Fonte: The Tidings (settimanale dell'Arcidiocesi di Los Angeles)
Tradotto ed adattato da Baghdadhope
13 dicembre Detroit (CNS) I cattolici caldei che rimangono in Iraq "sono tutti in pericolo. Non sanno se saranno uccisi o rapiti oggi o domani", ha detto il vescovo caldeo Ibrahim N. Ibrahim. "Per essere onesti, non vediamo alcun futuro per i cristiani nei paesi arabi. Non solo in Iraq ma anche in Siria, Libano, e persino in Egitto".
In Iraq c'erano 650.000 caldei prima invasione guidata dagli USA nel 2003. Oggi ce ne sono 250.000-300.000, lo stesso numero di quanti ora vivono in America del Nord, ha detto il vescovo Ibrahim, a capo dell'Eparchia di San Tommaso Apostolo di Southfield. I 150.000 caldei che vivono nell'area di Detroit costituiscono il gruppo più numeroso al di fuori del Medio Oriente ed il vescovo ha riferito che il loro numero è cresciuto di 40.000 unità negli ultimi cinque anni. I suoi confratelli vescovi in Siria e il Libano, paesi di accoglienza per i profughi iracheni, sono d'accordo con la sua valutazione dei pericoli esistenti per coloro che ancora vivono nel paese d'origine. Tutti conoscevano l'arcivescovo caldeo Paulos Faraj Rahho di Mosul, Iraq, ucciso nel marzo del 2008, ed anche tre sacerdoti che sono stati uccisi. Metà dei sacerdoti che ora vivono a Baghdad sa cosa vuol dire essere rapito. "Temo per il nostro futuro", ha detto Antoine Audo, vescovo caldeo di di Aleppo, in Siria.