By Tempi
Leone Grotti
È stato per quattro anni vescovo di Mosul, dal 2010 al 2014. Poi è arrivato l’Isis. Cacciato dalla sua terra come tutti gli altri cristiani iracheni, ha vissuto da profugo in Kurdistan, a Erbil, fino a quando non è stato inviato a maggio a Sydney a dirigere l’eparchia cattolica caldea in Australia. Così, dopo aver conosciuto (fin dalla nascita) la società islamica, ora monsignor Amel Nona, 48 anni, ha avuto un assaggio della vita in una società occidentalizzata. Ecco perché è l’interlocutore perfetto per parlare della strage di Parigi, che ha messo in luce la crisi tanto dell’islam quanto dell’Occidente.
Nona, si aspettava un attacco a Parigi di queste proporzioni?
Certo che me lo aspettavo e l’ho anche predetto. Due settimane dopo essere stato cacciato da Mosul ho dichiarato in un’intervista: se l’Occidente non reagisce, subirà una sorte peggiore della nostra. Non poteva accadere altrimenti.
Perché?
All’inizio lo Stato islamico era composto da 1.000-2.000 uomini e poteva fare ben poco. Ma 30-40 paesi dell’Occidente, in modo per me inspiegabile, hanno permesso che conquistassero metà Siria e metà Iraq senza fare nulla.
Ci sono stati i bombardamenti.
Appunto, bombardare è come non fare niente. Lo Stato islamico è furbo, è abituato a vivere combattendo. La cosa incredibile è che neanche dopo l’attacco di Parigi agite: gli avete lasciato campo libero prima e ora continuate ad accettare che i paesi della Regione li finanzino e armino perché ci sono tanti interessi economici. Ci sono domande che non trovano risposta.
Quali domande?
Dov’erano i governi dell’Occidente quando migliaia di giovani entravano in Siria per combattere? Volete farci credere che le cose che in Iraq tutti vedevamo, in Occidente i governanti non le conoscevano? Non avete fatto niente, ma ora pagate tutto.
Lei è nato in Iraq e conosce l’islam da sempre. Come mai la religione di Maometto presta sempre il fianco a movimenti fondamentalisti?
Perché nel Corano ci sono versetti che istigano alla violenza: spiegano che tutti i non musulmani sono infedeli e bisogna ucciderli o convertirli all’islam. Il problema sta in quei versetti che dicono chiaramente queste cose. Definire un uomo “infedele” nella lingua araba è molto pericoloso. L’infedele infatti è considerato così inferiore che un musulmano può fare di lui ciò che vuole: ucciderlo, prendere sua moglie, confiscargli figli e proprietà.
Quindi non c’è speranza di vedere un cambiamento?
Bisognerebbe spiegare meglio questi versetti, darne una interpretazione moderna. Nel VII secolo, magari, servivano per una situazione particolare ma oggi non si può prenderli alla lettera. Il problema è questo.
L’idea di interpretare il Corano non va molto di moda nell’islam.
No, perché i musulmani vedono il Corano come una cosa eterna. Per loro non è una cosa scritta in un tempo preciso ma un testo eterno, che si trova da sempre con Dio in cielo, e che a un certo punto della storia è stato inviato a Maometto. Quindi i versetti non si possono spiegare o interpretare o passare al vaglio della ragione.
Un imam francese ha detto che l’islam di oggi sta vivendo una «crisi della ragione».
È vero ma non solo l’islam di oggi. Sono tanti gli intellettuali musulmani che lungo la storia di questa religione hanno cercato di interpretare alla luce della ragione il Corano. E tutti sono stati o perseguitati o uccisi.
I musulmani a Sydney sono diversi da quelli che ha conosciuto in Iraq?
Sì. I musulmani che stanno qui, come quelli che si trovano in America o Europa, sono molto più fondamentalisti. Quando arrivano nel mondo occidentale, infatti, si radicalizzano perché sentono che tutto il mondo e la modernità è contro la loro mentalità, contro l’islam. Perciò sono più aggressivi, più irascibili. Il problema non è pensare che la propria religione sia l’unica vera, ma volerla imporre con la violenza.
Dev’essere stato difficile passare da una società islamica a una occidentalizzata.
È tutto diverso. Qui c’è libertà di agire, pensare, parlare e tutte queste cose non esistono nella società islamica. Non dico nei paesi islamici, perché magari in alcune dittature laiche si vive più o meno bene e alcune libertà ci sono. Ma in sé la società musulmana veicola una mentalità unica e se una persona va contro quello che dice l’islam è considerato sbagliato. Anche qui però non è tutto rosa e fiori.
A che cosa si riferisce?
La società occidentale è in crisi ed è una crisi di valori. Voi state perdendo i valori fondamentali della vita e questo vi rende deboli, impauriti, assolutamente incapaci di affrontare una crisi grave come quella di oggi. I terroristi sono una minoranza, i musulmani nei vostri paesi anche, eppure vi stanno facendo paura.
Qual è la causa secondo lei?
State ripudiando i valori che hanno costruito la vostra società, i valori cristiani. Avete puntato tutto sulla libertà, che è e resta importante, ma senza la verità rimanete indifesi davanti a quello che sta succedendo. Non si possono ripudiare duemila anni di storia, preservando solamente la libertà, perché poi la conseguenza è che otto terroristi fanno un attentato e milioni di persone sono impaurite e non riescono a reagire.
Voi cristiani in Iraq siete sempre stati una minoranza. Avevate paura?
A Mosul c’erano 400 famiglie cristiane e tre milioni di musulmani. Tutta la società era contro di noi, aggressiva, piena di terroristi, piena di persone che volevano ucciderci. Ma noi eravamo felici perché avevamo la fede, che mostravamo con coraggio e gioia, e loro non potevano farci niente. Sì, ogni tanto uccidevano due o tre cristiani, ma ci rispettavano perché sentivano che eravamo forti, anche se pochi.
Cosa vi rendeva forti?
Noi sapevamo che con la fede si può andare incontro a tutto ed è quello che facevamo, con gioia affrontavamo ogni crisi. E i terroristi temevano e temono la nostra fede. I cristiani iracheni, con coraggio, hanno preferito perdere tutto, case, proprietà, terre, chiese, solo per un motivo: per non perdere la fede. E questo ai terroristi ha fatto male.
Se dovesse dire una cosa che manca alla società occidentale?
Direi che qui non c’è gioia, non c’è felicità. C’è la libertà ma non c’è nient’altro. Vi siete concentrati solo sulla libertà e avete perso tutto il resto. Anche la Chiesa, devo dire, dovrebbe essere più felice.
Lei ora vive in questa società. In Australia ci sono 50 mila cristiani caldei. Qual è il compito di un cristiano?
Mostrare che noi siamo felici nella nostra vita, dobbiamo essere più attivi nella nostra missione all’interno della società. Non bisogna solo cambiare mentalità, ma anche le leggi sbagliate. Penso che si possa fare molto.
Leone Grotti
È stato per quattro anni vescovo di Mosul, dal 2010 al 2014. Poi è arrivato l’Isis. Cacciato dalla sua terra come tutti gli altri cristiani iracheni, ha vissuto da profugo in Kurdistan, a Erbil, fino a quando non è stato inviato a maggio a Sydney a dirigere l’eparchia cattolica caldea in Australia. Così, dopo aver conosciuto (fin dalla nascita) la società islamica, ora monsignor Amel Nona, 48 anni, ha avuto un assaggio della vita in una società occidentalizzata. Ecco perché è l’interlocutore perfetto per parlare della strage di Parigi, che ha messo in luce la crisi tanto dell’islam quanto dell’Occidente.
Nona, si aspettava un attacco a Parigi di queste proporzioni?
Certo che me lo aspettavo e l’ho anche predetto. Due settimane dopo essere stato cacciato da Mosul ho dichiarato in un’intervista: se l’Occidente non reagisce, subirà una sorte peggiore della nostra. Non poteva accadere altrimenti.
Perché?
All’inizio lo Stato islamico era composto da 1.000-2.000 uomini e poteva fare ben poco. Ma 30-40 paesi dell’Occidente, in modo per me inspiegabile, hanno permesso che conquistassero metà Siria e metà Iraq senza fare nulla.
Ci sono stati i bombardamenti.
Appunto, bombardare è come non fare niente. Lo Stato islamico è furbo, è abituato a vivere combattendo. La cosa incredibile è che neanche dopo l’attacco di Parigi agite: gli avete lasciato campo libero prima e ora continuate ad accettare che i paesi della Regione li finanzino e armino perché ci sono tanti interessi economici. Ci sono domande che non trovano risposta.
Quali domande?
Dov’erano i governi dell’Occidente quando migliaia di giovani entravano in Siria per combattere? Volete farci credere che le cose che in Iraq tutti vedevamo, in Occidente i governanti non le conoscevano? Non avete fatto niente, ma ora pagate tutto.
Lei è nato in Iraq e conosce l’islam da sempre. Come mai la religione di Maometto presta sempre il fianco a movimenti fondamentalisti?
Perché nel Corano ci sono versetti che istigano alla violenza: spiegano che tutti i non musulmani sono infedeli e bisogna ucciderli o convertirli all’islam. Il problema sta in quei versetti che dicono chiaramente queste cose. Definire un uomo “infedele” nella lingua araba è molto pericoloso. L’infedele infatti è considerato così inferiore che un musulmano può fare di lui ciò che vuole: ucciderlo, prendere sua moglie, confiscargli figli e proprietà.
Quindi non c’è speranza di vedere un cambiamento?
Bisognerebbe spiegare meglio questi versetti, darne una interpretazione moderna. Nel VII secolo, magari, servivano per una situazione particolare ma oggi non si può prenderli alla lettera. Il problema è questo.
L’idea di interpretare il Corano non va molto di moda nell’islam.
No, perché i musulmani vedono il Corano come una cosa eterna. Per loro non è una cosa scritta in un tempo preciso ma un testo eterno, che si trova da sempre con Dio in cielo, e che a un certo punto della storia è stato inviato a Maometto. Quindi i versetti non si possono spiegare o interpretare o passare al vaglio della ragione.
Un imam francese ha detto che l’islam di oggi sta vivendo una «crisi della ragione».
È vero ma non solo l’islam di oggi. Sono tanti gli intellettuali musulmani che lungo la storia di questa religione hanno cercato di interpretare alla luce della ragione il Corano. E tutti sono stati o perseguitati o uccisi.
I musulmani a Sydney sono diversi da quelli che ha conosciuto in Iraq?
Sì. I musulmani che stanno qui, come quelli che si trovano in America o Europa, sono molto più fondamentalisti. Quando arrivano nel mondo occidentale, infatti, si radicalizzano perché sentono che tutto il mondo e la modernità è contro la loro mentalità, contro l’islam. Perciò sono più aggressivi, più irascibili. Il problema non è pensare che la propria religione sia l’unica vera, ma volerla imporre con la violenza.
Dev’essere stato difficile passare da una società islamica a una occidentalizzata.
È tutto diverso. Qui c’è libertà di agire, pensare, parlare e tutte queste cose non esistono nella società islamica. Non dico nei paesi islamici, perché magari in alcune dittature laiche si vive più o meno bene e alcune libertà ci sono. Ma in sé la società musulmana veicola una mentalità unica e se una persona va contro quello che dice l’islam è considerato sbagliato. Anche qui però non è tutto rosa e fiori.
A che cosa si riferisce?
La società occidentale è in crisi ed è una crisi di valori. Voi state perdendo i valori fondamentali della vita e questo vi rende deboli, impauriti, assolutamente incapaci di affrontare una crisi grave come quella di oggi. I terroristi sono una minoranza, i musulmani nei vostri paesi anche, eppure vi stanno facendo paura.
Qual è la causa secondo lei?
State ripudiando i valori che hanno costruito la vostra società, i valori cristiani. Avete puntato tutto sulla libertà, che è e resta importante, ma senza la verità rimanete indifesi davanti a quello che sta succedendo. Non si possono ripudiare duemila anni di storia, preservando solamente la libertà, perché poi la conseguenza è che otto terroristi fanno un attentato e milioni di persone sono impaurite e non riescono a reagire.
Voi cristiani in Iraq siete sempre stati una minoranza. Avevate paura?
A Mosul c’erano 400 famiglie cristiane e tre milioni di musulmani. Tutta la società era contro di noi, aggressiva, piena di terroristi, piena di persone che volevano ucciderci. Ma noi eravamo felici perché avevamo la fede, che mostravamo con coraggio e gioia, e loro non potevano farci niente. Sì, ogni tanto uccidevano due o tre cristiani, ma ci rispettavano perché sentivano che eravamo forti, anche se pochi.
Cosa vi rendeva forti?
Noi sapevamo che con la fede si può andare incontro a tutto ed è quello che facevamo, con gioia affrontavamo ogni crisi. E i terroristi temevano e temono la nostra fede. I cristiani iracheni, con coraggio, hanno preferito perdere tutto, case, proprietà, terre, chiese, solo per un motivo: per non perdere la fede. E questo ai terroristi ha fatto male.
Se dovesse dire una cosa che manca alla società occidentale?
Direi che qui non c’è gioia, non c’è felicità. C’è la libertà ma non c’è nient’altro. Vi siete concentrati solo sulla libertà e avete perso tutto il resto. Anche la Chiesa, devo dire, dovrebbe essere più felice.
Lei ora vive in questa società. In Australia ci sono 50 mila cristiani caldei. Qual è il compito di un cristiano?
Mostrare che noi siamo felici nella nostra vita, dobbiamo essere più attivi nella nostra missione all’interno della società. Non bisogna solo cambiare mentalità, ma anche le leggi sbagliate. Penso che si possa fare molto.