Fonte: Asianews
1 dicembre 2008
Accogliere i rifugiati è doveroso, ma ancora più importante è “eliminare le cause alla base della fuga” e permettere alle persone di “vivere in pace e armonia nella loro terra”. È il senso del messaggio che mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, lancia attraverso AsiaNews sulla questione dei profughi iracheni.
Il 27 novembre l’Unione Europea ha annunciato di essere pronta ad accogliere fino a 10mila rifugiati iracheni, la maggior parte dei quali vive in esilio in Siria e Giordania, in mezzo a stenti e sofferenze. “Fare una sanatoria di questo genere – continua mons. Sako – è come dire ai cristiani di fuggire, di andarsene via dall’Iraq. Oggi 10mila, domani altri 10mila fino al giorno in cui il Paese non si svuoterà della presenza cristiana”. Il prelato ribadisce che non ci si può limitare “ad accogliere i rifugiati”, ma bisogna predisporre “tutte le iniziative necessarie per favorirne la permanenza”.
La Germania ha affermato di essere pronta ad accoglier almeno 2500 profughi e la priorità verrà concessa a quanti necessitano di cure mediche, alle vittime di torture e abusi, alle ragazze madri e alle minoranze religiose. Un plauso arriva dall’Alto commissario Onu per i rifugiati che parla di un “passo positivo”, dopo 18 mesi di pressioni esercitate nei confronti di Bruxelles. L’arcivescovo di Kirkuk non giudica negativa “in toto” la decisione, ma tiene a precisare che “vi sono casi estremi di persone che non possono rientrare, come i membri del vecchio regime di Saddam”, ma non per questo va favorito un esodo di massa che finirebbe per peggiorare la situazione. “È giusto accogliere le persone in difficoltà – continua – ma è altrettanto giusto affrontare casi specifici e soprattutto lavorare per la ricostruzione di una convivenza civile nel Paese”.
Mons. Sako denuncia la mancanza di una linea comune all’interno della comunità cristiana e l’assenza di una leadership politica forte: “I cristiani sono divisi al loro interno – commenta – alcuni voglio restare, altri preferiscono andare via. La voglia di fuga è senza dubbio acuita dalla mancanza di un leader politico che orienti le persone verso un progetto concreto, solido, che le convinca a restare, pur fra sofferenze e difficoltà”. Contraria all’esodo è anche una larga fetta della comunità musulmana, che si aspetta dai fratelli cristiani “fedeltà, apertura e moralità”, ma soprattutto una collaborazione concreta “per la costruzione di un futuro assieme” perché considerano “i cristiani una parte integrante del Paese”.
L’arcivescovo di Kirkuk conclude lanciando un monito alla comunità cristiana: “Fuggire di fronte alle difficoltà – dice – significa perdere la sostanza del messaggio cristiano che ci invita alla missione, non alla ritirata. Persino nel caso di persecuzioni bisogna mostrare il senso più profondo del Vangelo, che ci chiede di essere testimoni del sacrificio di Cristo. Andare via equivale a tradire tanto il compito dell’annuncio cristiano, quanto le attese e le speranze di molti musulmani . In tutto questo è racchiuso il senso dell’espressione ‘Quo vadis?’ pronunciata secondo la tradizione da Pietro a Gesù. Questi, rispondendogli, lo invitava a tornare a Roma per affrontare il martirio."
Il 27 novembre l’Unione Europea ha annunciato di essere pronta ad accogliere fino a 10mila rifugiati iracheni, la maggior parte dei quali vive in esilio in Siria e Giordania, in mezzo a stenti e sofferenze. “Fare una sanatoria di questo genere – continua mons. Sako – è come dire ai cristiani di fuggire, di andarsene via dall’Iraq. Oggi 10mila, domani altri 10mila fino al giorno in cui il Paese non si svuoterà della presenza cristiana”. Il prelato ribadisce che non ci si può limitare “ad accogliere i rifugiati”, ma bisogna predisporre “tutte le iniziative necessarie per favorirne la permanenza”.
La Germania ha affermato di essere pronta ad accoglier almeno 2500 profughi e la priorità verrà concessa a quanti necessitano di cure mediche, alle vittime di torture e abusi, alle ragazze madri e alle minoranze religiose. Un plauso arriva dall’Alto commissario Onu per i rifugiati che parla di un “passo positivo”, dopo 18 mesi di pressioni esercitate nei confronti di Bruxelles. L’arcivescovo di Kirkuk non giudica negativa “in toto” la decisione, ma tiene a precisare che “vi sono casi estremi di persone che non possono rientrare, come i membri del vecchio regime di Saddam”, ma non per questo va favorito un esodo di massa che finirebbe per peggiorare la situazione. “È giusto accogliere le persone in difficoltà – continua – ma è altrettanto giusto affrontare casi specifici e soprattutto lavorare per la ricostruzione di una convivenza civile nel Paese”.
Mons. Sako denuncia la mancanza di una linea comune all’interno della comunità cristiana e l’assenza di una leadership politica forte: “I cristiani sono divisi al loro interno – commenta – alcuni voglio restare, altri preferiscono andare via. La voglia di fuga è senza dubbio acuita dalla mancanza di un leader politico che orienti le persone verso un progetto concreto, solido, che le convinca a restare, pur fra sofferenze e difficoltà”. Contraria all’esodo è anche una larga fetta della comunità musulmana, che si aspetta dai fratelli cristiani “fedeltà, apertura e moralità”, ma soprattutto una collaborazione concreta “per la costruzione di un futuro assieme” perché considerano “i cristiani una parte integrante del Paese”.
L’arcivescovo di Kirkuk conclude lanciando un monito alla comunità cristiana: “Fuggire di fronte alle difficoltà – dice – significa perdere la sostanza del messaggio cristiano che ci invita alla missione, non alla ritirata. Persino nel caso di persecuzioni bisogna mostrare il senso più profondo del Vangelo, che ci chiede di essere testimoni del sacrificio di Cristo. Andare via equivale a tradire tanto il compito dell’annuncio cristiano, quanto le attese e le speranze di molti musulmani . In tutto questo è racchiuso il senso dell’espressione ‘Quo vadis?’ pronunciata secondo la tradizione da Pietro a Gesù. Questi, rispondendogli, lo invitava a tornare a Roma per affrontare il martirio."