"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

23 ottobre 2017

Il ritorno dei cristiani nella Piana di Ninive

By La Stampa - Vatican Insider
Cristian Uguccioni

«Martedì 17 ottobre, a Qaraqosh, nella Piana di Ninive (Iraq), dopo settimane di lavori compiuti da un’impresa locale, abbiamo riaperto la nostra scuola elementare, che era stata saccheggiata e danneggiata dai jihadisti dell’Isis. Abbiamo accolto 400 bambini tornati qui con le loro famiglie. A breve – grazie al decisivo aiuto della Fondazione Avsi (che ci segue da tempo) – riapriremo anche l’asilo, che era stato bruciato». Sono le parole di suor Silvia Batras, domenicana irachena. Originaria di Alqosh, 36 anni, oggi vive a Erbil, nel Kurdistan iracheno: guida la comunità domenicana locale, insegna catechismo ed è vicepreside della scuola costruita per i profughi cristiani. Da Erbil segue il ritorno delle proprie consorelle nella Piana di Ninive, dove si reca spesso. A Vatican Insider racconta la fuga dei cristiani dopo l’invasione dell’Isis, i patimenti da loro vissuti, la speranza che li sostiene, la liberazione. Racconta vite passate attraverso il fuoco della tribolazione. E rimaste aggrappate al Signore.
Torniamo all’estate del 2014: lei quando fuggì dalla Piana di Ninive? 
«Venerdì 1 agosto 2014, con l’avanzata delle milizie dell’Isis, le mie sette consorelle ed io lasciammo il convento di Tilkef per rifugiarci ad Alqosh presso un’altra nostra comunità. Il giorno 6 iniziò a circolare la voce che l’Isis stava arrivando: le mie consorelle partirono in giornata; io rimasi per aiutare i miei familiari che vivevano in città: alle 23 decidemmo di scappare anche noi, insieme a migliaia di altri cristiani. E cominciammo a camminare: ricordo la paura, la rabbia, il dolore, l’affanno, il pianto dei bambini. Il mattino seguente eravamo in Kurdistan, salvi. Nei giorni successivi ci dissero che i cristiani fuggiti dalla Piana di Ninive erano circa 150mila: fu un vero esodo. Non dimenticherò mai quella notte: prego sempre il Signore che nessuno debba mai sperimentare ciò che abbiamo vissuto noi».  
Quali pensieri agitavano la sua mente quella notte? 
«Ero impaurita. Tutte le donne, in particolare, temevano di fare la fine delle yazide: rapite, violentate e vendute. Ero anche arrabbiata con il Signore perché non capivo cosa stesse accadendo, mi sembrava di essere finita in mezzo al mare su una barca squassata dalla tempesta. Poi, con il tempo, prestando soccorso ai profughi, ho compreso che Gesù è sempre stato sulla nostra barca, proprio come era sulla barca dei Suoi discepoli quando scoppiò la tempesta (Lc 8,22-25; Mc 4,35-41; Mt 8,18.23-27). Lui non ci ha mai abbandonato».  
Quanti cristiani, approssimativamente, sono tornati a vivere nella Piana di Ninive sino ad oggi?  
«Difficile dirlo, i numeri variano di settimana in settimana e non esistono dati ufficiali: penso comunque un buon numero. La Fondazione Pontificia “Aiuto alla Chiesa che soffre” (che di recente ha varato un importante progetto per sostenere il ritorno dei cristiani), citando fonti del Comitato per la Ricostruzione di Ninive, stima abbiano fatto rientro nelle loro case circa 3mila famiglie, ossia approssimativamente 15mila persone. Noi suore domenicane, obbedendo alla richiesta della Chiesa che voleva fossimo presenti per sostenere queste famiglie, ci siamo stabilite, per il momento, in due centri: tre suore vivono a Telskuf, dieci a Qaraqosh. Verso Natale, dopo aver finito di sistemare la casa, tre andranno a Bartella. Purtroppo, nessun villaggio della Piana è stato risparmiato dalla furia dell’Isis. Nei mesi scorsi, dopo la liberazione nell’ottobre del 2016, abbiamo potuto vedere ciò che l’Isis aveva fatto: uno scempio disumano». 
Può descriverlo? 
«La maggior parte delle case sono state saccheggiate o bruciate o lesionate dalle bombe, ci sono aree minate, le chiese sono state distrutte, i conventi dati alle fiamme, i cimiteri profanati. Quando le mie consorelle, dopo la liberazione, sono andate per la prima volta a Qaraqosh hanno trovato la scuola e il convento danneggiati: i miliziani dell’Isis avevano rubato o incendiato ogni cosa, anche i libri della biblioteca. Dopo una settimana le mie consorelle sono tornate perché volevano portare alcuni libri: hanno visto il convento quasi completamente distrutto: qualcuno, giorni prima, aveva portato lì un’auto imbottita di esplosivo e l’aveva fatta saltare in aria». 

Quali attività svolgono attualmente le sue consorelle?  
«A Qaraqosh lavorano nella scuola e nell’asilo. A Telskuf sono impegnate nell’asilo, frequentato da 70 bambini, e stanno finendo di sistemare il convento. Una di loro insegna nella scuola pubblica. In questi due centri inoltre affiancano i sacerdoti nell’attività pastorale facendo catechismo e sono sempre a disposizione di quanti cercano consolazione, sostegno, incoraggiamento». 
Qual è la situazione adesso nei centri della Piana di Ninive? 
«Si continuano a ricostruire o riparare le case e le chiese danneggiate, sono stati aperti diversi negozi, anche qualche ristorantino. In quindici scuole sono già riprese le lezioni. La vita, lentamente e faticosamente, sta ricominciando. Tuttavia resta moltissimo da fare. So che diverse famiglie originarie della Piana ora emigrate all’estero hanno offerto – per un anno a titolo gratuito – le loro case ancora in buono stato alle famiglie le cui abitazioni sono state danneggiate. Inoltre, dopo la liberazione, la Chiesa – che in Kurdistan ha pagato ai profughi la metà dell’affitto – si è subito resa disponibile a finanziare parte delle spese sostenute dalle famiglie per la ricostruzione delle abitazioni. Il senso della comunità non è andato perduto: le persone si aiutano, si sostengono reciprocamente».  
Qual è il desiderio più grande delle famiglie tornate nelle loro cittadine? 
«Desiderano la pace, sperano di vivere in tranquillità e di far crescere i loro figli in un ambiente sereno: tutti preghiamo che le armi tacciano definitivamente. L’opera di ricostruzione richiederà molto tempo: dovremo avere pazienza. Noi suore domenicane desideriamo continuare a portare la carezza di Gesù a queste persone che hanno molto sofferto: a volte basta poco per infondere coraggio, risollevare gli animi: un sorriso, una parola gentile, uno sguardo di comprensione». 
Le efferatezze compiute dall’Isis, la fuga precipitosa dalle loro case quali segni hanno lasciato nei bambini che frequentano le vostre scuole? 
«Avevamo appena aperto la scuola a Erbil quando un giorno scoppiò un forte temporale; tuonava: i bambini si spaventarono moltissimo, cominciarono a gridare che l’Isis stava arrivando e che dovevano fuggire. Nonostante siano passati tre anni, sono ancora spaventati. E purtroppo sono aggressivi, litigano spesso, si picchiano: noi insegnanti cerchiamo in tutti modi di calmarli, di farli sentire al sicuro, protetti, ma non è facile perché la loro vita è stata stravolta».   
La fede dei cristiani della Piana di Ninive è stata duramente messa alla prova in questo difficilissimo passaggio della storia. 
«L’Isis, durante l’invasione della Piana, costringeva i cristiani a scegliere tra una di queste tre opzioni: convertirsi all’Islam, pagare una tassa (la jizya) o lasciare la propria città. Dopo aver raggiunto il Kurdistan, molte persone – che avevano preferito fuggire piuttosto che rinnegare Gesù – hanno cominciato a domandarsi perché il Signore le avesse abbandonate, perché avesse permesso il male. La loro fede ha vacillato. È umano: una simile domanda affiora sempre sulle labbra di chi patisce soprusi, violenze, ingiustizie. Ricordo in particolare una mamma che non si dava pace: i miliziani dell’Isis avevano rapito la sua bambina di tre anni e con gli occhi colmi di lacrime continuava a chiedere perché Dio lo avesse permesso. Molte altre persone, invece, sin dall’arrivo in Kurdistan, hanno sostenuto con forza e convinzione che il Signore non ci aveva abbandonato, che se non fosse stato al nostro fianco saremmo morti. Tutte queste persone hanno continuato a confidare in Lui, certe della Sua vicinanza. E sono state quindi capaci di aiutare chi aveva iniziato a sentirsi abbandonato dal Signore». 
Avete avuto qualche notizia della bambina rapita? 
«Sì, è stata liberata quest’anno dai soldati dell’esercito iracheno. Purtroppo la piccola ha dimenticato quasi tutto della sua precedente vita in famiglia (ad esempio, non parla più l’aramaico ma solo l’arabo), tuttavia con l’amore e le cure dei genitori si riprenderà». 
In questi anni i cristiani della Piana di Ninive hanno sentito la vicinanza, il sostegno della Chiesa? 
«Sì, molto. Questo è stato un dono grande che il Signore ci ha fatto, del quale non finiremo di ringraziare. Non ci siamo sentiti abbandonati: la Chiesa si è presa cura di tutti noi con la preghiera e con opere e raccolte fondi realizzate da associazioni umanitarie e singole comunità. Vorrei menzionare in particolare l’aiuto (una benedizione!) profuso in Kurdistan dalla Chiesa locale, che sin dall’inizio ha aperto i propri edifici per accogliere i profughi e ha garantito molti servizi offrendo cibo e altri beni di prima necessità, e il sostegno grande che ci è stato offerto in questi anni dalla Fondazione Pontificia “Aiuto alla Chiesa che soffre”: ad esempio, nel 2014, pochi mesi dopo la fuga dei cristiani dalla Piana, ha fornito loro case prefabbricate, a Erbil ha aperto una clinica e anche un asilo e una scuola dove lavoriamo noi domenicane. Tutti gli aiuti ricevuti hanno mitigato i molti disagi e le privazioni che le famiglie hanno vissuto e ancora vivono in Kurdistan». 
Quale dono pensa stiano offrendo i cristiani della Piana di Ninive alle comunità cristiane del mondo? 
«Penso portino in dono il coraggio di stringersi al Signore qualunque cosa accada e la convinzione salda che Lui ci è sempre vicino. Racconterò un episodio: durante il primo anno di permanenza a Erbil organizzammo un incontro dedicato alla Parola di Dio con i giovani: un ragazzo volle leggere a tutti l’ultimo versetto del Vangelo di Matteo nel quale Gesù afferma: “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Poi disse che queste parole, per lui, erano vere, che Gesù stava mantenendo la promessa, era davvero con noi tutti giorni e lo sarebbe stato sempre. Gli altri ragazzi annuirono. Questa è la nostra fede».