"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

14 agosto 2010

I richiedenti asilo in Svezia lottano per sopravvivere

By BBC Radio4

by Tim Mansel


Tradotto ed adattato da Baghdadhope


Sebbene la Svezia abbia fatto da apripista nell'accogliere i rifugiati iracheni ora le autorità stanno frenando ed i richiedenti asilo sempre più spesso devono affrontare la deportazione.

Ho appena trascorso una settimana incontrando persone molto arrabbiate e molto spaventate. Lilian, per esempio, che fa le pulizie in una casa a Södertälje. George, che fa lavori saltuari e vive con altri in un seminterrato a Göteborg. Jakob, che ha 20 anni e va a scuola a Gustavsberg, fuori Stoccolma. Non mi hanno voluto dire i loro veri nomi per paura di essere identificati, sia in Svezia che a casa, perché sono tutti cristiani iracheni andati in Svezia e le cui richieste di asilo sono state rifiutate. Una cosa che trovano difficile da comprendere. Ho visto la sentenza della Corte che ha confermato il rifiuto alla richiesta di Jakob e nella quale sono citate diverse minacce contro di lui e la sua famiglia in Iraq con le quali si richiedeva loro la conversione all'Islam pena l'uccisione. Una di queste minacce fu consegnata da otto uomini mascherati armati di pistole che fecero irruzione nel loro appartamento a Baghdad una mattina presto. Tutti raccontano storie simili, di rapimento e riscatto, di chiese bombardate, di minacce di morte.

Ricorso

Queste persone sono perplesse per l'atteggiamento delle autorità svedesi.
Non ci sono diritti umani in Svezia, dicono, persino gli animali sono trattati meglio qui. Sleale per quanto sia questa è una posizione che ho sentito più di una volta.
Sono stato condotto ad incontrare Lilian da Nuri Kino, un giornalista che ha dedicato molto tempo alla situazione dei richiedenti asilo iracheni in Svezia.
Sull'autostrada verso Södertälje mi dice che questa mattina ha parlato al telefono con l'avvocato di Lilian cui era stato appena stato detto che il ricorso di Lilian era stato respinto.
L'avvocato, dice Kino, non ha avuto ancora il coraggio di dirlo a Lilian - e neanche lui lo farà.
Entrambe le mani si staccano dal volante mentre gesticola furiosamente.
La città ha una numerosa comunità di cristiani assiri arrivati dalla Turchia, dal Libano, dall'Iraq e dalla Siria.
Nuri stesso è uno di loro. Nato in Turchia è arrivato in Svezia durante la crisi di Cipro del 1974.

'Mettercela tutta'

Sodertalje è stata una calamita per i richiedenti asilo provenienti dall'Iraq dalla caduta di Saddam. Nuri la chiama Mesopotalje.
Ci sono diversi motivi per cui le persone fuggite dall'Iraq hanno scelto la Svezia.
Tra essi la reputazione del paese per la sua generosità (iniziata negli anni 70 quando furono accolti i rifugiati provenienti dal Cile dopo la caduta di Allende), l'esistenza di una comunità irachena in cui sentirsi al sicuro ed una rete consolidata di trafficanti di persone.
Ma la Svezia è ormai stanca di essere ingenua.
"Ci aspettavamo un maggior grado di solidarietà dai nostri vicini dell'Unione europea," mi dice Tobias
Billstrom, il ministro responsabile per l'asilo.
Negli ultimi due anni la Svezia ha espulso più di 500 iracheni.
La deportazione è ciò di cui Lilian ha paura.
Non è sposata, entrambi i genitori sono morti ed i fratelli hanno trovato rifugio in Canada e in Australia.
Non ha molte speranze a Baghdad senza protezione maschile.
"Non ho un posto dove andare" dice "Dovrò stare in aeroporto".
In Svezia ce la mette tutta per sopravvivere vivendo qua e là, a volte a Soderhamn, a volte a Stoccolma. Il suo unico reddito regolare sono le poche centinaia di corone svedesi che guadagna facendo le pulizie.
Nuri la assilla per il fumo. "Hai mangiato oggi?" le chiede, "O vivi solo di caffè e sigarette? Tu vuoi ucciderti. "
"In ogni caso potrei anche semplicemente buttarmi da un ponte" ribatte Lilian.
Sta scherzando, credo.

La condanna delle NU

Abbiamo finito di parlare e Lilian guarda Nuri. "No" dice lui. Sa che lei vuole chiedergli del suo ricorso.
"Nuri" implora lei.
"No. Non lo so", dice. "Dobbiamo andare a parlare con il tuo avvocato".
Lei dice qualcosa in arabo e lui cede: "Sei stata respinta", dice.
Lilian è tranquilla in un primo momento cercando di assorbire la notizia "OK", dice a bassa voce. Ma poi si arrabbia e comincia a singhiozzare.
"Perché?" dice, "Perché?"
Durante la settimana in cui mi trovo in Svezia giunge la notizia di un volo di espulsione.
Cinquantasei iracheni vengono imbarcati sull'aereo. La deportazione è condannata dalle Nazioni Unite che insistono sul fatto che non sia sicuro inviare gli iracheni a Baghdad.
"Ma se una persona riceve una risposta negativa alla sua richiesta di asilo, deve andarsene", dice Tobias Billstrom. "Perché altrimenti avremmo l'immigrazione libera e non è questo che il popolo svedese vuole. Il nostro obiettivo è di intensificare la nostra politica di ritorno."
Una cosa che Lilian non vuole sentire.
Un paio di giorni dopo Nuri va a prenderla a Stoccolma e mangiamo un gelato in un parco. Lilian ride e scherza.
La sua situazione non è cambiata, ma c'è il sole e lei è venuta a patti con quest'ultimo ostacolo.
Ha bisogno di quel tipo di resilienza per sopravvivere.