"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

5 febbraio 2013

Il patriarca che rinuncia al "Shash"

by Andrea Tornielli 
04/02/2013

Sako ha incontrato il Papa insieme ai membri del sinodo caldeo che lo hanno eletto. Vuole favorire l'introduzione delle lingue locali nella liturgia

«Nazionalismo e fondamentalismo da qualsiasi parte traggano origine sono ostacoli sulla via dello sviluppo e della pace».
Lo ha detto il patriarca della Chiesa caldea, Louis Raphaël I Sako, eletto lo scorso 31 gennaio dal sinodo dei vescovi caldei riuniti a Roma che oggi ha celebrato la divina liturgia nella basilica di San Pietro. Il cardinale Leonardo Sandri, che ha partecipato alla celebrazione su incarico del Papa, ha detto: «Imploriamo speciali grazie e benedizioni su di lei perché come il Buon Pastore possa asciugare le molte lacrime del popolo iracheno, e poi consolare, incoraggiare, correggere, sempre pacificare fratelli e figli ed accompagnarli nella testimonianza». Successivamente Sako, insieme agli altri vescovi, è stato ricevuto da Benedetto XVI.
Il nuovo patriarca è stato intervistato
da Baghdadhope

Dalle parole di Sako emerge bene l'identikit di un pastore aperto, che vuole rilanciare il dialogo. Spiegando il suo motto patriarcale che contiene le parole autenticità, unità e rinnovamento, il pastore della Chiesa caldea ha detto: «La prima parola del motto è autenticità e con essa intendo la necessità di essere veri e sinceri nei confronti di se stessi e degli altri, essere chiari e parlare senza timori. Essere liberi di esprimere la propria opinione anche se contraria a quella del nostro interlocutore usando però la delicatezza ed il tatto necessari affinché la critica diventi costruttiva».
«Per quanto riguarda l'unità - ha aggiunto - anch'essa deve essere perseguita a livello personale, ecclesiastico, ecumenico ed interreligioso e per farlo - non mi stancherò mai di ribadirlo - è necessario il dialogo che è l'unica via da opporre alla violenza e perché solo in esso c'è per noi futuro. Per quanto riguarda il rinnovamento sarà necessario molto impegno. Bisognerà porre attenzione alla formazione sì quantitativa, ma soprattutto qualitativa, del clero insistendo sul suo compito di "ispiratore e portatore" di dialogo, interno alla chiesa ed all'esterno di essa. Bisognerà dare maggiore attenzione alla figura del laico nella chiesa, laico che è partner e deve diventare sempre più parte integrante dei consigli pastorali e diocesani. Perché questo partenariato funzioni devono cadere le barriere tra clero e laici eliminando ogni traccia di clericalismo legato a tradizioni rispettabili ma antiche. Si deve, insomma, smettere di vivere nel passato. Il messaggio della Chiesa deve essere incarnato nei tempi presenti e nell'uomo di oggi».
Significative anche le parole del patriarca sulla liturgia: « Come diceva San Giovanni Crisostomo: "La liturgia è per l'uomo" e non l'uomo per la liturgia. Noi siamo orientali e come tali abbiamo una linea pastorale e spirituale di natura orientale che però deve adeguarsi ai tempi moderni con un linguaggio più diretto che non dimentichi le nostre tradizioni di "Chiesa dei martiri" ma che parli al fedele anche di grazia e di gioia, di salvezza e speranza».
Rispondendo a una domanda sull'introduzione della lingua araba nella liturgia, Sako ha detto: «Noi tutti siamo legati e rispettiamo le tradizioni e la nostra storia proponendone in alcuni casi addirittura il recupero... Rispetto delle tradizioni, dunque, ma allo stesso tempo necessità di essere vicini alla gente non solo usando un linguaggio semplice in grado di essere compreso quanto anche nell'uso della lingua del luogo che può essere l'arabo ma anche il curdo o il persiano. La Buona Novella deve rinnovarsi».
Infine il nuovo patriarca ha risposto a una domanda sulle «spinte nazionalistiche» che soprattutto negli ultimi dieci anni hanno lacerato la chiesa caldea, con riferimento  al diffondersi dell'atteggiamento che vuole i caldei diversi dai fedeli delle altre chiese in Iraq non solo dal punto di vista religioso ma anche da quello etnico.
«E' un argomento - ha detto Sako - che dovrebbe essere studiato approfonditamente su basi storiche, scientifiche e linguistiche ed in ciò la Chiesa ed i laici possono dare un gran contributo. La nostra chiesa è allo stesso tempo locale ed universale e termini come 'caldeo' o 'assiro' sono retaggi del colonialismo che mirava a dividere una comunità con origini comuni... Nazionalismo e fondamentalismo da qualsiasi parte traggano origine sono ostacoli sulla via dello sviluppo e della pace».
Sako, dopo aver preannunciato una riorganizzazione delle diocesi caldee e la possibilità di crearne una in Europa, ha anche detto che non intende indossare lo "Shash", il tipico copricapo un tempo portato dal clero caldeo, che consiste una sorta di turbante: «Mi sembra una tradizione antica e legata al folklore locale. Voglio essere semplice e diretto, non alzare barriere nei confronti di nessuno ed anche un certo modo di vestire in un certo senso è una barriera. Niente Shash, magari qualcosa di più semplice».