By Sir
by M. Michela Nicolais
La messa
di inizio del ministero petrino del vescovo di Roma conserva la sua
solennità, pur nella sobrietà voluta dal Pontefice. Nell'omelia
incentrata sulla figura di Giuseppe l'invito alla responsabilità fondata
sulla fiducia in Dio e sull'apertura al suo progetto
Inizia con un “fuori programma” - Papa Francesco che scende dalla
“papamobile” per accarezzare un ammalato - la Messa di inizio del
ministero petrino del vescovo di Roma, che inaugura il suo pontificato.
Due ore in tutto. L’omelia su san Giuseppe e la “tenerezza”. Il saluto
alle delegazioni provenienti da ogni parte del mondo. Prima della Messa -
alle 8 ora italiana, circa le 4 in Argentina - Papa Francesco si era
collegato telefonicamente con Plaza de Mayo, rivolgendosi alle migliaia
di fedeli che affollavano la Plaza de Mayo, di fronte alla cattedrale,
dove c’è la residenza di Papa Bergoglio da cardinale .“Vi chiedo un
favore”, ha detto loro Papa Francesco: “Camminiamo tutti insieme,
prendiamoci cura gli uni degli altri. Non facciamoci danno. Proteggiamo
la vita, la famiglia, la natura, i bambini, gli anziani. Che non ci sia
odio, liti. Lasciate l’invidia, dialogate tra di voi. Che questo
desiderio di prendersi cura cresca nel cuore. Avvicinatevi a Dio”. Ecco
la cronaca, minuto per minuto, della Messa.
Ore 8.50. È iniziata con un lungo giro intorno a piazza S. Pietro, gremita di fedeli, la Messa di inizio del ministero petrino del vescovo di Roma. Il Papa ha lasciato Casa Santa Marta poco prima di salire sulla “Papa-mobile”, scoperta per l’occasione, visto l’azzurro del cielo di Roma. Poi andrà in sagrestia per prepararsi alla celebrazione. La cerimonia incomincerà alla tomba di San Pietro, nel centro della Basilica, sotto l’altare centrale, e si svolgerà sulla piazza che, secondo la tradizione, è anche il luogo del martirio di San Pietro. Sono 180 i concelebranti con Papa Francesco, a partire da tutti i cardinali che sono presenti a Roma. Oltre ai cardinali, concelebrano con il Papa i patriarchi e gli arcivescovi maggiori delle Chiese orientali: Isaac Sidrak, patriarca di Alessandria dei Copti; Gregorio III Laham, patriarca greco-melkita di Antiiochia; Ignace Youssif III Younan, patriarca di Antiochia dei Siri; Nerses Bedros Xix Tarmouni, patriarca di Cilicia degli Armeni; Luois Raphael Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei; Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica ucraina; Fouad Twal, patriarca latino di Gerusalemme. Gli altri concelebranti sono mons. Lorenzo Baldisseri, segretario della Congregazione per i vescovi; padre José Rodriguez Carbalho, presidente dell’Unione Superiori Generali; padre Alfonso Nicols, generale della Compagnia di Gesù.
Ore 9.05. Non è neanche finito il giro con la “Papamobile”, che il Papa regala alla folla festante dei fedeli un “fuori programma”. Dopo aver stretto mani, quasi slanciandosi sulla folla che si accalca lungo le transenne, il Papa è sceso dalla jeep scoperta per andare ad accarezzare un ammalato in carrozzella. Una carezza tenera e prolungata, sul viso. Gli uomini della sicurezza vaticana hanno già dovuto essere “operativi”. E ancora la “Papa mobile” indugia nella piazza, circondata da bandiere e striscioni multicolori. La piazza è gremita fino all’inverosimile, tanto che già stamattina alle sette era problematico muoversi nei dintorni del colonnato del Bernini. Tra le 150 e le 200mila persone, il numero che poi verrà diffuso dalla sala stampa vaticana.
Dalla sagrestia al sagrato, accompagnato dei patriarchi e arcivescovi maggiori delle Chiese orientali cattoliche. Dopo l’omaggio e la preghiera alla tomba di Pietro, presso la quale sono conservati l’anello e il pallio, i due segni del ministero petrino che poi verranno consegnati al Pontefice, il Papa e i patriarchi, in processione con tutti i cardinali e tutti i concelebranti, si sono mossi dal centro della basilica verso la porta e sono usciti dal sagrato, luogo dove secondo la tradizione è stato martirizzato Pietro. Durante la processione, il Coro della Cappella Sistina e il Coro del Pontificio Istituto di musica sacra hanno intonato il “Laudes Regiae”, un canto sulle Lodi del Re. Un canto fatto di litanie e invocazioni in onore di Cristo, durante il quale si invocano molti santi, e alla fine , dopo gli apostoli, anche esplicitamente i “Santi Papi”: il più recente è San Pio X.
Lo stesso pallio di Benedetto XVI, l’anello del pescatore in argento dorato. I primi riti, ancor prima che incominci la messa, sono la consegna del pallio e dell’anello al Papa, che rappresentano i due segni del ministero petrino. Il pallio è stato consegnato e imposto al Papa dal cardinale protodiacono, Jean-Louis Tauran, lo stesso che ha annunciato l‘“Habemus Papam” dalla Loggia. Si tratta dello stesso pallio che aveva Benedetto XVI. Dopo la consegna del pallio c’è stata una preghiera fatta dal cardinale protopresbitero, cioè il primo dell’Ordine dei presbiteri, Godfried Daneels. A consegnare l’anello è stato il cardinale decano, Angelo Sodano, che è il protoepiscopo, cioè il primo dell’Ordine dei vescovi. Quindi, i cardinali Re, Bertone, Meisner, Tomko, Martino e Marchisano (due per ogni Ordine), hanno prestato obbedienza a nome di tutto il Collegio. Il Papa metterà al dito un anello del pescatore opera di un famoso artigiano italiano, Enrico Manfrini. Si tratta di un modello presentato al Papa dal maestro delle cerimonie liturgiche pontificie monsignor Guido Marini, che lo ha ricevuto da uno dei segretario di Paolo VI, monsignor Macchi. Sull’anello, in argento dorato, è rappresentato San Pietro con le chiavi. L’anello non era mai stato fuso in metallo, e Paolo VI non lo aveva mai utilizzato.
Alle ore 9. 50, dopo i riti specifici dell’inizio del pontificato, Papa Francesco ha dato avvio alla celebrazione eucaristica. Prima il “Confiteor” in latino, poi il canto del Kyrie e del Gloria. Le letture in inglese, italiano e spagnolo, il Vangelo cantato in greco, per sottolineare l’unità tra le Chiese d’Oriente e le Chiese d’Occidente, visto che ampie parti della messa sono in latino. Le letture della messa sono quelle della solennità della festa di san Giuseppe, che si celebra oggi. La prima lettura è tratta dal secondo libro di Samuele, il salmo, anch’esso cantato da un salmista della Cappella Sistina, è il Salmo 88, la seconda lettura è tratta dalla lettera di San Paolo ai Romani. Il Vangelo è il brano di Matteo che racconta di Giuseppe, “uomo giusto”, e del sogno in cui l’angelo del Signore lo chiama a prendere con sé Maria come sua sposa.
“Cari fratelli e sorelle! Ringrazio il Signore di poter celebrare questa Santa Messa di inizio del ministero petrino nella solennità di San Giuseppe, sposo della Vergine Maria e patrono della Chiesa universale”. Queste prime parole di Papa Francesco nell’omelia - una ventina di minuti in tutto - che inaugura ufficialmente il suo pontificato, e come è tradizione ne delinea i tratti portanti. “È una coincidenza molto ricca di significato, ed è anche l’onomastico del mio venerato predecessore: gli siamo vicini con la preghiera, piena di affetto e di riconoscenza”, il primo pensiero del Papa, che ha ricevuto immediatamente il primo applauso della folla. Poi ha salutato i presenti “con affetto”: “i fratelli cardinali e vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli laici. Ringrazio per la loro presenza i rappresentanti delle altre chiese e comunità ecclesiali, come pure i rappresentanti della comunità ebraica e di altre comunità religiose. Rivolgo il mio cordiale saluto ai capi di Stato e di governo, alle delegazioni ufficiali di tanti Paesi del mondo e al corpo diplomatico”.
Giuseppe è “custos”, il “custode di Maria e di Gesù”, ma la sua è “una vocazione che si estende poi alla Chiesa”. Ha citato Giovanni Paolo II, Papa Francesco, per spiegare ai fedeli la figura di san Giuseppe, delineato quale esempio del credente. “Come esercita Giuseppe questa custodia?”, si è chiesto il Papa: “Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende”. “Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne nel Tempio di Gerusalemme - ha ricordato il Papa a proposito di San Giuseppe - accompagna con premura ogni momento. È accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni e in quelli difficili della vita, nel viaggio a Betlemme per il censimento e nelle ore trepidanti e gioiose del parto; nel momento drammatico della fuga in Egitto e nella ricerca affannosa del figlio al tempio, e poi nella quotidianità della casa di Nazaret, nel laboratorio dove ha insegnato il mestiere a Gesù”.
“Come vive Giuseppe la sua vocazione di custode di Maria, di Gesù, della Chiesa?”, si è chiesto ancora il Papa: “Nella costante attenzione a Dio - la sua risposta - aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio: ed è quello che Dio chiede a Davide, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura: Dio non desidera una casa costruita dall’uomo, ma desidera la fedeltà alla sua Parola, al suo disegno: ed è Dio stesso che costruisce la casa, ma di pietre vive segnate dal suo Spirito”. Giuseppe è “Custode”, ha spiegato il Papa, “perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge”. In lui, secondo Papa Francesco, “vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana; Cristo!”. “Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!”, l’invito del Santo Padre ai fedeli.
“Siate i custodi dei doni di Dio”, ha esortato il Papa nell’omelia, dopo aver spiegato che “la vocazione dl custodire non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi; è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti”. “E quando l’uomo viene meno a questa responsabilità, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli - ha ammonito il Papa - allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli Erode che tramano disegni di morte, e distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna”.
“Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo custodi della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente. Non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo!”. È il forte appello al centro dell’omelia del Papa, che ha suscitato l’applauso immediato della piazza. “Ma per custodire dobbiamo anche avere cura di noi stessi!”, ha proseguito il Papa: “Ricordiamo che l’odio, l’invidia la superbia sporcano la vita!”. Custodire vuol dire, allora, “vigilare sui stri sentimenti, sul nostro cuore, perché è da lì che escono intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono”.
“Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità; chi ha fame, sete, è straniero, nudo malato, in carcere”. È il passo più applaudito, a più riprese, dell’omelia del Papa, e quello più significativo del modo in cui il 266° successore di Pietro intende esercitare il suo ministero, che inizia ufficialmente oggi. “Solo chi serve con amore sa custodire!”, ha esclamato il Santo Padre. “Anche oggi davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi speranza. Custodire il creato, ogni uomo e donna, con uno sguardo di tenerezza e amore è aprire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nuvole, è portare il calore della speranza!”.
Pregate per me. E per il credente, ha ricordato il Papa, “per noi cristiani, come Abramo, come san Giuseppe, la speranza che portiamo ha l’orizzonte di Dio che ci è stato aperto in Cristo, è fondata sulla roccia che è Dio”. Poi la definizione del ministero petrino: “Custodire Gesù con Maria, custodire l’intera creazione, custodire ogni persona, specie la più povera, custodire noi stessi: ecco un servizio che il vescovo di Roma è chiamato a compiere, ma a cui tutti siamo chiamati per far risplendere la stella della speranza”. “Custodiamo con amore ciò che Dio ci ha donato”, l’invito finale del Papa, che ha chiesto “l’intercessione della Vergine Maria, di san Giuseppe, dei santi Pietro e Paolo, di san Francesco, affinché lo Spirito Santo accompagni il mio ministero”. “E a voi tutti dico; pregate per me, Amen”, la conclusione dell’omelia, scandita dagli applausi.
Durante l’offertorio, nella Messa di inizio del ministero petrino del vescovo di Roma non c’è stata la processione per le offerte, il pane e il vino sono stati semplicemente portati all’altare. 500 i sacerdoti che hanno distribuito la comunione in tutta la piazza, mentre il Papa si è limitato a distribuirla ai diaconi. Un atmosfera di grande raccoglimento e preghiera ha caratterizzato il momento immediatamente successivo, immagine del popolo di Dio stretto intorno al suo pastore.
Sono 132 le delegazioni provenienti da ogni parte del mondo, che il Papa ha salutato oggi all’altare centrale, dopo essere rientrato in basilica e aver deposto le vesti liturgiche, al termine della Messa. L’ordine delle delegazioni dei diversi Paesi e organizzazioni internazionali viene stabilito dal protocollo: prima i sovrani, poi i capi di Stato, quindi quelli di governo e così via. “In prima fila” la delegazione dell’Argentina, con la presidente Kirchner e altre 19 “alte cariche” al seguito, e dell’Italia, rappresentata dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, con la consorte e altre 16 persone tra cui il presidente del Consiglio, Mario Monti, e signora, insieme ai nuovi presidenti del Senato e della Camera. Presenti in piazza, oggi, anche 33 delegazioni di Chiese e confessioni cristiane e rappresentanti di altre religioni, che saranno ricevuti dal Papa domani alle 11, nella Sala Clementina. Tra le “personalità” presenti, il patriarca Bartolomeo del Patriarcato ecumenico, il catholicos armeno di Echmiadzin, Karekin II, il metropolita Hilarion per il Patriarcato di Mosca. La delegazione ebraica è composta da rappresentanti sia della Comunità ebraica di Roma, sia dei diversi comitati ebraici internazionali, a cominciare dal Gran Rabbinato di Israele. Presenti, inoltre, anche delegazioni di musulmani e buddisti.
Ore 8.50. È iniziata con un lungo giro intorno a piazza S. Pietro, gremita di fedeli, la Messa di inizio del ministero petrino del vescovo di Roma. Il Papa ha lasciato Casa Santa Marta poco prima di salire sulla “Papa-mobile”, scoperta per l’occasione, visto l’azzurro del cielo di Roma. Poi andrà in sagrestia per prepararsi alla celebrazione. La cerimonia incomincerà alla tomba di San Pietro, nel centro della Basilica, sotto l’altare centrale, e si svolgerà sulla piazza che, secondo la tradizione, è anche il luogo del martirio di San Pietro. Sono 180 i concelebranti con Papa Francesco, a partire da tutti i cardinali che sono presenti a Roma. Oltre ai cardinali, concelebrano con il Papa i patriarchi e gli arcivescovi maggiori delle Chiese orientali: Isaac Sidrak, patriarca di Alessandria dei Copti; Gregorio III Laham, patriarca greco-melkita di Antiiochia; Ignace Youssif III Younan, patriarca di Antiochia dei Siri; Nerses Bedros Xix Tarmouni, patriarca di Cilicia degli Armeni; Luois Raphael Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei; Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica ucraina; Fouad Twal, patriarca latino di Gerusalemme. Gli altri concelebranti sono mons. Lorenzo Baldisseri, segretario della Congregazione per i vescovi; padre José Rodriguez Carbalho, presidente dell’Unione Superiori Generali; padre Alfonso Nicols, generale della Compagnia di Gesù.
Ore 9.05. Non è neanche finito il giro con la “Papamobile”, che il Papa regala alla folla festante dei fedeli un “fuori programma”. Dopo aver stretto mani, quasi slanciandosi sulla folla che si accalca lungo le transenne, il Papa è sceso dalla jeep scoperta per andare ad accarezzare un ammalato in carrozzella. Una carezza tenera e prolungata, sul viso. Gli uomini della sicurezza vaticana hanno già dovuto essere “operativi”. E ancora la “Papa mobile” indugia nella piazza, circondata da bandiere e striscioni multicolori. La piazza è gremita fino all’inverosimile, tanto che già stamattina alle sette era problematico muoversi nei dintorni del colonnato del Bernini. Tra le 150 e le 200mila persone, il numero che poi verrà diffuso dalla sala stampa vaticana.
Dalla sagrestia al sagrato, accompagnato dei patriarchi e arcivescovi maggiori delle Chiese orientali cattoliche. Dopo l’omaggio e la preghiera alla tomba di Pietro, presso la quale sono conservati l’anello e il pallio, i due segni del ministero petrino che poi verranno consegnati al Pontefice, il Papa e i patriarchi, in processione con tutti i cardinali e tutti i concelebranti, si sono mossi dal centro della basilica verso la porta e sono usciti dal sagrato, luogo dove secondo la tradizione è stato martirizzato Pietro. Durante la processione, il Coro della Cappella Sistina e il Coro del Pontificio Istituto di musica sacra hanno intonato il “Laudes Regiae”, un canto sulle Lodi del Re. Un canto fatto di litanie e invocazioni in onore di Cristo, durante il quale si invocano molti santi, e alla fine , dopo gli apostoli, anche esplicitamente i “Santi Papi”: il più recente è San Pio X.
Lo stesso pallio di Benedetto XVI, l’anello del pescatore in argento dorato. I primi riti, ancor prima che incominci la messa, sono la consegna del pallio e dell’anello al Papa, che rappresentano i due segni del ministero petrino. Il pallio è stato consegnato e imposto al Papa dal cardinale protodiacono, Jean-Louis Tauran, lo stesso che ha annunciato l‘“Habemus Papam” dalla Loggia. Si tratta dello stesso pallio che aveva Benedetto XVI. Dopo la consegna del pallio c’è stata una preghiera fatta dal cardinale protopresbitero, cioè il primo dell’Ordine dei presbiteri, Godfried Daneels. A consegnare l’anello è stato il cardinale decano, Angelo Sodano, che è il protoepiscopo, cioè il primo dell’Ordine dei vescovi. Quindi, i cardinali Re, Bertone, Meisner, Tomko, Martino e Marchisano (due per ogni Ordine), hanno prestato obbedienza a nome di tutto il Collegio. Il Papa metterà al dito un anello del pescatore opera di un famoso artigiano italiano, Enrico Manfrini. Si tratta di un modello presentato al Papa dal maestro delle cerimonie liturgiche pontificie monsignor Guido Marini, che lo ha ricevuto da uno dei segretario di Paolo VI, monsignor Macchi. Sull’anello, in argento dorato, è rappresentato San Pietro con le chiavi. L’anello non era mai stato fuso in metallo, e Paolo VI non lo aveva mai utilizzato.
Alle ore 9. 50, dopo i riti specifici dell’inizio del pontificato, Papa Francesco ha dato avvio alla celebrazione eucaristica. Prima il “Confiteor” in latino, poi il canto del Kyrie e del Gloria. Le letture in inglese, italiano e spagnolo, il Vangelo cantato in greco, per sottolineare l’unità tra le Chiese d’Oriente e le Chiese d’Occidente, visto che ampie parti della messa sono in latino. Le letture della messa sono quelle della solennità della festa di san Giuseppe, che si celebra oggi. La prima lettura è tratta dal secondo libro di Samuele, il salmo, anch’esso cantato da un salmista della Cappella Sistina, è il Salmo 88, la seconda lettura è tratta dalla lettera di San Paolo ai Romani. Il Vangelo è il brano di Matteo che racconta di Giuseppe, “uomo giusto”, e del sogno in cui l’angelo del Signore lo chiama a prendere con sé Maria come sua sposa.
“Cari fratelli e sorelle! Ringrazio il Signore di poter celebrare questa Santa Messa di inizio del ministero petrino nella solennità di San Giuseppe, sposo della Vergine Maria e patrono della Chiesa universale”. Queste prime parole di Papa Francesco nell’omelia - una ventina di minuti in tutto - che inaugura ufficialmente il suo pontificato, e come è tradizione ne delinea i tratti portanti. “È una coincidenza molto ricca di significato, ed è anche l’onomastico del mio venerato predecessore: gli siamo vicini con la preghiera, piena di affetto e di riconoscenza”, il primo pensiero del Papa, che ha ricevuto immediatamente il primo applauso della folla. Poi ha salutato i presenti “con affetto”: “i fratelli cardinali e vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli laici. Ringrazio per la loro presenza i rappresentanti delle altre chiese e comunità ecclesiali, come pure i rappresentanti della comunità ebraica e di altre comunità religiose. Rivolgo il mio cordiale saluto ai capi di Stato e di governo, alle delegazioni ufficiali di tanti Paesi del mondo e al corpo diplomatico”.
Giuseppe è “custos”, il “custode di Maria e di Gesù”, ma la sua è “una vocazione che si estende poi alla Chiesa”. Ha citato Giovanni Paolo II, Papa Francesco, per spiegare ai fedeli la figura di san Giuseppe, delineato quale esempio del credente. “Come esercita Giuseppe questa custodia?”, si è chiesto il Papa: “Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende”. “Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne nel Tempio di Gerusalemme - ha ricordato il Papa a proposito di San Giuseppe - accompagna con premura ogni momento. È accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni e in quelli difficili della vita, nel viaggio a Betlemme per il censimento e nelle ore trepidanti e gioiose del parto; nel momento drammatico della fuga in Egitto e nella ricerca affannosa del figlio al tempio, e poi nella quotidianità della casa di Nazaret, nel laboratorio dove ha insegnato il mestiere a Gesù”.
“Come vive Giuseppe la sua vocazione di custode di Maria, di Gesù, della Chiesa?”, si è chiesto ancora il Papa: “Nella costante attenzione a Dio - la sua risposta - aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio: ed è quello che Dio chiede a Davide, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura: Dio non desidera una casa costruita dall’uomo, ma desidera la fedeltà alla sua Parola, al suo disegno: ed è Dio stesso che costruisce la casa, ma di pietre vive segnate dal suo Spirito”. Giuseppe è “Custode”, ha spiegato il Papa, “perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge”. In lui, secondo Papa Francesco, “vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana; Cristo!”. “Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!”, l’invito del Santo Padre ai fedeli.
“Siate i custodi dei doni di Dio”, ha esortato il Papa nell’omelia, dopo aver spiegato che “la vocazione dl custodire non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi; è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti”. “E quando l’uomo viene meno a questa responsabilità, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli - ha ammonito il Papa - allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli Erode che tramano disegni di morte, e distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna”.
“Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo custodi della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente. Non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo!”. È il forte appello al centro dell’omelia del Papa, che ha suscitato l’applauso immediato della piazza. “Ma per custodire dobbiamo anche avere cura di noi stessi!”, ha proseguito il Papa: “Ricordiamo che l’odio, l’invidia la superbia sporcano la vita!”. Custodire vuol dire, allora, “vigilare sui stri sentimenti, sul nostro cuore, perché è da lì che escono intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono”.
“Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità; chi ha fame, sete, è straniero, nudo malato, in carcere”. È il passo più applaudito, a più riprese, dell’omelia del Papa, e quello più significativo del modo in cui il 266° successore di Pietro intende esercitare il suo ministero, che inizia ufficialmente oggi. “Solo chi serve con amore sa custodire!”, ha esclamato il Santo Padre. “Anche oggi davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi speranza. Custodire il creato, ogni uomo e donna, con uno sguardo di tenerezza e amore è aprire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nuvole, è portare il calore della speranza!”.
Pregate per me. E per il credente, ha ricordato il Papa, “per noi cristiani, come Abramo, come san Giuseppe, la speranza che portiamo ha l’orizzonte di Dio che ci è stato aperto in Cristo, è fondata sulla roccia che è Dio”. Poi la definizione del ministero petrino: “Custodire Gesù con Maria, custodire l’intera creazione, custodire ogni persona, specie la più povera, custodire noi stessi: ecco un servizio che il vescovo di Roma è chiamato a compiere, ma a cui tutti siamo chiamati per far risplendere la stella della speranza”. “Custodiamo con amore ciò che Dio ci ha donato”, l’invito finale del Papa, che ha chiesto “l’intercessione della Vergine Maria, di san Giuseppe, dei santi Pietro e Paolo, di san Francesco, affinché lo Spirito Santo accompagni il mio ministero”. “E a voi tutti dico; pregate per me, Amen”, la conclusione dell’omelia, scandita dagli applausi.
Durante l’offertorio, nella Messa di inizio del ministero petrino del vescovo di Roma non c’è stata la processione per le offerte, il pane e il vino sono stati semplicemente portati all’altare. 500 i sacerdoti che hanno distribuito la comunione in tutta la piazza, mentre il Papa si è limitato a distribuirla ai diaconi. Un atmosfera di grande raccoglimento e preghiera ha caratterizzato il momento immediatamente successivo, immagine del popolo di Dio stretto intorno al suo pastore.
Sono 132 le delegazioni provenienti da ogni parte del mondo, che il Papa ha salutato oggi all’altare centrale, dopo essere rientrato in basilica e aver deposto le vesti liturgiche, al termine della Messa. L’ordine delle delegazioni dei diversi Paesi e organizzazioni internazionali viene stabilito dal protocollo: prima i sovrani, poi i capi di Stato, quindi quelli di governo e così via. “In prima fila” la delegazione dell’Argentina, con la presidente Kirchner e altre 19 “alte cariche” al seguito, e dell’Italia, rappresentata dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, con la consorte e altre 16 persone tra cui il presidente del Consiglio, Mario Monti, e signora, insieme ai nuovi presidenti del Senato e della Camera. Presenti in piazza, oggi, anche 33 delegazioni di Chiese e confessioni cristiane e rappresentanti di altre religioni, che saranno ricevuti dal Papa domani alle 11, nella Sala Clementina. Tra le “personalità” presenti, il patriarca Bartolomeo del Patriarcato ecumenico, il catholicos armeno di Echmiadzin, Karekin II, il metropolita Hilarion per il Patriarcato di Mosca. La delegazione ebraica è composta da rappresentanti sia della Comunità ebraica di Roma, sia dei diversi comitati ebraici internazionali, a cominciare dal Gran Rabbinato di Israele. Presenti, inoltre, anche delegazioni di musulmani e buddisti.