By La Stampa - Vatican Insider
Gianni Valente
Gianni Valente
Non bastano le raccolte di fondi e le mobilitazioni di associazioni
internazionali a garantire la permanenza di una presenza cristiana in
Medio Oriente. Servono prima di tutto «soluzioni politiche» che
assicurino stabilità e interrompano la spirale di conflitti e violenze
che continua a violentare le vite di interi popoli. Il Patriarca caldeo
Louis Raphael Sako, dopo aver presieduto il sinodo della sua Chiesa –
svoltosi a Roma dal 4 all’8 ottobre – e dopo aver preso parte
all’incontro di Papa Francesco con i Capi delle Chiese cattoliche
orientali, delinea le incognite non rassicuranti che pesano sul futuro
dei cristiani iracheni, con la Piana di Ninive che potrebbe trovarsi al
centro di un nuovo scontro militare tra Baghdad e il governo
indipendentista del Kurdistan. Nel contempo, il Primate della Chiesa
caldea ripete che la permanenza dei cristiani in Medio Oriente è una
questione che dipende dalla fede, più che da strategie politiche: «Noi
cristiani vediamo come il Papa che l’unica nostra forza è la nostra
fede. Non abbiamo nient’altro».
La sconfitta dei jihadisti di Daesh non sembra
garantire la pace in Iraq. E questo tocca anche la condizione delle
comunità cristiane locali. Quale strada conviene seguire?
«In Medio Oriente abbiamo bisogno di soluzioni politiche. Non ci
servono solo aiuti economici e donazioni per un po’ di tempo. Le persone
sono stanche di passare da una guerra all’altra, vogliono stabilità,
vogliono vivere insieme in sicurezza, libertà e dignità. Ma
all’Occidente questo non interessa. E dietro gli slogan su libertà e
democrazia non c’è niente».
Da dove viene la difficoltà di comprensione in Occidente delle dinamiche mediorientali?
Da dove viene la difficoltà di comprensione in Occidente delle dinamiche mediorientali?
«Ci sono due mentalità. L’Occidente ha come nuova religione l’ateismo
pratico. Si percepisce un vuoto spirituale, e anche tanti cristiani
appaiono tiepidi. All’opposto di questo c’è l’islam politico, in cui la
religione si identifica e si fonde con la politica, viene assorbita
dalla politica. I musulmani devono capire che il mondo è cambiato, che
l’islam non è l’unica religione in Medio Oriente e l’unica strada per
promuovere la convivenza e il progresso è un governo civile fondato sul
principio di cittadinanza eguale per tutti».
C’è chi pensava di risolvere tutto «esportando» la democrazia con le guerre.
C’è chi pensava di risolvere tutto «esportando» la democrazia con le guerre.
«La libertà e la democrazia in politica si acquisiscono accompagnando
le persone in processi di formazione a lungo termine. Ma i capi
politici dei nostri Paesi spesso perseguono solo i loro interessi
personali di potere e di soldi, di corto respiro. Non si capisce dove
stiamo andando, si capisce solo che a pagare sono i poveri e gli innocenti. Appena finita l’occupazione dello Stato
Islamico, subito si è aperto un nuovo fronte di grande tensione e
incertezza con il referendum indetto dal Kurdistan iracheno per
proclamare la propria indipendenza».
Come vi ponete davanti alla questione curda?
Come vi ponete davanti alla questione curda?
«In Iraq i curdi sono 5 milioni, ma nella regione, divisi tra Iraq,
Iran, Siria e Turchia, sono 40 milioni. In linea di principio hanno
diritto ad avere un loro Stato, ma questo deve essere preparato e
negoziato tenendo conto dei contesti e dei momenti, trattando con i
governi e la comunità internazionale, e certo non attraverso la politica
dei fatti compiuti e con decisioni unilaterali».
I cristiani hanno appoggiato il referendum?
I cristiani hanno appoggiato il referendum?
«Alcuni di quelli che si trovano in Kurdistan hanno appoggiato il
referendum. Pensano che il loro futuro sia lì. È un loro diritto. Molti
altri appaiono contrari».
Quali sono i problemi e i rischi?
Quali sono i problemi e i rischi?
«Un problema irrisolto è quello delle cosiddette aree disputate, tra
le quali c’è Kirkuk e anche la Piana di Ninive, la regione di
tradizionale radicamento storico di tante comunità cristiane. È un
problema che doveva essere risolto prima. Noi, come Chiesa, abbiamo
sempre invitato le parti a confrontarsi dialogando. Temiamo che le
strategie del muro contro muro finiranno per creare le condizioni di un
nuovo conflitto, che sarebbe logorante e catastrofico».
C’è pericolo che la situazione degeneri?
«Si avverte una tensione già molto grande».
I cristiani della Piana di Ninive hanno davvero partecipato al referendum? E quanti?
I cristiani della Piana di Ninive hanno davvero partecipato al referendum? E quanti?
«Secondo me non molti. Proprio la Piana di Ninive adesso è un
territorio diviso, per il modo in cui è avvenuta la liberazione dai
jihadisti di Daesh. La parte nord è stata liberata dai curdi Peshmerga, e
adesso è controllata militarmente da loro. La parte meridionale invece è
controllata dall’esercito iracheno e dalle milizie di mobilitazione
popolare, prevalentemente sciite, perché lì sono stati loro a sottrarla a
Daesh. La situazione è delicata, gli equilibri sono fragilissimi».
Il Comitato per il referendum del Kurdistan ha promesso ai cristiani l’autonomia nella Piana di Ninive. Una promessa che riaccende l’antico sogno di creare lì un’area autonomia protetta per i cristiani. Lei cosa ne pensa?
Il Comitato per il referendum del Kurdistan ha promesso ai cristiani l’autonomia nella Piana di Ninive. Una promessa che riaccende l’antico sogno di creare lì un’area autonomia protetta per i cristiani. Lei cosa ne pensa?
«Siamo abituati alle promesse da parte di tutti, sia da parte del
governo centrale che da parte del governo regionale del Kurdistan.
Occorre imparare le lezioni della storia. Non conviene fidarsi
ciecamente o in maniera sentimentalista di chi fa promesse irrealiste.
Anche perché loro non sono agenzie umanitarie. Se promettono qualcosa,
lo fanno perché ciò rientra nei loro disegni politici».
Ci sono traffici di denaro per avere il sostegno delle sigle cristiane all’indipendenza del Kurdistan?
Ci sono traffici di denaro per avere il sostegno delle sigle cristiane all’indipendenza del Kurdistan?
«La maggioranza dei partitini cristiani ricevono sovvenzioni, anche
da persone influenti e in contatto con il governo regionale curdo. Un
ruolo importante in questo continua ad averlo Sarkis Aghajan Mamendo,
cristiano assiro, già ministro delle finanze della Regione autonoma del
Kurdistan, che in passato ha indirizzato tanti fondi per finanziare
progetti che stavano a cuore alle comunità e alle gerarchie ecclesiali
presenti in Iraq».
Anche Lei è stato attaccato da alcuni militanti politici cristiani di quei partitini. L’hanno accusata di interferire troppo in questioni politiche.
Anche Lei è stato attaccato da alcuni militanti politici cristiani di quei partitini. L’hanno accusata di interferire troppo in questioni politiche.
«La Chiesa non ha nessuna voglia di fare politica. Ma nella
situazione di vuoto che stiamo vivendo, e nella totale assenza di punti
di riferimento, noi dobbiamo dire una parola di giustizia e di saggezza
alle tante persone che la chiedono. Vengono da noi perché non hanno
altri a cui rivolgersi, ci chiedono aiuto per trovare lavoro, o ci
chiedono di aiutarli a ritrovare i loro parenti che vengono rapiti».
Anche i curdi sono divisi tra loro.
Anche i curdi sono divisi tra loro.
«Anche questo contribuisce alla generale incertezza. In Kurdistan ci
sono forze politiche che sono contro l’indipendenza. E temo che la
divisione tra indipendentisti e anti-indipendentisti verrà ulteriormente
esasperata dall’embargo contro il Kurdistan. Già sono stati eliminati i
voli internazionali verso Erbil. Se la situazione economica si complica, dove troveranno i
soldi per pagare gli stipendi a militari, funzionari e impiegati
pubblici?»A livello internazionale, finora, nessuno ha riconosciuto l’indipendenza del Kurdistan.
«Però vengono fatti circolare molti “messaggi doppi”. Il Presidente
francese ha detto che non era contrario. I canadesi hanno manifestato il
loro appoggio. Gli statunitensi hanno in Kurdistan i loro consiglieri e
certi congressmen. E poi c’è la posizione favorevole di Israele…».
Organizzazioni internazionali e anche tanti leader e apparati politici dicono di voler aiutare i cristiani. Ma sembrano affidare la sorte dei cristiani solo ai rapporti di forza geopolitici e alle mobilitazioni e pressioni organizzate dall’esterno.
Organizzazioni internazionali e anche tanti leader e apparati politici dicono di voler aiutare i cristiani. Ma sembrano affidare la sorte dei cristiani solo ai rapporti di forza geopolitici e alle mobilitazioni e pressioni organizzate dall’esterno.
«Il Papa, quando ha incontrato i capi delle Chiese cattoliche
orientali, ha ripetuto che i cristiani in Medio Oriente sono vittime
della “guerra a pezzi” voluta dal diavolo. E ha detto a tutti di
affidarci alla preghiera e al Vangelo per chiedere che sia custodita la
presenza cristiana nelle nostre terre. Non ha fatto cenno a nessuno
strumento di potere o di pressione politica o geopolitica. La permanenza
dei cristiani in Medio Oriente è una questione che dipende dalla fede e
dallo spirito missionario, più che da strategie politiche. Noi
cristiani vediamo come il Papa che l’unica nostra forza è la nostra
fede. Non abbiamo nient’altro. Solo la fede può far riconoscere che la presenza
cristiana ha una missione in Medio Oriente: siamo chiamati a mostrare
agli altri che c’è un altro modo di vivere e di agire. Tanti nostri
concittadini musulmani ci apprezzano per come viviamo in famiglia, per
la nostra lealtà, per le nostre opere, come ad esempio le scuole.
Riconoscono che la nostra presenza porta un contributo positivo e
indispensabile alla coesistenza nelle nostre società, nelle forme
storiche in cui questa presenza si è espressa. Per questo, chi ci vuole
davvero aiutare deve favorire questa simpatia nei confronti dei
cristiani, e non deve separare o addirittura contrapporre i cristiani ai
loro concittadini musulmani e di altre religioni. Questo può anche
essere pericoloso».
Lei in passato ha denunciato che alcuni Paesi occidentali stavano favorendo l’emigrazione dei cristiani mediorientali e in questo modo contribuivano a svuotare il Medio Oriente dei cristiani. Ma alcuni giorni fa alcuni rifugiati cristiani in Libano hanno organizzato una manifestazione di protesta, accusando i vertici delle loro Chiese di frenare e sabotare le loro richieste di espatrio verso l’Occidente, per paura di perdere fedeli. Le cose stanno davvero così?
Lei in passato ha denunciato che alcuni Paesi occidentali stavano favorendo l’emigrazione dei cristiani mediorientali e in questo modo contribuivano a svuotare il Medio Oriente dei cristiani. Ma alcuni giorni fa alcuni rifugiati cristiani in Libano hanno organizzato una manifestazione di protesta, accusando i vertici delle loro Chiese di frenare e sabotare le loro richieste di espatrio verso l’Occidente, per paura di perdere fedeli. Le cose stanno davvero così?
«Assolutamente no. Non abbiamo mai chiesto in maniera né diretta né
indiretta o ufficiosa di non dare i visti ai cristiani che vogliono
espatriare. Andar via o rimanere è una decisione personale, da prendere
in coscienza, e tale decisione va rispettata. Ma io come Patriarca non
posso certo promuovere o sostenere l’emigrazione massiccia dei cristiani mediorientali. Inoltre, la
Chiesa deve impegnarsi più a fondo nella pastorale dei propri fedeli che
emigrano, affinché non dissipino in poco tempo tutta la ricchezza
spirituale legata alla propria appartenenza alla Chiesa d’origine».A tal riguardo, il papa ha detto che la Chiesa non
è latina o slava o bizantina, ma è «cattolica». Viene valorizzata o
trascurata la ricchezza spirituale delle Chiese d’Oriente cattoliche
come strumento per far percepire la cattolicità di Chiesa?
«Tutti facciamo parte della Chiesa cattolica universale, ma questa
appartenenza non vuol dire omologazione alle forme e alle dinamiche
della Chiesa occidentale latina. La diversità nella comunione di chi
appartiene alla stessa Chiesa è una ricchezza, e noi abbiamo bisogno gli
uni degli altri».
Il ritorno dei rifugiati cristiani alle proprie case nella Piana di Ninive è davvero consistente, come dicono alcuni, anche per mostrare l’importanza delle proprie iniziative di sostegno, o è esiguo, come dicono altri osservatori?
Il ritorno dei rifugiati cristiani alle proprie case nella Piana di Ninive è davvero consistente, come dicono alcuni, anche per mostrare l’importanza delle proprie iniziative di sostegno, o è esiguo, come dicono altri osservatori?
«Non bastano le offerte a favorire il ritorno degli sfollati, serve
anche ricostruire e sviluppare le infrastrutture distrutte, le scuole, i
dispensari. Ma occorre soprattutto riconoscere che l’incertezza sul
futuro della Piana di Ninive e il rischio di un nuovo conflitto tra
esercito governativo e Peshmerga induce tanti di loro ad aspettare, a
prendere tempo. Attendono di vedere come va a finire. Spero che prevalga
il dialogo, e non il caos e le armi che uccidono e distruggono tutto».