"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

16 luglio 2018

In fuga dall’inferno dell’Isis, la famiglia di Sulaiman nel “rifugio” delle Suore Scalabriniane

By Piacenza Sera

Una piccola “scheggia” di vita, sopravvissuta all’inferno scatenato dall’Isis a Mosul, che ha trovato la pace nell’oasi delle Suore Scalabriniane di Piacenza, a fianco della chiesa di San Savino.
E’ la storia di Luayissa, di Rana Sulaiman, giovani genitori, del loro piccolo figlio Ibrahim di soli tre anni e della nonna Wafaa Saleem: sono arrivati da Beirut all’aeroporto di Fiumicino il 3 luglio scorso.
Ad aspettarli c’era suor Milva Caro, la superiora provinciale delle Scalabriniane di Piacenza insieme agli operatori umanitari della Comunità di Sant’Egidio, vera “potenza” diplomatica del bene.
Attraverso “un corridoio protetto” sono stati salvati dalla persecuzione e portati nel nostro paese, dove hanno fatto la domanda di protezione internazionale, come tanti altri migranti in fuga dalle guerre che imperversano in diversi paesi del pianeta.
Nel giardino delle scalabriniane una piccola festa ha accolto la famiglia di religione siro-ortodossa, confessione appartenente a una delle comunità cristiane più antiche dell’Iraq.
Dal febbraio del 2016 erano ospitati in una chiesa di Beirut insieme ad altri profughi fuggiti dall’inferno di Mosul, sotto il giogo di “Daesh“, parola araba che definisce lo stato islamico e che sentiamo pronunciare più volte da Sulaiman mentre ci racconta – con l’ausilio di un interprete – la storia della sua fuga.
“Non era più possibile vivere – ricorda – a Mosul, una situazione insostenibile in particolare per noi cristiani, perseguitati dopo l’ingresso delle truppe dell’Isis”. “Hanno segnato e bruciato la nostra casa – aggiunge mostrandoci alcune foto dal suo telefonino – ma già prima dell’avvento dello Stato Islamico per noi la situazione era difficile”.
Sulaiman era fabbro e operaio meccanico, sua moglie maestra e il loro piccolo Ibrahim aveva solo un anno, quando hanno deciso di scappare. “Pensa – racconta – che l’Isis imponeva di pagare una tassa a noi cristiani, soltanto se ci fossimo convertiti all’Islam non ci avrebbero più chiesto soldi”.
“Non solo le chiese e i templi – afferma – ma anche i cimiteri cristiani sono stati profanati, alla fine siamo fuggiti, ma tanti dei nostri parenti sono rimasti nei villaggi fuori Mosul”.
La città è stata liberata dall’Isis circa un anno fa, ma oggi la situazione non è per nulla tranquilla. “Anche oggi per un cristiano è impossibile vivere. I musulmani e i guerrieri hanno preso la città e non c’è pace per chi come noi vorrebbe ricostruirsi una vita”.
“Non riesco a pensare di ritornare – aggiunge – oggi siamo in Italia e sono molto grato al governo che mi ha aiutato e accolto, mi piacerebbe restare qui con la mia famiglia”.
Sulaiman e la sua famiglia hanno richiesto lo status di rifugiati internazionali e non appena arrivati a Piacenza hanno svolto tutte le procedure in questura. Le Suore Scalabriniane non fanno mancare nulla a loro: “Qui sembra un sogno” – ci confessano.
La superiora piacentina Suor Milva Caro spiega come è nata l’opportunità di ospitare una famiglia di profughi in fuga dalle persecuzioni: “Ci siamo rivolti alla Comunità di Sant’Egidio e abbiamo fatto due incontri di preparazione, per conoscere i corridoi umanitari”.
“Il nostro impegno è aiutarli nell’integrazione – afferma – per questo vogliamo insegnare loro l’italiano e trovare un impiego, perchè non vogliono restare dipendenti, ma ricrearsi una vita. Vogliamo anche coinvolgere i piacentini perchè conoscano la loro storia”.
“Sono disponibili – fa notare – e molto propositivi a lavorare. Abbiamo già ospitato profughi in passato, ma anche per noi è una sfida nuova. Abbiamo dato la nostra disponibilità per ospitare un nucleo familiare – conclude – perchè è importante mantenere unita una famiglia e perchè pensiamo sia più facile anche per loro adattarsi”.