By Avvenire, 19 marzo 2013
by Laura Silvia Battaglia
by Laura Silvia Battaglia
Emad
Al-Banna, patriarca caldeo * di Bassora, mostra con compiacimento una
targa regalatagli dalla comunità sunnita di Bassora per l’ultima festa
del compleanno del Profeta, il Mawlid, che cade il dodicesimo giorno del
mese di Rabi’ al-awwal. Sorride, ma non può fare a meno di sottolineare
l’amara verità: «La diaspora è un cancro, una malattia che non si
ferma».
Qui, a Bassora, la chiesa caldea dedicata alla Vergine è una struttura protetta da mura e telecamere, dietro una traversa che sbuca diretta sull’arteria principale lungo lo Shatt al-Arab, la confluenza di Tigri ed Eufrate. Ma la croce romana è scolpita in bassorilievo sulle mura bianche ed è in bella vista. Il quartiere è tranquillo, non ci sono check-point nelle vicinanze. «Le famiglie cristiane rimaste in città lavorano negli uffici del governo o gestiscono ristoranti. Alcuni cristiani sono medici o insegnano nelle università. Ma sono pochi: 200 persone per 54 famiglie».
A Bassora, prima del 2010, 17 cristiani sono stati uccisi dalle milizie estremiste: erano proprietari di negozi in cui si smerciava alcol. «Il Consiglio locale di Bassora nel 2010 ha deciso di chiudere ufficialmente tutti i negozi di questo genere, per evitare il ripetersi degli attacchi».
Uccisi perché cristiani o perché commercianti di un prodotto «haram», impuro? Il patriarca la mette su questo piano: «Per il secondo motivo. Attualmente i cristiani sono tollerati. Non ci sono problemi di convivenza reale con i musulmani ma la vita sociale è conservativa. Le donne non possono uscire dal nostro quartiere senza coprirsi il capo con l’hijab».
La diaspora dei cristiani è iniziata, a Bassora, con la guerra Iran-Iraq, nel 1980. Durante questo periodo, la città ha visto l’esodo di 1.800 famiglie cristiane. «Prima della guerra le famiglie erano 2500. La diaspora di quel tempo si è diretta in Inghiterra. Ma dall’occupazione americana del 2003 gli altri cristiani si sono trasferiti in Kurdistan, Turchia, Giordania, Siria, Libano. Prima di quel tempo i negozi di alcol a Bassora erano ben 563».
Nonostante l’esodo, i rapporti tra le chiese e le religioni sono salvi. Emad Al-Banna va fiero del dialogo che è riuscito a intessere con l’ayatollah di Bassora. «L’anno scorso abbiamo organizzato insieme una conferenza di pace e abbiamo invitato tutti gli altri religiosi locali, sciiti e sunniti, e anche gli anglicani. L’obiettivo era quello di collaborare tutti insieme per arginare gli estremismi».
Ma al di là del buon vicinato, i problemi della minoranza restano. «A Bassora ci sono 14 chiese di tutte le confessioni cristiane ma solo cinque sono aperte. Un po’ si deve alla diaspora, un po’ i fedeli evitano di uscire allo scoperto». Il fatto è che in Iraq i cristiani sono, in fin dei conti, cittadini di serie B. Come in Iran. «Sono gli ultimi a ricoprire ruoli governativi, hanno più difficoltà a trovare lavoro, non hanno diritto ad alcune forme di assistenza». Ad esempio, non possono usufruire, a parità di basso reddito, delle assegnazioni di edifici abitativi.
Il patriarca vorrebbe spezzare una lancia in favore dei diritti delle minoranze: «Sto organizzando una conferenza con la società civile e le ong affinché il governo non ci tratti più in questo modo. Non è un’iniziativa da poco, in una realtà in cui siamo semplicemente ospiti».
Qui, a Bassora, la chiesa caldea dedicata alla Vergine è una struttura protetta da mura e telecamere, dietro una traversa che sbuca diretta sull’arteria principale lungo lo Shatt al-Arab, la confluenza di Tigri ed Eufrate. Ma la croce romana è scolpita in bassorilievo sulle mura bianche ed è in bella vista. Il quartiere è tranquillo, non ci sono check-point nelle vicinanze. «Le famiglie cristiane rimaste in città lavorano negli uffici del governo o gestiscono ristoranti. Alcuni cristiani sono medici o insegnano nelle università. Ma sono pochi: 200 persone per 54 famiglie».
A Bassora, prima del 2010, 17 cristiani sono stati uccisi dalle milizie estremiste: erano proprietari di negozi in cui si smerciava alcol. «Il Consiglio locale di Bassora nel 2010 ha deciso di chiudere ufficialmente tutti i negozi di questo genere, per evitare il ripetersi degli attacchi».
Uccisi perché cristiani o perché commercianti di un prodotto «haram», impuro? Il patriarca la mette su questo piano: «Per il secondo motivo. Attualmente i cristiani sono tollerati. Non ci sono problemi di convivenza reale con i musulmani ma la vita sociale è conservativa. Le donne non possono uscire dal nostro quartiere senza coprirsi il capo con l’hijab».
La diaspora dei cristiani è iniziata, a Bassora, con la guerra Iran-Iraq, nel 1980. Durante questo periodo, la città ha visto l’esodo di 1.800 famiglie cristiane. «Prima della guerra le famiglie erano 2500. La diaspora di quel tempo si è diretta in Inghiterra. Ma dall’occupazione americana del 2003 gli altri cristiani si sono trasferiti in Kurdistan, Turchia, Giordania, Siria, Libano. Prima di quel tempo i negozi di alcol a Bassora erano ben 563».
Nonostante l’esodo, i rapporti tra le chiese e le religioni sono salvi. Emad Al-Banna va fiero del dialogo che è riuscito a intessere con l’ayatollah di Bassora. «L’anno scorso abbiamo organizzato insieme una conferenza di pace e abbiamo invitato tutti gli altri religiosi locali, sciiti e sunniti, e anche gli anglicani. L’obiettivo era quello di collaborare tutti insieme per arginare gli estremismi».
Ma al di là del buon vicinato, i problemi della minoranza restano. «A Bassora ci sono 14 chiese di tutte le confessioni cristiane ma solo cinque sono aperte. Un po’ si deve alla diaspora, un po’ i fedeli evitano di uscire allo scoperto». Il fatto è che in Iraq i cristiani sono, in fin dei conti, cittadini di serie B. Come in Iran. «Sono gli ultimi a ricoprire ruoli governativi, hanno più difficoltà a trovare lavoro, non hanno diritto ad alcune forme di assistenza». Ad esempio, non possono usufruire, a parità di basso reddito, delle assegnazioni di edifici abitativi.
Il patriarca vorrebbe spezzare una lancia in favore dei diritti delle minoranze: «Sto organizzando una conferenza con la società civile e le ong affinché il governo non ci tratti più in questo modo. Non è un’iniziativa da poco, in una realtà in cui siamo semplicemente ospiti».
* Il Corepiscopo Monsignor Emad al Banna non è il patriarca caldeo (Mar Louis Raphael I Sako) ma l'amministratore patriarcale caldeo della diocesi di Bassora.
Nota di Baghdadhope