By Piacenza Sera
Una piccola “scheggia” di vita, sopravvissuta all’inferno scatenato dall’Isis a Mosul, che ha trovato la pace nell’oasi delle Suore Scalabriniane di Piacenza, a fianco della chiesa di San Savino.
Una piccola “scheggia” di vita, sopravvissuta all’inferno scatenato dall’Isis a Mosul, che ha trovato la pace nell’oasi delle Suore Scalabriniane di Piacenza, a fianco della chiesa di San Savino.
E’ la storia di Luayissa, di Rana Sulaiman, giovani
genitori, del loro piccolo figlio Ibrahim di soli tre anni e della nonna
Wafaa Saleem: sono arrivati da Beirut all’aeroporto di Fiumicino il 3 luglio scorso.
Ad aspettarli c’era suor Milva Caro, la superiora provinciale delle Scalabriniane di Piacenza insieme agli operatori umanitari della Comunità di Sant’Egidio, vera “potenza” diplomatica del bene.
Attraverso “un corridoio protetto” sono stati salvati dalla persecuzione e portati nel nostro paese, dove hanno fatto la domanda di protezione internazionale, come tanti altri migranti in fuga dalle guerre che imperversano in diversi paesi del pianeta.
Nel giardino delle scalabriniane una piccola festa ha accolto la famiglia di religione siro-ortodossa, confessione appartenente a una delle comunità cristiane più antiche dell’Iraq.
Dal febbraio del 2016 erano ospitati in una chiesa di Beirut insieme ad altri profughi fuggiti dall’inferno di Mosul, sotto il giogo di “Daesh“,
parola araba che definisce lo stato islamico e che sentiamo pronunciare
più volte da Sulaiman mentre ci racconta – con l’ausilio di un
interprete – la storia della sua fuga.
“Non era più possibile vivere – ricorda – a Mosul, una situazione
insostenibile in particolare per noi cristiani, perseguitati dopo
l’ingresso delle truppe dell’Isis”. “Hanno segnato e bruciato la nostra
casa – aggiunge mostrandoci alcune foto dal suo telefonino – ma già
prima dell’avvento dello Stato Islamico per noi la situazione era
difficile”.
Sulaiman era fabbro e operaio meccanico, sua moglie
maestra e il loro piccolo Ibrahim aveva solo un anno, quando hanno
deciso di scappare. “Pensa – racconta – che l’Isis imponeva di pagare
una tassa a noi cristiani, soltanto se ci fossimo convertiti all’Islam
non ci avrebbero più chiesto soldi”.
“Non solo le chiese e i templi – afferma – ma anche i cimiteri
cristiani sono stati profanati, alla fine siamo fuggiti, ma tanti dei
nostri parenti sono rimasti nei villaggi fuori Mosul”.
La città è stata liberata dall’Isis circa un anno fa,
ma oggi la situazione non è per nulla tranquilla. “Anche oggi per un
cristiano è impossibile vivere. I musulmani e i guerrieri hanno preso la
città e non c’è pace per chi come noi vorrebbe ricostruirsi una vita”.
“Non riesco a pensare di ritornare – aggiunge – oggi siamo in Italia e
sono molto grato al governo che mi ha aiutato e accolto, mi piacerebbe
restare qui con la mia famiglia”.
Sulaiman e la sua famiglia hanno richiesto lo status di rifugiati
internazionali e non appena arrivati a Piacenza hanno svolto tutte le
procedure in questura. Le Suore Scalabriniane non fanno mancare nulla a loro: “Qui sembra un sogno” – ci confessano.
La superiora piacentina Suor Milva Caro spiega come è
nata l’opportunità di ospitare una famiglia di profughi in fuga dalle
persecuzioni: “Ci siamo rivolti alla Comunità di Sant’Egidio e abbiamo
fatto due incontri di preparazione, per conoscere i corridoi umanitari”.
“Il nostro impegno è aiutarli nell’integrazione – afferma – per
questo vogliamo insegnare loro l’italiano e trovare un impiego, perchè
non vogliono restare dipendenti, ma ricrearsi una vita. Vogliamo anche
coinvolgere i piacentini perchè conoscano la loro storia”.
“Sono disponibili – fa notare – e molto propositivi a lavorare.
Abbiamo già ospitato profughi in passato, ma anche per noi è una sfida
nuova. Abbiamo dato la nostra disponibilità per ospitare un nucleo
familiare – conclude – perchè è importante mantenere unita una famiglia e
perchè pensiamo sia più facile anche per loro adattarsi”.