"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

5 novembre 2009

Per un Iraq sereno e pacifico

Fonte: L'Osservatore Romano

Citta' del Vaticano, 6 novembre

di Francesco Ricupero

A poco più di due mesi dalle elezioni politiche in Iraq, il Paese sembra essere scosso nuovamente da una spirale di violenza che rischia di compromettere il processo di pace. Per sapere come gli iracheni, e soprattutto i cristiani, si stanno preparando a questa nuova tornata elettorale, lo abbiamo chiesto all'arcivescovo di Kerkûk dei Caldei, monsignor Louis Sako, impegnato in questi giorni a una serie di convegni in Germania sull'importanza del patrimonio e della presenza cristiana in Medio oriente.
"Il violento attentato dei giorni scorsi a Baghdad ci ha fatto nuovamente sprofondare in un clima di incertezza e anche di paura - spiega a "L'Osservatore Romano" l'arcivescovo - le elezioni ormai prossime creano tensione tra i partiti, 0gnuno sgomita e si fa largo per dimostrare il proprio potere. Noi cristiani, in quanto minoranza, cerchiamo di stare uniti e di non schierarci con coalizioni violente, ma essendo in pochi siamo comunque costretti ad aderire a un partito più grande che ha una sua identità politica e un proprio programma. Speriamo che si possa assistere a una campagna elettorale serena, senza spargimento di sangue. Questo è nell'interesse del Paese e di tutta la comunità". Monsignor Sako sottolinea come sia necessario e indispensabile avere una stabilità politica non solo in Iraq, ma in tutto il Medio oriente. "La nostra speranza è di vedere l'Iraq unito e in pace. Non mi stancherò mai di ripeterlo. Solo il dialogo porta alla pace, con l'uso delle armi non si andrà da nessuna parte. Musulmani e cristiani - prosegue - dovranno continuare a dialogare e a rispettarsi con un unico obiettivo: la ricostruzione di un Paese che negli ultimi anni e anche nelle ultime settimane è stato costretto ad assistere a ogni forma di violenza. L'unica cosa che ci preoccupa in questo momento è sapere che non si ha la certezza di un futuro senza tensioni e scontri tribali".
L'arcivescovo oltre a ribadire al nostro giornale che la popolazione irachena è impegnata a costruire un futuro all'insegna del rispetto reciproco e della riconciliazione nazionale, ha ricordato l'incontro conviviale del 29 agosto scorso in arcivescovado con i responsabili religiosi musulmani. "Si deve partire da quell'incontro, dal dialogo, dalla condivisione e dalla riconciliazione. È stato un incontro dagli effetti positivi e che ci incoraggia. Quando ci si incontra e si ha la buona volontà di discutere, i problemi e i contrasti si risolvono gradualmente e pacificamente. Questo - ha aggiunto monsignor Sako - è quello che dovrebbero fare i partiti in vista delle elezioni per la ricostruzione di un Iraq unito. Purtroppo, sono molti quelli che cercano di ostacolare il processo di pace nel nostro Paese. Le frammentazioni etniche e religiose non devono prevalere sul dialogo e sul processo di pace. Noi alla nostra comunità raccomandiamo sempre di evitare i contrasti e le diatribe con gli altri. I partiti cristiani sono divisi e non hanno una propria autonomia, dipendono dalle altre coalizioni più grandi e questo non permette di esprimere la propria opinione in maniera decisa ed efficace". L'arcivescovo di Kerkûk, inoltre, si sofferma sulla situazione dei cristiani in Iraq. "Non siamo ancora riusciti a far ritornare i cristiani nelle loro case e nei loro paesi di origine perché non siamo in grado di assicurare loro un futuro migliore. Dobbiamo lavorare e impegnarci per garantire un lavoro, una casa, delle infrastrutture, una rete di servizi, solo così potremo convincere i cristiani a ritornare e solo così potremo evitare di disperdere il nostro patrimonio di duemila anni". Il presule spiega che negli ultimi mesi molti Paesi come Siria, Giordania e Turchia stanno offrendo la possibilità ai profughi iracheni di ottenere una sorta di permesso di soggiorno. "Questa situazione sta provocando una specie di fuga dall'Iraq perché molti utilizzano la Siria, la Turchia e la Giordania come trampolino per poi raggiungere le famiglie in Canada, in Australia o negli Stati Uniti".
Infine, l'arcivescovo auspica che il Patriarca di Babilonia dei Caldei, il cardinale Emmanuel III Delly, "lanci al più presto un appello per la riconciliazione di tutti i cristiani iracheni al fine di salvare il Paese. Dobbiamo cambiare la nostra posizione e far capire che abbiamo una missione da compiere, ma le parole non bastano servono fatti concreti. Occorre intervenire in maniera efficace ed urgente per evitare che si inneschi un'altra spirale di violenza. La Chiesa in Iraq e tutta la comunità cristiana - conclude l'arcivescovo di Kerkûk dei Caldei - deve essere un esempio per gli altri e collaborare alla ricostruzione del Paese all'insegna dell'unità e del rispetto reciproco".