"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

28 giugno 2018

Cardinal Sako: Ricostruire l’unità dei cristiani e dell’Iraq. Presto un sacerdote a Mosul

By Asia News
Dario Salvi


Rafforzare l’unità dei cristiani, rilanciare il principio di cittadinanza quale elemento comune a tutti gli irakeni e sostenere l’opera di ricostruzione delle case e delle persone, devastate dalla guerra e dalle violenze jihadiste. Sono questi gli obiettivi tracciati dal patriarca caldeo mar Louis Raphael Sako, che oggi in Vaticano riceve la berretta cardinalizia da papa Francesco. E l’impegno di nominare a breve un sacerdote per la parrocchia di san Paolo a Mosul. Una personalità “forte e autorevole”, assicura il neo porporato, che “verrà scelta entro la fine dell’estate” e che sia segno e garanzia “di stabilità”.
AsiaNews ha incontrato il primate caldeo a poche ore dalla cerimonia. Ecco quanto ci ha raccontato:
Patriarca Sako, che valore ha la nomina cardinalizia per la Chiesa irakena?
Con questa scelta papa Francesco ha voluto mandare un segnale forte di sostegno alle Chiese orientali. La nomina va in questa direzione. Inoltre è un messaggio ai cristiani irakeni, ci vuole dire: ‘Anche se non posso venire vi sono vicino, vi incoraggio a rimanere e a sperare, ad avere pazienza, impegnatevi per cambiare la situazione’. Infine, è un appello alla classe politica irakena: tutti sanno l’importanza e l’influenza che esercita il Vaticano a livello internazionale. I musulmani hanno preso questa nomina come un invito ulteriore alla riconciliazione, al dialogo, all’impegno comune per la rinascita della nazione. Una scelta dall’alto valore simbolico, come lo è stata a suo tempo la nomina a cardinale del nunzio apostolico in Siria Mario Zenari. 
Quali saranno i suoi obiettivi per il prossimo futuro?
Prima di tutto l’unità dei cristiani, che ci tocca al cuore per la profonda frammentazione che ha caratterizzato a lungo la nostra Chiesa. E ancora, l’unità degli irakeni in quanto cittadini con eguali diritti ed eguali doveri, secondo il principio di cittadinanza. Infine, lavorare per un futuro migliore partendo dall’opera di ricostruzione materiale e culturale. In questo senso è importante una maggiore presenza a livello di rapporti con la Chiesa occidentale, lo scambio culturale, la nascita di istituti, scuole, dispensari e ospedali cristiani come avviene già nelle altri nazioni dell’area (Siria e Libano). Per troppo tempo ci siamo sentiti isolati, per questo è importante che oggi ci apriamo al mondo e dall’esterno vengano sempre più persone. Bisogna aiutare questa Chiesa caldea, che è fra le più antiche, a essere un segno visibile attraverso opere e progetti. 
Una rinascita che può partire proprio da Mosul, a lungo roccaforte dello Stato islamico (SI, ex Isis) e dove si sono consumate le peggiori atrocità jihadiste? 
Esatto! Per far rinascere Mosul è fondamentale ricostruire case e abitazioni, incentivare le persone a tornare. Poi è necessario ricostruire l’uomo, prima di tutto a livello psicologico e sociale con percorsi di integrazione e confronto. Da ultimo garantire il lavoro, agevolando la ripresa delle attività commerciali, industriali, le micro-imprese e l’artigianato locale. 
Come è la situazione in città?
Vi sono ancora molte distruzioni, ma fra gli stessi musulmani vi è un nuovo impulso a ripartire, a reagire di fronte ai disastri dell’Isis. Bisogna educare la gente ad aprirsi, garantire il rispetto delle leggi, favorire l’istruzione e scongiurare derive estremiste nell’approccio alla fede. 
In questo senso è fondamentale un ritorno dei cristiani, a livello di fedeli e di clero…
Certo, ecco perché a breve nominerò un prete per la parrocchia di san Paolo a Mosul, che tornerà a vivere lì in modo stabile. Sarà una personalità forte e autorevole, che sceglieremo entro la fine dell’estate. Oggi la situazione è cambiata ed è arrivato il momento per ricostruire la comunità, garantendole stabilità. Vogliamo mandare un messaggio forte, dire che siamo tornati, incoraggiando in questo modo anche le persone a rientrare, in primis gli studenti universitari. 
Anche il via libera alla causa di beatificazione di p. Ragheed Ganni arrivata nelle scorse settimane dal Vaticano può infondere fiducia e speranza?
La sua storia e il suo sacrificio, comune a quelli di molti altri sacerdoti, diaconi e vescovi fra cui mons. Rahho testimoniano che la Chiesa irakena è una storia continua di martiri. Questa beatificazione, che dovrebbe concludersi in tempi brevi, darà nuova forza alla comunità locale. È un monito per farci capire che questo sangue non è versato invano, ma è frutto di amore e porterà pace.  
Beatitudine, le recenti elezioni hanno determinato un clima di incertezza nel Paese, con accuse di brogli e ricorsi. Quali sono le prospettive?
La situazione è al momento complicata e tesa, sono in atto lotte per il potere e per il denaro, la corruzione resta uno dei mali endemici del Paese. Tuttavia, vi sono alcuni segnali chiari: alle ultime elezioni si è registrata la percentuale più alta di nuovi nuovi candidati che fanno il loro ingresso per la prima volta in Parlamento. E questo fa paura a quanti hanno tenuto sinora le redini del potere ed è anche per questo che si sono levate tutte queste voci di frodi, accuse di brogli, contestazioni. Ma sono sicuro che alla fine nascerà un governo forte, con una impronta civile e libera dal settarismo. Oggi vi è una mentalità diversa rispetto al passato, determinata forse anche da una crisi economica e morale generale. Ecco, a mio avviso la situazione attuale a livello mondiale è determinata proprio da questa crisi dei valori, in particolare fra i cristiani, che faticano a rivendicare la propria identità e appartenenza di fronte all’orgoglio mostrato dai musulmani. 
Patriarca Sako, come immagina il futuro prossimo per l’Iraq e la sua Chiesa?
Viviamo una fase di grandi sfide, di paure e di speranze. Dobbiamo continuare il linguaggio del dialogo con i musulmani, non in base a principi astratti a livello accademico ma secondo un rapporto attuale, concreto, che si vive giorno per giorno. Dobbiamo cercare di aiutarli a correggere le derive estremiste, favorendo il rispetto di tutti e la tutela delle realtà più deboli ed emarginate. Potrà essere un passaggio lento, ma io credo in questo piccolo miracolo e lo vedo anche dai rapporti che si sono creati non solo fra papa Francesco e grandi personalità dell’islam, come il grande imam di al-Azhar, ma pure a livello locale con un legame sempre più profondo che si è venuto a creare con le più alte autorità sunnite e sciite dell’Iraq. Difendendo con le parole e con gli esempi valori assoluti come i diritti umani, la libertà religiosa anche e soprattutto nei Paesi a maggioranza musulmana, e il principio di cittadinanza separato dalla religione.