Manuela Borraccino
È l’impegno dei cristiani nella vita politica e sociale la chiave di
volta per la sopravvivenza del cristianesimo in Iraq e dello stesso
Stato iracheno. Il patriarca di Babilonia dei caldei Louis Raphael I
Sako è tornato a chiedere a presuli e laici stranieri un impegno pratico
di formazione alla politica per uscire dalla difficile ricostruzione
irachena, insieme all’amara constatazione che «l’Occidente non comprende
i timori che i cristiani provano oggi in Medio Oriente».
Invitato sabato scorso, 26 ottobre, all’inaugurazione dell’anno
accademico del Pontificio Istituto Orientale di Roma, il patriarca
caldeo ha tracciato una serie di linee guida su come uscire dalla
transizione senza fine che vive il Paese: l’Iraq ha conosciuto sei
elezioni in otto anni e una violenza crescente che rende impossibile la
convivenza e la riconciliazione nazionale. «Da dieci anni – ha rimarcato
– non ci sono segnali di sicurezza né per i cristiani né per gli altri.
La fragilità delle istituzioni e la debole percezione dell’identità
nazionale mettono a rischio tutti ma soprattutto i cristiani». Egli ha
confermato che a partire sono stati soprattutto i cristiani più istruiti
e facoltosi, al punto che ormai sono rimasti solo i poveri e disagiati.
«È un impoverimento per chi parte e per chi rimane, per tutto il Paese.
Secondo il censimento del 1987 i cristiani erano 1 milione e 264 mila,
oggi sono meno della metà. Se circa 700 mila sono fuggiti, chi ha deciso
di restare deve essere incoraggiato».
Proprio per questo «dobbiamo istruire e formare le persone: serve un
quadro politico per realizzare la democrazia. Chiediamo ai laici di
essere più coinvolti nella cultura, nella società, nella politica del
Paese: è necessario sviluppare una laicità positiva, una democrazia
basata sui diritti umani, l’uguaglianza nella cittadinanza e la
libertà». «Occorre formare un team specializzato di laici – ha
soggiunto Sako – che studi, analizzi i problemi e proponga nuove
soluzioni per migliorare la situazione delle nostre città e dei nostri
villaggi, per costruire nuove abitazioni, nuove strade e creare lavoro,
affinché i cristiani non si vedano costretti a emigrare. Che fare per
introdurre nel Paese il rispetto della libertà religiosa e per
riconoscere ai cristiani gli stessi diritti dei musulmani? Come
partecipare in maniera attiva e costruttiva alla politica per servire il
bene comune e non gli interessi di parte?».
Il patriarca ha caldeggiato la nascita di una coalizione dei partiti
cristiani sotto un unico nome, ad esempio Unione nazionale cristiana
irachena, visto che «i cristiani sono attualmente divisi in otto
partiti, e questa dispersione li rende tutti irrilevanti». «Restando
uniti – si è chiesto - non si potrebbe forse lanciare una campagna
nazionale, con un programma come questo: “La pace e la convivenza, il
rispetto di tutte le religioni e di tutte le confessioni, per una vera
democrazia”? Perché non costituire un “consiglio politico cristiano” che
si faccia carico dei problemi dei cristiani, senza trascurare quelli
dell’intera comunità nazionale?».
Allo stesso tempo è fondamentale che i cristiani «siano presenti
anche nei partiti non cristiani, soprattutto in vista delle elezioni del
2014, così da accrescere il numero dei parlamentari appartenenti alla
nostra comunità: se i cristiani sono attivi, dinamici, certamente
possono arrivare anche ad una quota maggiore di quella attualmente
fissata a 5 parlamentari cristiani per ogni lista».
È importante che i cristiani della diaspora si iscrivano presso le
ambasciate irachene all’estero per mantenere il diritto di voto, «così
prezioso in tempo di elezioni». E bisognerebbe altresì creare un fondo
di emergenza per aiutare le famiglie vittime di attentati (a Baghdad,
Bassora, Mosul ci sono state tantissime vittime). «Occorre formare
centri di emergenza per intervenire immediatamente nel sostegno alle
famiglie e per rispondere a quanti sono continuamente bersagliati da
azioni criminali quali omicidi, stupri, rapimenti, ruberie, incendi
nelle chiese e danneggiamenti delle abitazioni. Se ci fossero tali
centri, coloro che vi lavorano potrebbero intervenire rapidamente a
sostegno di quegli innocenti, per non lasciarli soli di fronte a questi
orribili crimini».
E ancora: «I cristiani devono unire i loro sforzi per mantenere la
coesione nazionale e difendere il diritto alla libertà religiosa come
una componente fondamentale della società irachena e devono unirsi per
realizzare tutto questo: siamo piccole Chiese sparse qua e là, senza
unità non abbiamo futuro». Questo vale anche per il dialogo con i
musulmani: «Senza dialogo – ribadisce Sako – non c’è vita, non c’è
convivenza, e sono pienamente convinto che la maggior parte dei
musulmani sia aperta al dialogo. Ci sono i fondamentalisti, per cui
tutto è politicizzato, ma ci sono anche capi religiosi sensibili al
dialogo. Penso inoltre che cristiani e musulmani debbano trovare, di
comune accordo, un linguaggio più comprensibile per esprimere la loro
fede».
La Lega Araba, l’Organizzazione per la Conferenza islamica e le
autorità religiose dovrebbero promulgare «un documento ufficiale nel
quale riconoscono ai cristiani il loro diritto come cittadini uguali
agli altri, separando finalmente la religione dalla politica». Inoltre
«i Paesi occidentali devono dire a loro stessi che non giova a nulla
fabbricare e vendere armi: meglio sarebbe per loro e per gli altri
fabbricare cose utili per la vita e la prosperità».
Servono insomma pragmatismo, studio, azione, e una grande tenacia. A
maggior ragione in una situazione come quella che si vive oggi
nell’intera regione, dove «il fondamentalismo islamico sta crescendo e i
cristiani, indipendentemente dalle loro scelte e dal loro impegno, sono
vittime di una congiuntura internazionale che li supera. Gli estremisti
vogliono approfittare della situazione attuale per svuotare il Medio
Oriente della presenza cristiana, come se essa fosse un ostacolo ai loro
piani». Il pericolo maggiore, ha concluso Sako, viene dall’esistenza di
una strategia per dividere il Medio Oriente in Paesi confessionali.
Ormai si parla apertamente di divisioni lungo linee etniche e
confessionali sia in Iraq che in Siria.