"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

27 novembre 2015

Erbil, una tenda per Porta Santa per i cristiani sfuggiti all’Isis

By SIR
Daniele Rocchi

Una tenda aperta come Porta Santa da varcare pregando per le proprie vite, per quelle dei propri cari e per l’Iraq. La comunità cattolica irachena si appresta a vivere il Giubileo della Misericordia da sfollata all’interno del proprio Paese. Persa Mosul, dove i terroristi dello Stato islamico (Isis) hanno cancellato una presenza più che millenaria, quasi disabitata la Piana di Ninive, dopo che l’estate scorsa 120mila cristiani furono costretti alla fuga dall’avanzata dell’Isis, la minoranza cristiana oggi conta meno di mezzo milione di fedeli, rispetto al milione e mezzo che era prima dell’invasione dell’Iraq, nel 2003, da parte degli americani e dei loro alleati. La maggior parte ora si trova nelle zone curde ritenute più sicure, a Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, in particolare nel sobborgo cristiano di Ankawa. Qui sono al sicuro ma non hanno prospettive di sorta.

Nel ricordo dei martiri.

“La gente vorrebbe tornare nelle proprie città e villaggi ma ciò è semplicemente impossibile”, testimonia il patriarca caldeo di Baghdad, Louis Sako che nella lettera pastorale intitolata “La Misericordia è il cammino del cristiano” esorta i fedeli a vivere il Giubileo nella memoria dei martiri come l’arcivescovo di Mosul, Paolo Faraj Rahho, i padri Raghid Ganni, Wassim e Thair e tanti fedeli che hanno perso la vita per la  loro fede. “Per noi cristiani dell’Iraq il martirio è il carisma della nostra Chiesa – spiega il Patriarca – in quanto minoranza siamo di fronte a difficoltà e sacrifici, ma siamo coscienti di essere testimoni di Cristo e ciò può significare arrivare al martirio”. Per Cristo, secondo Mar Sako, “bisogna andare sempre oltre, fino al sacrificio come hanno fatto i cristiani di Mosul e dei villaggi della piana di Ninive un anno fa. Sono per noi un onore e un segno di generosità. Per questo la porta della Misericordia deve essere sempre aperta!”.

Vivere concretamente la misericordia.

A Baghdad la Porta Santa sarà aperta dal patriarca Sako il 19 dicembre nella prima cattedrale del Paese, intitolata alla “Madonna Addolorata”, da poco restaurata e dove sono sepolti i patriarchi della chiesa irachena. Tanti gli eventi che la chiesa caldea ha proposto ai propri fedeli per prepararsi a vivere spiritualmente il Giubileo. Tra le iniziative future, invece, “la più importante – dice monsignor Basilio Yaldo, vescovo ausiliare del Patriarcato – sarà un pellegrinaggio a Ur dei caldei, la patria di Abramo. Chiederemo misericordia per i nostri rifugiati, non solo cristiani ma anche musulmani. Offriremo penitenze per chiedere il dono della pace per tutti e faremo gesti concreti. Per esempio a Natale daremo alle nostre famiglie più bisognose una piccola somma di denaro come gesto di vicinanza. Nelle chiese del Paese verranno aperte le Porte della Misericordia, per tutti, cristiani e musulmani”.  “Ho chiesto a tutti di vivere la misericordia per avere pace – sottolinea con forza il patriarca caldeo Sakosiamo per servire tutti, cristiani e musulmani, anche questa è la nostra missione che è un impegno assoluto”.
Vivere la misericordia oggi in Iraq significa “essere più attenti ai nostri fratelli e sorelle sofferenti, sfollati, emigrati, ai poveri, agli orfani e alle vedove, accompagnarli con tutto ciò che abbiamo come forza e denaro e dare loro segni di speranza. Dobbiamo mostrare amicizia, solidarietà e sostegno ai nostri fratelli musulmani, collaborare con loro per una vita in pace e in armonia. La nostra sofferenza comune diventa allora una forza affinché passi la tempesta”.

Aggrappati alla fede.

Ne sanno qualcosa le decine di migliaia di sfollati cristiani che vivono a Erbil. L’arcivescovo caldeo Bashar Matti Warda, aprirà la porta santa nella cattedrale di san Giuseppe, nel sobborgo cristiano di Ankawa, il 13 dicembre. “In questi mesi – racconta – abbiamo intrapreso un cammino di preparazione con tanti nostri fedeli rifugiati. Ogni settimana quattro ore di formazione. Essi hanno bisogno di supporto spirituale e materiale, hanno bisogno di pregare, di raccontare le loro storie, di rielaborare ciò che è accaduto per prendere coscienza della situazione in cui oggi si trovano. Hanno bisogno di tutto perché non hanno più nulla. Sono aggrappati alla fede in Cristo. Questa li sostiene e dà loro forza per andare avanti, nonostante tutto”.
 A rappresentare questa nuova condizione di vita è una tenda, l’unico riparo che hanno avuto dopo essere fuggiti.
Anche se oggi in tanti vivono in piccoli appartamenti e caravan, doni delle Chiese del mondo e del Governo curdo. Per questo, rivela monsignor Warda, “vorremmo ci fosse anche una tenda a rappresentare la Porta Santa della Misericordia”. Un desiderio che l’arcivescovo sta cercando di realizzare insieme a padre Douglas Al Bazi, sacerdote caldeo della diocesi, che in passato fu rapito e torturato da terroristi islamici. “Abbiamo una vocazione – ribadisce mons. Warda – testimoniare la gioia del Vangelo anche se viviamo in un Paese dilaniato dall’odio e dalla guerra. L’Anno Santo sarà un tempo di benedizioni”.