By Huffington Post
Domenico Chirico*
Domenico Chirico*
Qaraqosh è la principale città cristiana del nord Iraq. Aveva più di 50.000 abitanti prima dell'invasione di Daesh (Stato Islamico) del 2014. Gli abitanti di Qaraqosh sono per lo più siriaci, ma c'erano anche caldei e armeni. Era un simbolo di resistenza, dopo che a seguito dell'invasione del 2003 i cristiani iracheni si erano ridotti da più di 1 milione a 400.000 in tutto il paese. Scomparendo da intere aree.
Ma
non dalla Piana di Ninive e dalla Provincia di Mosul dove, assieme a
molte comunità di ezidi e di altre minoranze, erano rimasti, convinti
che la presenza cristiana in questa terra sia necessaria per mantenere
l'immenso mosaico di civiltà del Medio Oriente. A Qaraqosh Un ponte
per... lavorava prima della guerra e stava ristrutturando due scuole con
il sostegno della Cooperazione Italiana.
Poi l'invasione costrinse tutti alla fuga. In molti si rifugiarono ad Erbil e lì li abbiamo accolti, nei campi e nelle case private. Nel campo di Ashti abbiamo costruito per loro una scuola che continua ad accogliere più di 600 studenti ogni giorno. Qaraqosh ora è stata liberata, ma in pochissimi stanno tornando. Daesh ha bruciato e saccheggiato molte case, ha minato gli edifici pubblici e ha lasciato in giro molte trappole esplosive.
Poi l'invasione costrinse tutti alla fuga. In molti si rifugiarono ad Erbil e lì li abbiamo accolti, nei campi e nelle case private. Nel campo di Ashti abbiamo costruito per loro una scuola che continua ad accogliere più di 600 studenti ogni giorno. Qaraqosh ora è stata liberata, ma in pochissimi stanno tornando. Daesh ha bruciato e saccheggiato molte case, ha minato gli edifici pubblici e ha lasciato in giro molte trappole esplosive.
E giorno dopo giorno, grazie anche al sostegno della nostra Campagna
di raccolta fondi di Natale, stanno ridando colore a questa città.
Dovunque sia possibile restituiscono vita e dignità alle mura della loro
città e cercano di renderla accogliente per il futuro. Allo stesso modo
con il sostegno della rete cristiana francese del Ccfd a breve
cominceremo a ricostruire una delle due scuole su cui dovevamo lavorare
nel 2014.
Una è stata completamente distrutta con un'autobomba e saranno
necessari cospicui finanziamenti. L'altra invece può essere
ristrutturata subito con minori fondi. È un primo passo. Bisogna
riabilitare i luoghi di aggregazione e di vita per far si che la gente
torni e pensi che ci sia un futuro. A breve cercheremo di impegnarci con
la chiesa locale anche per la ricostituzione della radio comunitaria,
Radio Pace, e per un centro giovanile collegato.
E sarà
importante lavorare nelle scuole non per la sola ricostruzione fisica,
ma anche per offrire servizi di assistenza psico-sociale a minori che
rientrano, dopo tre anni di vita da sfollati ed una fuga dalle
persecuzioni. Per tutto questo stiamo cercando continuamente sostegno. E
così sarà necessario che ogni altra chiesa e organizzazione si impegni
per far si che gli sfollati cristiani di Qaraqosh possano rientrare.
In
molti purtroppo sono già all'estero e si stima che dei 50.000 del 2014
forse solo un 30 o 40% rientreranno. Molti sperano ci sia una sicurezza
che ad oggi nessuno può ancora garantire. I più si domandano che futuro
avranno i loro figli crescendo in una enclave difesa manu militari da
una milizia armata. L'unica certezza è che se non si rientra a breve
nelle aree liberate da Daesh c'è il rischio che diventino città
fantasma.
La Cattedrale di Qaraqosh era il simbolo di questa
comunità. È stata bruciata all'interno e il chiostro è stato usato come
poligono di tiro dai miliziani di Daesh. A Natale hanno rimesso su
l'altare per fare una piccola cerimonia. Alcuni vorrebbero lasciarla
così a futura memoria, ma la maggior parte pensa che, come i muri della
città, gli vada ridata nuova vita e nuova luce.
Noi saremo con
loro, come sempre negli ultimi 26 anni di presenza in Iraq. Soprattutto
saremo vicini a tutti coloro che pensano che si possa convivere
pacificamente, preservare la propria cultura e dialogare. Queste sono le
sfide dei prossimi anni. Le minoranze irachene lo sanno e vivono questa
sfida sulla loro pelle.
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