"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

15 gennaio 2007

Vita a Baghdad. Ma... è vita? Scambio di casa, ma non è una vacanza

Fonte: Institute for War & Peace Reporting

Nel mondo in cui programmare le vacanze è una delle preoccupazioni della vita scambiarsi la casa è un modo alternativo per conoscere altri paesi.
In Iraq, e soprattutto a Baghdad è un modo per sopravvivere.
Sempre più divisa tra una parte occidentale sunnita ed una orientale sciita, la città è scenario di traslochi forzati di famiglie di una corrente religiosa che scambiano la propria casa con quelle dell'altra per sopravvivere alle campagne di "pulizia religiosa" compiute dalle avverse milizie. In tutto questo, come al solito, i cristiani sono quelli che ci perdono di più. Fuggono all'estero o verso il nord, ma le loro case non sono merce di scambio, e quando le lasciano possono solo sperare che i vicini, sunniti o sciiti che siano, che hanno promesso di salvaguardarle per loro, vogliano o possano continuare a farlo.

Clicca su "leggi tutto" per leggere la traduzione del reportage di Zaineb Naji da Baghdad e vai al sito di ZindaMagazine (A Matter of Life or Death) per la cartina sulla situazione della divisione di Baghdad su base religiosa.

Click on the title of the post for the original article by IWPR

Scambiarsi casa a Baghdad

Con l’aumentare del numero di sunniti e sciiti costretti a sfuggire alle violenze sta emergendo un mercato legato allo scambio delle case, un mercato con tanto di agenzie e contratti a breve termine.

By Zaineb Naji in Baghdad (ICR No. 208, 12 gennaio 2007)

Sundus abdul-Fatah non sa ancora se lasciare la casa a Baquba dove lei ed il marito avevano cresciuto sette figli sia stata una buona decisione.
Residente nel quartiere a maggioranza sunnita di Yarmouk, nella cittadina a 65 km a nord-est di Baghdad, la trentenne Abdul-Fatah è fuggita nella capitale dopo l’uccisione del marito e le minacce ai suoi figli da parte degli insorti sunniti. Con solo il tempo di raccogliere qualcosa, la donna si è dapprima trasferita a casa della sorella, in attesa di trovare un posto per vivere – un problema che molti iracheni costretti a lasciare le proprie case a causa del crescente conflitto settario stanno affrontando.
“E dura lasciare la casa che hai costruito e dove hai sempre vissuto, lasciare tutti i bei ricordi. Ma la morte fa paura” dice piangendo. “Ho dovuto lasciare tutto, ma l’immagine di mio marito ucciso di fronte casa mi ha spinto a fuggire con i bambini. Avevo paura che avrebbero fatto la sua stessa fine.”
Migliaia di famiglie sono state costrette a fuggire, chi a causa degli insorti sunniti, chi di quelli sciiti. Abdul-Khaliq Zangane, vice parlamentare e membro del comitato parlamentare che si occupa degli sfollati, afferma che nel novembre del 2006 circa 100.000 famiglie sono state costrette ad abbandonare le loro case.
Il risultato è stato l’emergere di un nuovo fenomeno: quello dello scambio di case tra famiglie sunnite e sciiite, facilitato da agenzie immobiliari che forniscono le liste delle case disponibili.
Quando Abdul-Fatah seppe della possibilità di scambiare la sua casa iniziò immediatamente a cercare una famiglia sunnita fuggita dalla capitale che desiderasse alloggiare a Baquba. Dopo molte ricerche trovò un agente immobiliare nel quartiere sud orientale di Mashtal, a Baghdad, in possesso di una lista di famiglie sunnite che stavano cercando di scambiare le proprie case.
Fu così che Abdul-Fatah si accordò con una famiglia che aveva lasciato il quartiere dopo essere stata minacciata da militanti sciiti. Secondo l’accordo le due famiglie accettarono di scambiarsi le case fino al miglioramento della situazione, ma di portare con sé i propri mobili.
Ora che vive in un quartiere sciita dove i bambini possono andare a scuola Abdul-Fatah si sente sicura: “La vita non è facile a Baghdad perché all’inizio tutto era nuovo per noi, specialmente vivere in una casa che non era la nostra, ma poi ho cominciato a sentirmi più sicura perché i miei vicini sono della mia stessa setta ed alcuni sono sfollati proprio come noi.”
“Lo scambio casa funziona bene” afferma l’agente immobiliare che ha curato il contratto, “fino ad ora abbiamo trovato casa a più di un centinaio di famiglie a Baghdad e nei sobborghi, e tutte le parti sono soddisfatte.”
L’uomo, che rifiuta di dire il suo nome, rifiuta anche, adducendo motivi di sicurezza, di dire come fa a procurarsi la lista delle famiglie sfollate, ma piuttosto spiega come le famiglie si fidino perché un contratto scritto garantisce i diritti di ambo le parti.
Altre famiglie, però, dubitando di tali contratti o degli intermediari, cercano di trovare la famiglia con la quale scambiare la casa spargendo la voce tra parenti ed amici.
A Sabihe Mohammed, una pensionata cinquantacinquenne del quartiere di Shaab, i militanti sciiti ingiunsero di lasciare la casa, e visto che la famiglia di sua nuora era da poco stata uccisa proprio dai militanti non le rimase altro che obbedire.
”Non so chi ha detto ai miliziani dove abitavamo ma so che l’Esercito del Mahdi gira per i vicoli del quartiere alla ricerca delle famiglie sunnite” dice la donna che ora vive per brevi periodi a casa di parenti o amici e porta con sé solo la carta d’identità ed altri documenti ufficiali. Dopo un mese dall’abbandono della casa, attraverso i parenti con i quali viveva, le fu presentata una famiglia sciita che aveva dovuto lasciare il quartiere di al-Jamiaa.
L’accordo fu di trasferirsi nella casa dell’altra famiglia per sei mesi, ma di lasciare i propri mobili visto che molte persone erano state attaccate dai militanti proprio durante il trasloco.
Il giorno successivo al suo trasferimento nella sua nuova casa, però, Sabihe Mohammed rimase di sasso quando i miliziani le chiesero chi le aveva dato il permesso di viverci, e che cosa ne era stato della famiglia sciita. Le chiesero i documenti di identità e le dissero di farsi dare il permesso dalla moschea vicina per vivere in quella casa, anche se poi la lasciarono in pace. “Sembrava che nessuno volesse darmi una casa a Baghdad, persino nel quartiere sunnita.” Ogni giorno nel quartiere ci sono scontri e costantemente si ode vicino il suono dei colpi di mortaio, ma Sabihe Mohammed raramente parla con i vicini: “Mi sembra di avere sbagliato a prendere questa casa, ma cosa potevo fare? Non avevo altra scelta, e l’inverno ed il freddo si avvicinavano.”
Sfollate sono anche le famiglie curde e cristiane. Secondo Zangane, il parlamentare che si occupa della questione degli sfollati, esse sono state costrette a lasciare i quartieri di Dora, Shule, Amin e Sadr City. Molte di esse, dice, vanno a vivere con parenti ed amici nelle più stabili province del nord di Kirkuk, Erbil e Duhok.
Mano mano che emerge una sorta di organizzazione che aiuta le persone a ricollocarsi, molti iracheni avanzano il sospetto che ad essere coinvolti nel processo siano i partiti politici.
Molte famiglie di sfollati sciiti, ad esmpio, hanno dichiarato all’IWPR di essersi recate negli uffici del movimento di Muqtada Al Sadr perché in alcuni quartieri le case abbandonate dai sunniti sono state assegnate dall’esercito del Mahdi a sciiti senza abitazione. Allo stesso modo, nel quartiere a maggioranza sunnita di al-Jamiaa, nella parte occidentale di Baghdad, gli insorti sunniti hanno offerto ai parenti sfollati dei residenti le case abbandonate dagli sciiti o, in altri casi, esse sono state assegnate a sunniti senza casa che vivevano nelle moschee.
La consigliera ministeriale Maryam al-Rayis, insiste nel dire che lo scambio delle case non fa parte di una politica ufficiale: “Le parti politiche sunnite e sciite possono giocare un ruolo nell’ambito del fenomeno del ricollocamento delle famiglie sfollate, ma non un ruolo importante.”
Il comitato parlamentare di cui è membro Zangane aiuta gli sfollati fornendo tende per i campi in cui vivono, trovando loro casa e dando assistenza, in collaborazione con organizzazioni non governative locali ed internazionali, ma proprio Zangane riconosce che gli aiuti forniti sono ben al di sotto di quelli necessari. “E’ il risultato della situazione di insicurezza e della corruzione amministrativa. Per aiutare gli sfollati sono stati stanziati 6 milioni di dollari, ma ne occorrerebbero 20. Per le moltissime famiglie sfollate è una catastrofe, come uno tsunami.”
Zaineb Naji collabora con l’IWPR da Baghdad.

Tradotto ed adattato da Baghdadhope