By Sir
by Daniele Rocchi
Monsignor Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, è il nuovo patriarca
di Babilonia dei Caldei. Ad eleggerlo, il 1 febbraio, è stato il Sinodo
della Chiesa caldea, convocato a Roma, durante il quale i vescovi hanno
anche dibattuto sulla condizione e sui problemi vissuti dalle comunità
caldee nel territorio patriarcale e nella diaspora.
Nato 63 anni fa in un villaggio presso la città di Zakho, da giovane sacerdote ha completato i suoi studi teologici a Roma e Parigi. Incardinato nella diocesi di Mosul, è stato rettore del Seminario Maggiore di Baghdad insegnando contemporaneamente presso la facoltà teologica del Babel College. Il 14 novembre 2003 è stato ordinato arcivescovo di Kirkuk. Molto stimato da Benedetto XVI, che nel 2010 ha accolto la sua richiesta di un Sinodo per il Medio Oriente, sostituisce il card. Emmanuel III Delly, dimessosi per ragioni di età. Da arcivescovo, mons. Sako ha più volte denunciato l'esodo dei cristiani dal Paese, lanciato appelli in loro difesa alla Chiesa universale e alla comunità internazionale. Ha, inoltre, promosso incontri interreligiosi con le più alte cariche musulmane sciite e sunnite del Paese, consapevole che solo il dialogo e l’incontro possono contribuire alla riconciliazione e alla ricostruzione morale, oltre che materiale dell’Iraq. Una convinzione espressa anche nell’intervista concessa, subito dopo la sua elezione, a Daniele Rocchi per il Sir.
Come ha accolto questa elezione a patriarca?
“È un compito molto pesante quello mi accingo ad intraprendere, ma con l’aiuto del Signore, della Chiesa universale, dei miei confratelli vescovi e dei musulmani, sono certo di poterlo portare avanti. Lavorerò per la riconciliazione dei gruppi religiosi e di quelli politici, per il dialogo tra tutte le componenti della società irachena”.
In che modo?
“Credo che, innanzitutto, vada ricostruita la fiducia all’interno della società irachena, nei suoi strati sociali, politici, religiosi. Farò il possibile per cercare il bene del mio Paese. Il motto che ho scelto, ‘autenticità, unità, rinnovamento’, contiene le tre strade da percorrere per giungere a questo obiettivo. La situazione irachena è difficile ma non perdo la speranza di un cambiamento nel bene”.
La Chiesa caldea ha vissuto anni difficili anche a causa dell’esodo dei suoi fedeli, emigrati all’estero in cerca di condizioni di vita migliori e per sfuggire alle violenze settarie che li hanno visti vittime di violenze e abusi…
“L’esodo dei cristiani ci preoccupa non poco. Con i miei confratelli vescovi siamo seriamente impegnati nel cercare, anche con la preghiera, di creare un’atmosfera che spinga i cristiani, ma non solo loro, a restare e a impegnarsi per le sorti dell’Iraq. Confido nelle persone di buona volontà, cristiani e musulmani, affinché il Paese possa uscire dalla crisi attuale”.
Quanto è importante la collaborazione e la comunione tra le Chiese orientali per aiutare i cristiani mediorientali a restare nelle loro terre e a crescere nella fede?
“Tutti i capi religiosi cristiani devono lavorare insieme per avere una visione chiara della situazione mediorientale. Il dialogo è la chiave di volta per rinnovare le nostre terre, le nostre comunità. Ma credo che sia necessario dialogare anche con gli estremisti per far capire loro che la violenza non paga. Se vogliono far conoscere l’Islam devono eliminare tutto ciò che è violenza, rispettare la persona umana, i suoi diritti, ma soprattutto garantire la libertà, la cittadinanza, la democrazia. La formula ideale è rappresentata dalla laicità positiva che rispetta la religione e può esprimere uno sguardo più adeguato sulla persona”.
La primavera araba, con la deriva islamista assunta in diversi Paesi, tra cui l’Egitto, sta generando paura tra i cristiani. Si può parlare di fallimento?
“La primavera araba va costruita nel dialogo, nel rispetto e non applicando la Sharia. Non si può imporre la dittatura di una religione. Serve il dialogo per la convivenza. Cambiare un regime con uno più rigido non va bene. Primavera vuol dire uscire da un regime totalitario per andare verso uno democratico, aperto a tutti, indistintamente”.
Ora che è all’inizio, a chi affida la sua missione?
“Vorrei affidarmi anche al ricordo dei tanti martiri della Chiesa irachena, mons. Faraj P. Rahho, vescovo caldeo di Mosul, padre Ragheed Ganni e tanti altri. Il loro esempio ci invita a non avere paura a testimoniare l’amore fraterno di Dio, il perdono e la riconciliazione”.
Nato 63 anni fa in un villaggio presso la città di Zakho, da giovane sacerdote ha completato i suoi studi teologici a Roma e Parigi. Incardinato nella diocesi di Mosul, è stato rettore del Seminario Maggiore di Baghdad insegnando contemporaneamente presso la facoltà teologica del Babel College. Il 14 novembre 2003 è stato ordinato arcivescovo di Kirkuk. Molto stimato da Benedetto XVI, che nel 2010 ha accolto la sua richiesta di un Sinodo per il Medio Oriente, sostituisce il card. Emmanuel III Delly, dimessosi per ragioni di età. Da arcivescovo, mons. Sako ha più volte denunciato l'esodo dei cristiani dal Paese, lanciato appelli in loro difesa alla Chiesa universale e alla comunità internazionale. Ha, inoltre, promosso incontri interreligiosi con le più alte cariche musulmane sciite e sunnite del Paese, consapevole che solo il dialogo e l’incontro possono contribuire alla riconciliazione e alla ricostruzione morale, oltre che materiale dell’Iraq. Una convinzione espressa anche nell’intervista concessa, subito dopo la sua elezione, a Daniele Rocchi per il Sir.
Come ha accolto questa elezione a patriarca?
“È un compito molto pesante quello mi accingo ad intraprendere, ma con l’aiuto del Signore, della Chiesa universale, dei miei confratelli vescovi e dei musulmani, sono certo di poterlo portare avanti. Lavorerò per la riconciliazione dei gruppi religiosi e di quelli politici, per il dialogo tra tutte le componenti della società irachena”.
In che modo?
“Credo che, innanzitutto, vada ricostruita la fiducia all’interno della società irachena, nei suoi strati sociali, politici, religiosi. Farò il possibile per cercare il bene del mio Paese. Il motto che ho scelto, ‘autenticità, unità, rinnovamento’, contiene le tre strade da percorrere per giungere a questo obiettivo. La situazione irachena è difficile ma non perdo la speranza di un cambiamento nel bene”.
La Chiesa caldea ha vissuto anni difficili anche a causa dell’esodo dei suoi fedeli, emigrati all’estero in cerca di condizioni di vita migliori e per sfuggire alle violenze settarie che li hanno visti vittime di violenze e abusi…
“L’esodo dei cristiani ci preoccupa non poco. Con i miei confratelli vescovi siamo seriamente impegnati nel cercare, anche con la preghiera, di creare un’atmosfera che spinga i cristiani, ma non solo loro, a restare e a impegnarsi per le sorti dell’Iraq. Confido nelle persone di buona volontà, cristiani e musulmani, affinché il Paese possa uscire dalla crisi attuale”.
Quanto è importante la collaborazione e la comunione tra le Chiese orientali per aiutare i cristiani mediorientali a restare nelle loro terre e a crescere nella fede?
“Tutti i capi religiosi cristiani devono lavorare insieme per avere una visione chiara della situazione mediorientale. Il dialogo è la chiave di volta per rinnovare le nostre terre, le nostre comunità. Ma credo che sia necessario dialogare anche con gli estremisti per far capire loro che la violenza non paga. Se vogliono far conoscere l’Islam devono eliminare tutto ciò che è violenza, rispettare la persona umana, i suoi diritti, ma soprattutto garantire la libertà, la cittadinanza, la democrazia. La formula ideale è rappresentata dalla laicità positiva che rispetta la religione e può esprimere uno sguardo più adeguato sulla persona”.
La primavera araba, con la deriva islamista assunta in diversi Paesi, tra cui l’Egitto, sta generando paura tra i cristiani. Si può parlare di fallimento?
“La primavera araba va costruita nel dialogo, nel rispetto e non applicando la Sharia. Non si può imporre la dittatura di una religione. Serve il dialogo per la convivenza. Cambiare un regime con uno più rigido non va bene. Primavera vuol dire uscire da un regime totalitario per andare verso uno democratico, aperto a tutti, indistintamente”.
Ora che è all’inizio, a chi affida la sua missione?
“Vorrei affidarmi anche al ricordo dei tanti martiri della Chiesa irachena, mons. Faraj P. Rahho, vescovo caldeo di Mosul, padre Ragheed Ganni e tanti altri. Il loro esempio ci invita a non avere paura a testimoniare l’amore fraterno di Dio, il perdono e la riconciliazione”.