Fonte: Asia News
Il rettore del Seminario maggiore di Ankawa denuncia: la grave crisi della Chiesa in Iraq è dovuta a terroristi e fanatici, ma anche all’indifferenza della leadership politica che non garantisce le minoranze. Dal 2003 il numero di cristiani è più che dimezzato secondo la nunziatura a Baghdad: nel Paese rimangono tra i 200mila e i 300mila fedeli.
“I cristiani in Iraq sono ormai considerati in via di estinzione e tagliati fuori dal processo politico del Paese”: riassume così il dramma della Chiesa irachena p. Bashar Warda, redentorista, neo rettore del Seminario maggiore St. Peter, di recente trasferito da Baghdad ad Ankawa (Kurdistan) per motivi di sicurezza. Il sacerdote lancia un appello attraverso AsiaNews affinché il governo di Baghdad si impegni a favore di una convivenza pacifica nel Paese, tutelando anche le minoranze più indifese e “senza voce”.
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Il messaggio di p. Warda arriva alla vigilia dei summit di Sharm el-Sheikh, il 3 e 4 maggio, dove la comunità internazionale discuterà piani per il futuro dell’Iraq. Anche i vescovi dell’Iraq hanno denunciato giorni fa una vera e propria campagna di persecuzione.
Il sacerdote critica una democrazia diventata “semplicistica espressione della maggioranza e sistematica violazione dei diritti delle minoranze”. Elenca poi alcuni aspetti di una grave crisi che colpisce in modo particolare i cristiani: “L’aumento della disoccupazione tra i cristiani, le confische arbitrarie delle proprietà di famiglie a Baghdad e Mosul, le violazioni della libertà religiosa e di pensiero, rapimenti, attentati e minacce di stampo confessionale”. Si chiede poi il perché da anni nessuno interviene. “La risposta è semplice: l’indifferenza della leadership irachena, che non riconosce la nostra appartenenza a questa patria; la nostra partecipazione umana ed intellettuale al progresso del Paese come iracheni, insieme a tutte le altre comunità religiose che vi abitano”.
“Approfittano di noi – dice il rettore – perché non godiamo dell’appoggio di nessuna forza esterna, né possediamo una nostra milizia, sanno che l’unica cosa che possiamo fare è lanciare appelli e denunce, così la politica va avanti ormai convinta che la nostra comunità è destinata ad estinguersi entro pochi anni”.
In effetti, in seguito alle violenze di questi anni, molti cristiani iracheni sono emigrati, tanto da dimezzare la presenza dei fedeli in Iraq. Non esistono cifre esatte, ma alla nunziatura di Baghdad ritengono che in tutto i cattolici siano 200mila – 300mila rispetto al milione precedente il 2003. La maggioranza dei cristiani che non è fuggita all’estero, si è trasferita in Kurdistan. Molti cristiani cercano, invece, di raggiungere Stati Uniti ed Europa. In tutto il Vecchio Continente solo i caldei sono oltre 100mila.
La responsabilità di questa situazione - per p. Warda - è anche degli stessi cristiani, che continuano a “mendicare il diritto a sopravvivere nel loro stesso Paese”. “Politici e leader religiosi cristiani – continua – hanno dovuto mettere in secondo piano la rivendicazione dei nostri diritti attendendo la normalizzazione del Paese, ma ora non è più possibile aspettare perché ci hanno tagliati fuori, senza un’adeguata rappresentanza negli organi di governo”. “Uniamo le nostre voci – conclude - per ricordare che anche i cristiani sono iracheni e hanno il desiderio e il diritto di contribuire al futuro del loro Paese”.
“Approfittano di noi – dice il rettore – perché non godiamo dell’appoggio di nessuna forza esterna, né possediamo una nostra milizia, sanno che l’unica cosa che possiamo fare è lanciare appelli e denunce, così la politica va avanti ormai convinta che la nostra comunità è destinata ad estinguersi entro pochi anni”.
In effetti, in seguito alle violenze di questi anni, molti cristiani iracheni sono emigrati, tanto da dimezzare la presenza dei fedeli in Iraq. Non esistono cifre esatte, ma alla nunziatura di Baghdad ritengono che in tutto i cattolici siano 200mila – 300mila rispetto al milione precedente il 2003. La maggioranza dei cristiani che non è fuggita all’estero, si è trasferita in Kurdistan. Molti cristiani cercano, invece, di raggiungere Stati Uniti ed Europa. In tutto il Vecchio Continente solo i caldei sono oltre 100mila.
La responsabilità di questa situazione - per p. Warda - è anche degli stessi cristiani, che continuano a “mendicare il diritto a sopravvivere nel loro stesso Paese”. “Politici e leader religiosi cristiani – continua – hanno dovuto mettere in secondo piano la rivendicazione dei nostri diritti attendendo la normalizzazione del Paese, ma ora non è più possibile aspettare perché ci hanno tagliati fuori, senza un’adeguata rappresentanza negli organi di governo”. “Uniamo le nostre voci – conclude - per ricordare che anche i cristiani sono iracheni e hanno il desiderio e il diritto di contribuire al futuro del loro Paese”.