By Asia News
Bernardo Cervellera
Bernardo Cervellera
L’Iran è sotto i riflettori
mondiali: fra oggi e domani si dovrebbe (come molti sperano) giungere a
un accordo o almeno a una bozza di accordo che garantisca la comunità
internazionale sul fatto che l’Iran faccia un uso pacifico del suo
programma nucleare e alleggerisca Teheran di tutte o una parte delle
sanzioni economiche e finanziarie di cui è stata fatta oggetto da quasi
30 anni, cresciuti poi negli ultimi quattro. Le delegazioni e i ministri
degli esteri interessati (i 5+1: Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna,
Francia e Germania, oltre all’Iran) si stanno incontrando a Losanna.
Non si sa molto sulle discussioni. Dalle poche parole espresse da
rappresentanti anonimi o da noti ministri degli esteri, entrambe le
parti vorrebbero riuscire a varare un accordo che si può definire
“storico”; entrambe le parti però stanno negoziando da una parte il
numero delle centrifughe per l’uranio che Teheran potrà usare per scopi
medici e pacifici (6, 7mila, 10mila); dall’altra le tappe per la
cancellazione delle sanzioni (alcune subito, altre entro quattro mesi,
altre dopo 10 anni).
Ho già spiegato alcuni giorni fa perché è importante per la comunità internazionale giungere a una riconciliazione con l’Iran (v. qui).
Non tutti sono d’accordo. I più negativi sono il premier Benjamin
Netanyahu, che preferisce “nessun accordo” meglio di “un cattivo
accordo”, e l’Arabia saudita che accusa Teheran di voler mettere sottosopra il Medio oriente.
Entrambi però non confessano tutta la verità: il primo che è leader
dell’unica potenza nucleare in Medio oriente e che cerca di non avere
concorrenti; la seconda, non dice quanti petrodollari sono usati per
diffondere il fondamentalismo wahabita che sta scuotendo l’Asia,
l’Africa e il mondo, per non parlare del sostegno economico e militare
dato all’Isis, ora autoproclamatosi Stato islamico.
Al di là di tutte le lotte politiche, a noi interessa la vita del
popolo iraniano. Per questo lo scorso anno, di questi tempi, vicino a
Pasqua, mi sono recato in visita in questo affascinante Paese, a
incontrare il suo popolo, i suoi giovani, le sue Chiese. Sulla situazione delle persone colpite dall’embargo, ho già detto in passato. Come pure sull’islam sciita,
più aperto e dialogico dell’islam sunnita: ne sono prova le traduzioni
di testi religiosi in persiano da parte di diversi autori musulmani, che hanno perfino tradotto il Catechismo della Chiesa cattolica.
Resta da comprendere come vivono i circa 350mila cristiani in Iran,
appartenenti a diversi riti. Per alcuni essi vivono in una persecuzione
soffocante; per altri essi godono una libertà meravigliosa. Tenendo
conto che il Paese è musulmano al 98 % (sciiti 86,1%; sunniti 10,1%;
altri musulmani 2%) la libertà garantita ai cristiani è senz’altro
maggiore rispetto ad altri Paesi della regione, anche se non mancano
problemi e violenze.
Il mio viaggio fra i cristiani dell’Iran comincia da una visita al
ministero delle minoranze, guidato dall’hojatoleslam Alì Younesi, che
gestisce i rapporti con cristiani e ebrei, ma anche con le minoranze
etniche, fra cui baluchi e curdi, sempre inquieti verso il governo
centrale. Questo ministero, mi dice, è stato voluto proprio dal
presidente Hassan Rouhani, che “ha a cuore i diritti di tutti i
cittadini, di qualsiasi religione, razza, cultura. Tutto il popolo
iraniano deve godere stessi diritti e la stessa dignità”.
Un rappresentante cristiano alla Majlis (parlamento), il sig.
Yonathan Betkolia, assiro, è entusiasta di Rouhani e del suo nuovo
corso. Mi dice che la comunità assira e caldea sono in Iran da 3mila
anni (forse come etnie!); che cristiani e musulmani vivono insieme
dall’inizio, da 1400 anni; che a Urmiyeh, nel nord del Paese, dove vi
sono le prime tracce cristiane, sono conservate le tombe dei Re magi;
che vi sono molte chiese che ora, con l’esodo dei cristiani, sono curate
da musulmani.
Gli domando se in questi anni i rappresentanti cristiani al
parlamento hanno portato qualche risultato per migliorare la libertà
religiosa dei cristiani. Mi racconta un fatto interessante: fino a poco
tempo fa vi era una antica legge che garantiva il cosiddetto “prezzo del
sangue”: se uno veniva assassinato e l’omicida preso e condannato,
questi doveva pagare il prezzo del sangue alla famiglia dell’ucciso. Ma
per un musulmano tale prezzo era di 60 milioni di rial; per un cristiano
era 3 milioni di rial. I rappresentanti delle minoranze hanno ottenuto
che il prezzo del sangue fosse uguale per tutti, cristiani e musulmani,
cioè 150 milioni di rial.
Un’altra legge che si sta per cambiare è quella sull’eredità. Tale
legge impone che se un membro della famiglia è musulmano, tutta
l’eredità vada a lui e non sia suddivisa fra i membri. Questo ha portato
spesso a false conversioni all’islam dettate dalla voglia di
impossessarsi di tutti i beni di famiglia. Questa legge la vuole
cambiare proprio il ministro Younesi.
Quello delle conversioni dall’islam a un’altra religione e viceversa
sono un punto che fa paura all’Iran. “Noi – mi dice - non amiamo che i
musulmani costringano le minoranze a diventare musulmane. O viceversa
che le minoranze facciano proselitismo [lett.: “propaganda al fine di
cambiare la tua mente”]… Noi vogliamo che ognuno viva accanto all’altro,
che la moschea viva accanto alla chiesa. Ma non desideriamo né il
proselitismo, né il cambiamento [la conversione].
L’unità nazionale e la sicurezza del nostro Paese viene minacciata:
questo equilibrio che attualmente vive fra di noi è a favore delle
minoranze e noi non vogliamo rompere questo equilibrio”.
La “sicurezza” è dunque il motivo per cui non si accettano
conversioni in un senso o nell’altro. Ed è il motivo per cui il
proselitismo viene perseguito come un crimine: ne sanno qualcosa le
comunità protestanti che spesso diffondono la loro fede in pubblico,
spingono alla conversione, mettono a capo delle loro comunità dei
musulmani convertiti. Secondo il Christian Today (pubblicazione
anglicana) del 27 ottobre 2014, vi sono almeno 49 cristiani protestanti
in prigione, accusati di “proselitismo”.
Ma se il “proselitismo” - come pressione e manipolazione della
coscienza altrui - è da condannare, rimane il fatto che perfino il
parlare in pubblico della propria fede cristiana rischia di essere
bollato come “proselitismo” e perciò proibito. Questa situazione ha
portato le comunità cristiane a rinchiudersi via via nel loro gruppo,
impossibilitati a offrire la loro fede all’esterno, assistendo a una
crescita solo per via… demografica, con il battesimo dei figli dei
cristiani.
Per il nunzio vaticano, mons. Leo Boccardi è vero che ci sono freni
alla missione, “ma con tutto questo c’è ancora spazio disponibile per
dialoghi fruttuosi con il mondo islamico. E in ogni caso qui le chiese
hanno libertà di culto, che è impossibile vedere altrove; sono sicure,
nessuno li tocca; non c’è terrorismo”. Il nunzio, molto ottimista,
parla di una “nuova atmosfera” portata da Rouhani e un senso di
maggiore libertà.