By Asia News
Le persone vivono “l’attesa del Natale con gioia, come se avessero lasciato il carcere” dopo aver trascorso gli ultimi anni “rifugiati nei centri di accoglienza a Erbil e nel Kurdistan irakeno”. La speranza è che “quanti sono fuggiti” in altri Paesi della regione o in Occidente “possano tornare a casa” e contribuire “in prima persona alla rinascita della nostra terra”. È quanto racconta ad AsiaNews don Paolo Thabit Mekko, sacerdote caldeo di Mosul, che nei giorni scorsi ha celebrato per la prima volta la festa di Santa Barbara a Karamles, nella piana di Ninive, per tre anni nelle mani dei miliziani dello Stato islamico (SI, ex Isis). “Abbiamo organizzato una festa solenne - sottolinea - per mostrare che, seppur lentamente e a fatica, vogliamo tornare alla normalità e vivere appieno questo periodo di Avvento in preparazione alla nascita di Gesù”.
Le persone vivono “l’attesa del Natale con gioia, come se avessero lasciato il carcere” dopo aver trascorso gli ultimi anni “rifugiati nei centri di accoglienza a Erbil e nel Kurdistan irakeno”. La speranza è che “quanti sono fuggiti” in altri Paesi della regione o in Occidente “possano tornare a casa” e contribuire “in prima persona alla rinascita della nostra terra”. È quanto racconta ad AsiaNews don Paolo Thabit Mekko, sacerdote caldeo di Mosul, che nei giorni scorsi ha celebrato per la prima volta la festa di Santa Barbara a Karamles, nella piana di Ninive, per tre anni nelle mani dei miliziani dello Stato islamico (SI, ex Isis). “Abbiamo organizzato una festa solenne - sottolinea - per mostrare che, seppur lentamente e a fatica, vogliamo tornare alla normalità e vivere appieno questo periodo di Avvento in preparazione alla nascita di Gesù”.
Lo Stato islamico, dichiarato sconfitto
lo scorso fine settimana dal premier irakeno Haider al-Abadi, “è
diventato storia, fa parte del passato”, racconta don Paolo, ma “restano
ancora dei problemi legati ad alcune milizie (sciite)” che sono fonte
di tensione. Vi è inoltre la questione primaria “legata alla
ricostruzione delle case” e questo vale “per Karamles come per molte
altre cittadine della piana, prima fa tutte Qaraqosh”.
Nei giorni scorsi la comunità ha festeggiato Santa Barbara
con una celebrazione eucaristica e una fiaccolata, partita dalla chiesa
della Vergine Maria e terminata al santuario dedicato alla santa.
Conclusi i riti e le funzioni, la comunità si è riunita per un momento
conviviale, cui è seguita la “prima partita” a calcio nel rinnovato
stadio del Karamles Sporting Club cui hanno partecipato giovani
cristiani e musulmani.
“In previsione della festa - racconta il sacerdote - abbiamo
completato i lavori di ripristino del santuario. In molti sono accorsi
per partecipare alla festa e sono rimasti stupiti dalla solennità delle
celebrazioni. Cerchiamo di mostrare il ritorno alla normalità e, in
questo contesto, si inserisce anche la partita a pallone in un centro di
nuovo pronto a ospitare eventi sportivi. Ora vogliamo promuovere una
sorta di campionato per giovani cristiani e musulmani dei villaggi
vicini”.
“Finora sono 270 le famiglie tornate a Karamles - spiega don Paolo - e
la Chiesa prosegue nel lavoro di ricostruzione delle case bruciate o
distrutte, anche se non è un’opera facile”. Le famiglie devono
“ricostruirsi una vita” e per farlo “servono servizi pubblici,
elettricità che viene rifornita solo 4 ore al giorno, riscaldamento”. La
vita “sta riprendendo e si cerca di tornare alla normalità”, aggiunge
“ma servono tempo e soldi perché Daesh [acronimo arabo per lo SI] ha
distrutto tutto”.
“Di recente - prosegue - abbiamo inaugurato un asilo che accoglie 70
bambini, aperto anche ai non cristiani. E ancora, ci sono i danni della
guerra da riparare, primo fra tutti l’abbattimento dei muri di terra
eretti da Peshmerga (le milizie curde) e jihadisti come barricate;
dobbiamo spianare il terreno, per procedere poi alla semina di frutta e
verdura. A questo si aggiunge la bonifica dei terreni dalle mine
lasciate dall’Isis. Molti contadini non si fidano ad avventurarsi per i
campi a causa del pericolo nascosto”.
In questi giorni fervono i lavori per l’allestimento del presepe,
l’addobbo delle strade, la sistemazione della chiesa e del salone
principale del centro culturale, che ospiterà la messa della notte di
Natale. “Fra le persone - confida don Paolo - vi è ancora un clima di
freddezza, di timore, per il ricordo del dramma vissuto in questi ultimi
anni: le violenze jihadiste, la fuga dalla propria terra, l’esilio,
l’esodo di molti all’estero in cerca di una nuova vita. Sto cercando di
coinvolgere i giovani nei lavori di preparazione; a Karamles abbiamo
aperto una casa per studenti cristiani che frequentano l’università di
Mosul, originari di altre cittadine e villaggi. Per Natale stiamo
pensando di organizzare una festa per loro, per farli sentire meno
lontani dalle loro case, dalle loro famiglie”.
Nonostante le difficoltà “i fedeli vogliono vivere la ricorrenza, un
momento speciale caratterizzato da tradizioni che vogliamo rispettare”.
Tuttavia, i bisogni “sono ancora molti” e “l’aiuto dall’esterno resta
fondamentale”, ricorda don Paolo che vuole chiudere con un augurio: “Che
la nascita di Cristo sia occasione per far rinascere la piana di Ninive
e i suoi villaggi, non solo Karamles, per offrire a quanti sono fuggiti
l’opportunità di ritornare”.