By Il Sussidiario
Monica Mondo
Monica Mondo
Ha due porpore sulle spalle, quella da
patriarca della Chiesa cristiana caldea e quella da neocardinale, appena
consacrato da papa Francesco. Per dire al mondo che i cristiani
d'Oriente gli stanno a cuore, e dovrebbero starci a cuore. Raphael I
Sako, cristiano caldeo, è un pastore e un uomo di sapienza, di alta
cultura: nessuno come lui può testimoniare cos'ha vissuto la sua gente
in Iraq, il martirio di tanti, così tenaci e saldi nella fede. E di
ricordare le responsabilità di politiche ingenerose, crudeli,
ripetutamente sbagliate, sulla pelle dei popoli, senza prudenze politically correct.
Tocca chiedergli perché il titolo altisonante con cui lo si appella,
Sua Beatitudine… "Perché vivere il Vangelo significa già vivere nella
beata terra. Dunque un cristiano, se vuole essere vero, deve seguire le
beatitudini. Io sono in cammino. Vivo nella pace, nella gioia e nella
gratuità della fede cristiana".
Lei è nato in un villaggio in
Kurdistan. Aveva già la percezione da bambino di vivere in una terra
considerata diversa, in qualche modo perseguitata, emarginata, anche se
la sua famiglia era cristiana?
La mia famiglia è fuggita dalla Turchia nel
1925, dopo il genocidio degli armeni, caldei, assiri. A Zaho, alla
frontiera, gli inglesi hanno dato agli esuli un villaggio che hanno
ingrandito, costruito, e io sono nato lì. Ma i miei genitori possedevano
dei terreni e avevano bisogno di operai musulmani, che sono venuti nel
villaggio, e sono diventati quasi la metà del villaggio, fino a volerlo
tutto per loro. Hanno ucciso mio zio: e allora mio padre ha preso un
fucile e ha ucciso uno di loro, ne ha feriti altri 4, ed è stato poi in
prigione. Per fortuna la moglie dell'uomo che era morto è andata a dire
al giudice che mio padre aveva difeso se stesso e i parenti del fratello
e che non era del tutto colpevole. Quindi è stato liberato. Ma
naturalmente non siamo rimasti al villaggio, per paura e per la nostra
sicurezza. Quindi siamo andati a Mosul, l'antica Ninive. E io sono
cresciuto lì.
Per noi Mosul negli ultimi anni è
diventata una delle roccaforti del Daesh, dell'Isis. Lei, quindi, già da
giovane ha vissuto la guerra, la condizione di migrante. Una famiglia
religiosa, cattolica la sua. Ha una sorella suora, entrata in convento
nello stesso giorno in cui lei è entrato in seminario. Vi siete messi
d'accordo?
No, veramente no! Avevo 12 anni e lei era
più giovane di me. Sono andato alla stazione del treno perché lei doveva
andare a Baghdad, alla casa madre delle suore dell'Immacolata. Dopo
averla accompagnata in stazione sono tornato a casa per prendere la
valigia e sono andato in seminario anch'io.
E chissà come era contenta quando le hanno messo la porpora rossa, che lei già portava, perché è abito dei patriarchi!
Per noi il rosso è il simbolo non del ruolo
del potere, ma dell'amore, del sangue, del dare la vita per gli altri.
Essere consacrato nella Chiesa vuol dire dare la propria vita. Non
dobbiamo avere paura, come Gesù. Questo sacrificio non è per nulla,
anche questi martiri di oggi… questo sangue è fertile. La pace verrà,
insieme alla stabilità, alla dignità umana. Ma servono dei sacrifici.
Lei parla con grande chiarezza e
serenità. Per noi, grazie a Dio, è inconcepibile pensare che dare la
vita significa dare il proprio tempo, la propria opera, ma anche il
sangue. Perché abbiamo il privilegio di godere, come cristiani, di una
situazione favorevole da tantissimi secoli. La Chiesa irachena no.
Nella nostra storia, anche prima
dell'arrivo dei musulmani, c'erano i persiani. Centinaia di cristiani
sono stati assassinati perché tali. Poi, quando i musulmani sono
venuti, hanno forzato tanti alla conversione, migliaia si sono rifiutati
e sono stati uccisi per la fede. Abbiamo da sempre dei martiri, anche
ora con l'Isis.
Diventare sacerdote a dodici anni, perché una scelta così pericolosa?
Sono rimasto molto commosso vedendo un
prete della chiesa dove andavo a messa con mio padre. Per me era un
esempio, un modello, sognavo di diventare un prete come lui. Oggi sono
un po' rari questi modelli, ma ci sono nella Chiesa.
E lei, padre (la chiamano habuna*
i suoi fedeli, papà) ha mantenuto questo aspetto pastorale insieme a
tutte le competenze teologiche. Parla correntemente otto lingue, e ha
voluto prendere, oltre a una laurea in teologia, anche una laurea in
filosofia alla Sorbona, uno dei templi della cultura laica.
Dopo la laurea a Roma sono tornato in Iran**,
c'era la guerra con l'Iraq, un'assurdità, un milione di morti. Sapevo
che se non prendevo un dottorato "laico" dovevo intraprendere il
servizio militare. Ho visto Saddam faccia a faccia, ho detto che avevo
un dottorato come gli altri, ma mi dissero che non era riconosciuto
perché era del Vaticano. Fare la guerra come prete? Io non sono fatto
per fare la guerra, gli dissi...
Nessun uomo è fatto per fare la guerra…
Mi rispose: "Va bene, preghi per me", e
ritardò nel trattare il mio caso, in modo da permettermi di tornare a
fare il sacerdote a Mosul. Poi ho avuto un invito, c'era un congresso ad
Amsterdam e lì ho incontrato un professore della Sorbona, che mi offrì
un posto di dottorato a Parigi. In nove mesi ho finito… e ho saltato il
servizio militare!
Lei ha tuonato più volte contro le
guerre decise a tavolino, che ricadono sempre sulla gente, sul popolo e
ha detto anche che c'è un piano per dare una forma nuova al Medio
Oriente, da dividere secondo frontiere etniche e religiose.
Certo. È il piano degli americani. Più
volte hanno parlato di questo piano del nuovo Medio Oriente, da
Kissinger alla signora Clinton, apertamente. Dall'inizio hanno
sbagliato nella politica del Medio Oriente, dopo la prima guerra
mondiale. Non hanno cercato di realizzare un progetto di cittadinanza,
hanno portato, per esempio, un re dall'Arabia Saudita per l'Iraq, un
altro per la Giordania, quando c'erano gli iracheni, c'erano i giordani!
Potevano mettere in Costituzione come base solo la cittadinanza, per
cui tutti i cittadini sono uguali, senza dire che sono curdi, arabi,
cristiani, musulmani… questa è una cosa personale, mentre la
cittadinanza è per tutti. Così è esploso come un vulcano, e tutti
cercano un'altra identità: sciita, sunnita, cristiana, araba, curda…,
come possiamo riconciliare questi opposte identità? È quasi impossibile.
Dopo la caduta del regime di Saddam Hussein quanta della sua gente è dovuta fuggire? E quanta può tornare oggi?
Quasi un milione di cristiani, ma anche di
più musulmani, tutta l'intelligenza, i ricchi e i giovani, partiti per
cercare un futuro. E secondo me chi se n'è andato non ritorna, perché i
bambini ormai vanno a scuola in altri paesi, e non vogliono.
Cosa serve all'Iraq per uscire da una crisi perenne?
Bisogna cambiare la mentalità, la cultura
settaria e creare uno stato secolare, civile, laico, basato sulla
cittadinanza. Un'economia più forte, l'indipendenza dai paesi vicini,
per esempio l'Iran, l'Arabia Saudita, la Turchia, e anche gli Stati
Uniti. Buoni rapporti, ma senza che possano intervenire nella politica
interna, è un impatto troppo forte: gli iracheni non sono liberi.
Che compito possono avere i
cristiani, pur così pochi? Voi siete i nostri fratelli più antichi,
perché san Tommaso è vostro padre e lui ha evangelizzato queste terre,
la vostra lingua è una forma dell'aramaico che parlava Gesù. Lei ha
detto più volte che anche se pochi, voi avete il compito di essere sale e
lievito.
Per voi la Bibbia dei primi Padri ha un
linguaggio diverso, non potete capirla, ma per noi è come se fosse nel
nostro sangue, noi capiamo cosa vuol dire essere il sale, la luce…
Abbiamo questa coscienza, dunque abbiamo una missione e quando c'è una
missione ci vuole anche tanto sacrificio. Noi contiamo molto nella
società irachena, la nostra qualificazione, l'educazione, soprattutto
l'apertura. Quando una donna cristiana esce per strada tutti la guardano
e dicono: "Perché lei è libera e noi non possiamo?". Si cambia piano
piano, anche grazie alla nostra condotta, alle nostre preghiere.
Padre Sako, c'è un libro, scritto
qualche anno fa, quando ancora la maggior parte delle città dell'Iraq
erano nelle mani dell'Isis, Più forti del terrore, pubblicato
dalla Emi: questo titolo riassume quello che ci ha detto finora,
racconta una storia terribile che abbiamo vissuto come cronaca
quotidiana, come paura, che questo terrore arrivasse anche da noi. Ci
siamo poi abituati al terrore che voi avete vissuto giorno dopo giorno.
Lei non ha mai avuto paura?
Mai, mai, mai. Anche io ho parlato con
alcuni dell'Isis, per fare delle trattative, ho salvato tanta gente
così. Io penso che bisogna conoscere le ragioni del perché c'è l'Isis,
Al Qaida: è tutto molto complicato. Voi non sapete niente di che cos'è
l'Isis. L'Isis è cieco. L'Isis secondo me è politicizzata, è chiaro, ma
l'Isis si basa sui versetti del Corano. I musulmani devono fare una
nuova lettura dei versetti che chiedono la violenza, che pensano che
solo l'islam sia la vera religione, che le altre religioni siano false.
Se ci sono versetti del tempo di Maometto bisogna inserirli nel
contesto, fare una esegesi, come noi abbiamo fatto.
La maggior parte dell'islam in Iraq è moderato?
Non tutti i musulmani sono fanatici, non
bisogna generalizzare, e per natura gli iracheni sono moderati, abbiamo
vissuto 35 anni in un regime laico. Poi gli americani hanno aperto le
frontiere e sono entrati tutti questi fondamentalisti dalla Giordania,
dall'Egitto, dallo Yemen, dall'Arabia Saudita…
A proposito di frontiere, lei si è
espresso in due occasioni in maniera molto forte. Una affermando che è
sbagliato accogliere gente che scappa dall'Iraq quando bisognerebbe
aiutarla a rimanere lì, perché poi vi manca la gente, vi mancano i
giovani.
Perché tutto viene tagliato, una
tradizione, un patrimonio che data oltre duemila anni a questi caldei,
una civiltà, il cui patrimonio vive nella comunità, nella lingua. Se
vanno via i bambini, dopo una generazione o due saranno americani,
francesi, italiani. E dunque bisogna proteggere la gente sul posto. E
poi, ripeto, i cristiani hanno una missione, se vogliono aiutare i
musulmani ad aprirsi. Ci vogliono i cristiani, nella loro terra.
E poi ha parlato contro il muslim band
americano, la discriminazione dei migranti su base religiosa, che oltre
ad essere ingiusta in sé, mette a rischio ancor di più i cristiani.
Non bisogna mai creare situazioni su base
religiosa o etnica: se un uomo lascia il suo paese per ragioni
economiche, o politiche, cerca una vita più degna e dev'essere aiutato.
Io sono contro però le migrazioni forzate, di massa: bisogna fare
discernimento. È meglio aiutare gli africani, gli asiatici a rimanere
nei propri paesi, promuovere progetti sul posto, per case, scuole,
ospedali… Qui in Occidente i cristiani iracheni che conosco sono
dispersi, isolati, stressati. Non sanno la lingua, la mentalità, è un
altro mondo.
È stato importante per la sua gente il riconoscimento del Papa. So che hanno festeggiato in tantissimi, cristiani e musulmani.
Per me non è cambiato nulla, sono un
patriarca, e il titolo è superiore a quello di cardinale. Ma c'è un
messaggio dietro a questa nomina: il Papa non può venire in Iraq,
l'ambiente non è pronto, quindi ha voluto essere vicino ai cristiani
iracheni con la sua amicizia e con la preghiera, creando un ponte tra la
chiesa irachena e la Santa Sede.
Cosa chiede la Chiesa irachena a noi?
La sicurezza! La cittadinanza, il lavoro,
le scuole, gli ospedali, e la fedeltà alla Chiesa universale. Chiede una
pastorale fedele, vivace, vicina.
Anche in questi giorni l'incontro a
Bari tra le chiese orientali è un segno dell'attenzione del Papa, verso
realtà divise, isolate, che si sentano parte di un abbraccio comune.
Il Papa non è Papa dell'Occidente, non è
solo il capo della Chiesa romana, latina. Tutta la Chiesa dev'essere
presente nella sua persona. Quando siamo venuti in visita ad limina
gli abbiamo detto che siamo dimenticati, anche se siamo un piccolo
gregge vogliamo essere presenti nella Curia, e lui per esprimerci la sua
solidarietà ha convocato tutti i patriarchi cattolici e ortodossi, per
vedere insieme cosa la Chiesa può fare e cosa ci possiamo aspettare
dalla società internazionale, le paure e le speranze. La prima speranza è
la pace, per poter vivere liberi e con gioia, senza paura, senza
sentirci schiavi.
Lo Stato islamico è stato sconfitto?
Militarmente sì, ma come ideologia è ancora
forte, forse più forte. Perché non ha più un territorio, ma è nella
mente, e l'ideologia spinge chi la serve a cercare vendetta verso gli
occidentali, ritenuti colpevoli. Questo spiega gli attentati nei paesi
europei.
Come si sradica questa ideologia malata?
Il compito dei musulmani e delle autorità
religiose è fare una riforma degli insegnamenti, i discorsi nelle
moschee devono essere liberi, aperti, non bisogna vivere nel VII secolo,
nel primo dell'era musulmana. Il mondo cambia e tocca affrontare in
modo corretto la modernità. Senza attenersi a una lettera antica. Io
dico sempre di imparare dalla nostra esperienza, per cui la Chiesa è semper reformanda…
Una bambina irachena cristiana,
Myriam, ha commosso le coscienze qui da noi, spiegando in un'intervista,
con ingenua ma netta coscienza, la sua offerta di perdono a chi l'aveva
rapita, a chi l'aveva sradicata dalla sua città, Qaraqosh.
Sono andato a trovare la famiglia di
Myriam, a Erbil, dove si è rifugiata. lI papà è cieco, è senza lavoro,
ci sono tanti bambini a casa. La piccola era stata rapita, poi liberata
con un piccolo riscatto. I genitori hanno vissuto un periodo drammatico,
ma hanno resistito con la preghiera, la solidarietà, la vicinanza.
Oggi, che tutto è basato sul denaro, che l'individualismo, soprattutto
qui da voi, trionfa e uccide, la fede in Dio e la fedeltà agli uomini
sono la cosa più importante da ricordare.
* La corretta grafia della translitterazione del termine arabo أبونا è Abuna.
** Nella frase "Dopo la laurea a Roma sono tornato in Iran, c'era la guerra con l'Iraq" i nomi dei due paesi sono invertiti
Note di Baghdadhope