Vescovo di Kirkuk: l’Iraq si avvia verso la divisione.
Mons. Louis Sako esprime le sue preoccupazioni per la crescente frattura fra sciiti, sunniti e curdi. Un Iraq diviso sarà senza pace e rischia di relegare i cristiani in un ghetto.
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Kirkuk (AsiaNews)
L’Iraq, senza ostacoli da parte degli Usa, scivola verso una terribile divisione. Gli scontri fra sunniti e sciiti, l’esecuzione di Saddam Hussein affrettano i passi verso lo sbriciolamento del Paese: è questo l’Iraq che mons. Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk, vede con timore delinearsi all’orizzonte: “I siti internet e i giornali – dice - pubblicano già le nuove mappe politiche”, col nord curdo, il sud sciita, il centro sunnita. Il problema più grave è per le realtà multietniche: Kirkuk e la Chiesa. Per mons. Sako, Kirkuk – ricchissima di depositi di gas naturale – è una bomba ad orologeria, “una fonte di pericolose tensioni”. Per i cristiani, invece, c’è il rischio di dover vivere in una regione-ghetto, mentre la cosa migliore sarebbe garantire uguale libertà di religione in tutte le aree del Paese.
Mons. Sako, quale Iraq vede delinearsi in questo inizio anno?
L’Iraq va verso la divisione; gli scontri attuali lo provano e gli americani non lo ostacolano: il nord è curdo (Kurdistan), il sud sciita (Sciistan), e il centro occupato dai sunniti (Sunnistan). Sui siti internet e sui giornali sono già pubblicate le nuove mappe politiche! Questo avrà gravi conseguenze sui Paesi limitrofi, quali Turchia, Siria e Iran, dove i curdi chiedono maggiore autonomia o indipendenza, ma i governi sono contrari. La divisione dell’Iraq non è una soluzione e non porterà pace e stabilità.
Che conseguenze ha sul Paese l’impiccagione di Saddam e dei suoi gerarchi?
La frattura fra sunniti e sciiti è diventata più grave per la forma tragica e irrispettosa dell’esecuzione dell’ex-presidente Saddam Hussein. Per i sunniti, la causa della loro emarginazione e il colpevole di quanto sta accadendo in Iraq è l’Iran sciita. Gli sciiti hanno preso il potere, ma il governo attuale non è riuscito a realizzare l’auspicata riconciliazione, né assicurare la pace.
Nel 2007 è in programma il referendum su Kirkuk, che potrebbe essere inglobata nel Kurdistan o nella provincia sunnita. Alcuni osservatori pensano che questo problema sia una bomba ad orologeria…
Attorno a Kirkuk gravitano enormi interessi e pericolose tensioni. La città non è religiosamente omogenea, né etnicamente uniforme. Gli abitanti sono musulmani, cristiani, kakai, sono curdi, arabi, turkmeni, caldei, assiri e armeni. Sarà una realtà amministrativa e politica a sé? Assimilata al Kurdistan, oppure alla provincia centrale sunnita? Tutti aspettano il referendum, che non sarà facile.
Il 13 gennaio scorso i ribelli hanno ucciso a colpi d'arma da fuoco due imprenditori e fatto saltare in aria una moschea sciita in costruzione, nel quartiere Nida, parte est. Ci sono tanti ladri o persone che chiedono soldi, ma senza rapire. Cinque famiglie cristiane hanno pagato un riscatto, altre pensano di emigrare ancora più a nord o in Siria. Le cose vanno peggiorando e la popolazione vive nella paura e nell' incertezza, senza sapere dove sarà la loro casa!
Quale posto troveranno i cristiani nel futuro Iraq?
I cristiani vivono con crescenti difficoltà. Da tempo si pensa a raccoglierli in una zona specifica: la Piana di Ninive. Essi avrebbero così un nuovo territorio, ma l’idea di una zona protetta, quel Safe Haven guardato con simpatia dai curdi e anche dagli americani, richiede come presupposto la fine delle violenze e rimane, comunque, un progetto rischioso. La Piana di Ninive è circondata per gran parte dagli arabi: i cristiani sarebbero così un cuscinetto comodo e indifeso fra arabi e curdi. A mio avviso sarebbe molto meglio lavorare sul piano costituzionale e dei singoli stati per garantire libertà religiosa e pari diritti per i credenti di tutte le fedi sull’insieme del territori, anche per i cristiani, presenti ovunque in Iraq.