimentato lui e il resto dei cristiani della piana di Ninive, padre Naim ha insistito sul fatto che “siamo riusciti a perdonare le persone dello Stato islamico”. “Nell’accampamento con mia madre abbiamo provato sofferenza, dolore, stanchezza, ma sempre con la certezza che Dio è con noi”.
Com’è riuscito a perdonare? È una domanda che gli pongono molti. La sua risposta è chiara: “Quando Cristo era sulla croce, ha perdonato chi lo stava uccidendo. Questa è la testimonianza che attende il mondo”.

L
’anelito a tornare nelle proprie case
Sia padre Naim che migliaia di cristiani che vivono nei campi di rifugiati vogliono solo tornare nelle loro case. Sa che molti cristiani se ne sono andati per non tornare più, ma ce ne sono molte migliaia che vogliono riprendere la propria vita dopo essere stati strappate da lì tre anni fa.
“Perché dobbiamo abbandonare il nostro Paese, la nostra terra, la nostra storia, i miei nonni, la mia Chiesa, la mia fede? Questo Paese lo abbiamo fatto anche noi”,
ha detto con decisione.
Per aiutare a realizzare questo anelito dei cristiani perseguitati è stata avviata la campagna di ACS per aiutarli a ricostruire case e chiese distrutte dallo Stato Islamico.


Dio non ci abbandonerà”
Il sacerdote iracheno ha trasmesso il sentire dei suoi parrocchiani: “Abbiamo la speranza di tornare a casa. Dio non ci abbandonerà, e abbiamo anche la speranza che ci siano fratelli che ci aiuteranno”.
La sua esperienza di fede, ha aggiunto, gli ha mostrato che “Dio era con noi in ogni momento, e non è mai lontano dalle persone che soffrono”. Il sacerdote confida nella Provvidenza e nell’aiuto dei cristiani d’Occidente, “i miei fratelli”.
“Vogliamo tornare, vogliamo vivere come cristiani in Iraq”
, ha aggiunto, avanzando anche una richiesta molto concreta: i cristiani iracheni vogliono “celebrare il Natale in casa, mettere il presepe e l’albero”.

Una campagna senza precedenti di Aiuto alla Chiesa che Soffre

Questa campagna è quella di maggior spessore intrapresa da Aiuto alla Chiesa che Soffre, ha affermato Javier Menéndez Ros, direttore di questa fondazione pontificia in Spagna.
Tecnici e architetti della fondazione hanno visitato le località cristiane della piana di Ninive casa per casa perché 12.000 famiglie vi potessero tornare. In totale, 13.088 case sono state danneggiate dai terroristi. Di queste, 8.291 sono state parzialmente distrutte, 3.357 bruciate e 1.234 totalmente distrutte.
363 edifici ecclesiali – parrocchie o cappelle – sono state colpite dai terroristi: 197 sono state parzialmente distrutte, 132 date alle fiamme e 34 completamente rase al suolo. Con la campagna “Aiutali a tornare” si vuole rafforzare la presenza cristiana in questa zona dell’Iraq, dalla quale sono stati espulsi 120.000 cristiani.
“Vogliamo tornare!”,
ha concluso il suo intervento padre Naim, sapendo che la Provvidenza agirà per aiutarli.