By Avvenire, 30 agosto 2010
di Luca Geronico
Strisciante, dimenticata e tenace come l’indifferenza in cui avviene: è la persecuzione contro i cristiani. La denuncia di René Guitton – ex corrispondente di France 2 dal Marocco, ora della casa editrice Calmann-Levy – è raccolta in Cristianofobia, tradotto in italiano da Lindau.
René Guitton, il suo dossier non ha scosso la vecchia Europa. Due risoluzioni al Parlamento europeo e poco altro. Non è ancora una “questione politica”...
In Francia non c’è stata nessuna presa di posizione del governo, solo una petizione di 82 deputati. Se va ricordato l’importante lavoro fatto al Parlamento europea da Mario Mauro, non si può certo parlare di mobilitazione. Una inazione che in Francia spiego con la deformazione del concetto di laicità: la separazione fra Chiesa e Stato, nata per rispettare la libertà di coscienza di tutti, è diventata una sorta di terrorismo intellettuale di certi laicisti. Non è alla moda dire: «Sono cristiano»; questo ancor più da quando la Chiesa è sotto attacco su vari fronti. Se poi, giustamente, in Europa politici e società protestano quando ci sono profanazioni contro le religioni minoritarie – gli ebrei e i musulmani – le autorità non pensano si debba difendere il cristianesimo, in enorme maggioranza numerica. E quindi silenzio e indifferenza.
Quale tragedia dimenticata, tra le altre, vorrebbe ricordarci?
Quello più trascurata, direi, è il genocidio armeno: non si ricorda mai che gli armeni sono dei cristiani che ancora oggi i turchi considerano come cittadini di secondo livello. Oggi in alcuni villaggi cristiani si vive una vera miseria.
Che fare?
L’Ue potrebbe fare pressioni diplomatiche per togliere dai documenti l’obbligo di indicare la religione. Un motivo di discriminazione.
Neanche fra i cattolici sembra esserci una piena consapevolezza del problema. Non crede?
Certo, un deficit di sensibilità dovuto a diverse ragioni. La Chiesa soffre di disaffezione e questo costituisce un freno alla coscienza di appartenere a una comunità cristiana planetaria. Inoltre i cristiani soffrono di un senso di colpa per il colonialismo, percepito come una responsabilità europea, e per i silenzi che la Chiesa avrebbe avuto verso la Shoah. Un duplice senso di colpa fa sì che il concetto di nazione cristiana non esista in Europa. Fra i musulmani e in estremo Oriente, invece, la fede viene prima della nazionalità: si è prima di tutto induista e poi, per esempio, indiano.
Una sottovalutazione dell’identità cristiana. Ma la reazione non rischia di portare a crociate culturali?
No, nessuna crociata culturale. Bisogna che i governi prendano coscienza di questa situazione. Sinora ci sono state solo azioni individuali come quelle della Merkel in Algeria, che ha stigmatizzato le espulsioni dei cristiani. Dopo di che, si potrebbe passare ad azioni diplomatiche, non certo contrapponendo alla cristianofobia l’islamofobia e la giudeofobia. Questo è impensabile anche se gli estremisti, per giustificare le loro azioni, parlano delle guerre in Iraq e in Afghanistan come di una «crociata». Tuttora in arabo per definire un europeo si usa la parola «nazareno». Solo con il dialogo si può spezzare questo meccanismo culturale e sono fondamentali gli incontri interreligiosi. Il re dell’Arabia Saudita, custode dei luoghi santi dell’islam, ha reso visita a Benedetto XVI nel novembre del 2008: un fatto importantissimo. La lettera dei 138 saggi al Papa è un tentativo da parte islamica di trovare delle soluzioni. Siamo solo all’inizio ma vi è la coscienza che sia improrogabile la necessità di fermare con il dialogo la cristianofobia.