By Radiovaticana
1,2 milioni di euro sono stati raccolti dalla Campagna lanciata dall’agenzia AsiaNews per i profughi irakeni fuggiti da Mosul, perché minacciati dello Stato islamico. Un progetto partito da mesi e che continua per sostenere migliaia di persone impegnate nella ricostruzione del Paese.
Massimiliano Menichetti ha parlato del progetto con padre Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews, che inviata a continuare con le donazioni per arrivare all’obiettivo della campagna "Adotta un cristiano di Mosul” di 3 milioni e mezzo di euro:
1,2 milioni di euro sono stati raccolti dalla Campagna lanciata dall’agenzia AsiaNews per i profughi irakeni fuggiti da Mosul, perché minacciati dello Stato islamico. Un progetto partito da mesi e che continua per sostenere migliaia di persone impegnate nella ricostruzione del Paese.
Massimiliano Menichetti ha parlato del progetto con padre Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews, che inviata a continuare con le donazioni per arrivare all’obiettivo della campagna "Adotta un cristiano di Mosul” di 3 milioni e mezzo di euro:
Semplicemente, è un modo cristiano di essere vicino ai profughi di Mosul. Siamo rimasti molto colpiti dalla processione, enorme e faticosa, di migliaia di persone – oltre 100 mila – scappate da Mosul per cercare di salvarsi. Allora, abbiamo chiesto ai vescovi iracheni che cosa potevamo fare e ci hanno risposto: “Aiutateci a farli mangiare”. La gente arrivava continuamente a ondate. E allora abbiamo lanciato questa cosa semplice: “Adotta un cristiano di Mosul”, cioè dai almeno cinque euro, che è la somma che serve per far mangiare una persona in una giornata. E devo dire che la risposta è stata veramente molto grande.
A chi sono andate queste donazioni?
La Chiesa le ha distribuite non solo ai cristiani, ma anche agli yazidi e ai musulmani – sciiti e sunniti – anche loro vittime di violenza e oppressione da parte del sedicente Stato islamico. E quindi, è stato anche un modo di aiutare la ricostruzione dell’unità dell’Iraq.
È una campagna che continuerà?
Di fatto continua, perché l’emergenza dei profughi di Mosul è ancora presente. All’inizio, magari, era soltanto un modo di aiutarli per il cibo, l’acqua o le medicine. Adesso, invece, è per aiutarli a costruire case o far nascere scuole. La cosa bella, quindi, è che questi profughi vogliono rimanere in Iraq, ricostruire.
Da dove sono fuggite esattamente queste persone, e dove sono adesso?
Sono fuggite da Mosul, dalla Piana di Ninive – occupata circa due anni fa dall’Is – e sono andate nel Kurdistan, che è l’unica zona un po’ più tranquilla dell’Iraq. Sono fuggite a Erbil, e anche nel nord del Kurdistan, sulle montagne. Per esempio, a Amadiya, Dohuk...
Si è creata in questa situazione una nuova fratellanza tra i rifugiati cristiani, musulmani e yazidi…
C’è di fatto una grande tradizione di convivenza in Iraq, basata sulla nazionalità e sull’essere parte della cultura araba. Questo ha portato a una facilità di rapporti e soprattutto, direi anche, a una grande generosità e apertura da parte dei cristiani della Chiesa, che tutti vedono in Iraq come la punta avanzata dello sviluppo, dell’apertura e la cultura araba irachena.
Questo ci fa vedere che in realtà l’Iraq non è un Paese di mere divisioni…
Questo ci fa vedere che in realtà l’Iraq non è un Paese di mere divisioni…
No, e penso che i cristiani siano resi obiettivo di questa guerra dal sedicente Stato islamico e che certi Stati del Golfo appoggino in modo diretto o indiretto l’Is, perché effettivamente annientando i cristiani si annienta l’unità dell’Iraq.