By Inside Over
Marco Gombacci
Abbiamo incontrato a Bruxelles il cardinale Louis Raphaël I Sako, Patriarca
di Babilonia dei Caldei e presidente dell’Assemblea dei vescovi
cattolici d’Iraq. Nominato cardinale da Papa Francesco nel maggio 2018,
si trovava nella capitale belga per incontrare i vertici delle
istituzioni europee per sottoporre alla loro attenzione la difficile
situazione dei cristiani iracheni tutt’ora vittime di discriminazioni e
persecuzioni.
Come è la situazione dei cristiani iracheni al giorno d’oggi? Si possono vedere segnali di un ritorno alla vita normale?
Rispetto ad un anno fa la situazione sta migliorando, specialmente nella Piana di Ninive
(l’area a maggioranza cristiana nel nord dell’Iraq, ndr). Circa la metà
della popolazione è ritornata nei loro villaggi ma il resto dei
cristiani sta aspettando la ricostruzione delle loro case e vivono
ancora ad Erbil (Kurdistan iracheno) sotto il protettorato della Chiesa
cattolica caldea e con l’aiuto delle associazioni misericordiose come Aiuto alla Chiesa che Soffre
e la Caritas. Pochissimi governi ci stanno aiutando nel nostro
tentativo di ricostruire abitazioni, strade, reinstallare l’elettricità
pubblica, rifornire la zona con acqua potabile e soprattutto creare
posti di lavoro per i giovani cristiano-iracheni. Abbiamo il timore che
senza lavoro, i giovani siano i primi costretti a migrare, lasciando
così la loro terra.
Nonostante questo lento ritorno alla normalità, i cristiani
continuano ad essere discriminati e questo non è più accettabile.
L’Europa ha impiegato troppo tempo a capire che è nel suo interesse far
si che i cristiani non disappaiano dall’Iraq. Noi
viviamo in queste terre da millenni e abbiamo imparato come parlare e
convivere con i musulmani. Siamo cittadini iracheni a tutti gli effetti.
Chiediamo all’Unione europea di aiutarci a fare pressioni sullo Stato
iracheno per eliminare dalla carta d’identità la dicitura “cristiano”
poiché vogliamo la separazione tra Stato e religione. Richiediamo anche
l’uguaglianza tra uomo e donna e l’abolizione dei matrimoni con ragazze
minorenni.
L’Unione europea e i paesi europei possono fare molto per aiutare i
cristiani iracheni. Innanzitutto l’UE può fare delle pressioni sul
governo iracheno per garantire il rispetto dei diritti umani di tutti i
cittadini (non solo quelli delle minoranze). Anche l’educazione ricopre
un ruolo fondamentale. Invitiamo l’Europa a chiedere al governo iracheno
e a quello di tutti i paesi islamici di cancellare nei libri di testo
scolastici tutte le espressioni discriminatorie nei confronti dei
cittadini non musulmani. C’è da segnalare che vi sono due paesi europei
in prima linea nell’aiuto dei cristiani iracheni: l’Ungheria, attiva già da tempo, e ora l’Austria, su promessa personale del cancelliere austriaco Sebastian Kurz.
Ma le istituzioni dell’Unione europea in quanto tali non stanno
aiutando per niente i cristiani iracheni! Esse elargiscono gli aiuti
attraverso le Nazioni Unite che non sono presenti dove ci sono le
comunità cristiane. Proprio in questi giorni mi trovo a Bruxelles per
spiegare che gli aiuti europei non potranno mai
arrivare ai bisognosi se continueranno a passare attraverso l’Onu o i
vari governi. Noi, come comunità cristiane, abbiamo la possibilità di
gestire autonomamente i finanziamenti e non capiamo perché la UE
continui a ritenerci non meritevoli del suo sostegno diretto.
Come si può sconfiggere il radicalismo islamico in un’area così tumultuosa come quella Medio orientale?
L’Islam politico introdotto e divulgato in Iraq dall’esterno è estremamente nocivo poiché favorisce il radicalismo.
Si continua a promuovere una lettura letterale del Corano invece di
un’interpretazione con una chiave di lettura più moderna. Ovunque io
vada chiedo agli imam di rivedere i loro insegnamenti per renderli
compatibili, non con il VII secolo, ma con l’epoca contemporanea.
Durante la dittatura (di Saddam Hussein, ndr), vivevamo in sicurezza
ma senza libertà. Ora abbiamo tutta la libertà che vogliamo ma viviamo
alla mercé delle varie milizie e tribù. Non abbiamo abbastanza
protezione e chiunque può entrare in una casa di un cristiano e
minacciarlo o ucciderlo senza che nessuno, o quasi, dica nulla. Il nuovo
Presidente iracheno, il Primo ministro, e il Presidente del parlamento
sono persone molto accorte e sagge ma hanno bisogni di aiuto e l’Europa
deve supportarli.
Anche in Europa vediamo il diffondersi di un radicalismo
islamico pericoloso. Cosa può consigliare agli europei, come sconfiggere
questa tendenza?
L’Europa ha ceduto al relativismo tanto tempo fa. Ho saputo che non
ci sono più lezioni di religione nelle scuole belghe, o al massimo solo
classi di Islam. Agli europei piace parlare di “Islamofobia” ma ora
bisognerebbe parlare di “cristianofobia”! In tutto il Medio oriente,
i cristiani sono pronti a morire piuttosto che disconoscere la propria
fede e in Europa, molti mussulmani sono pronti a morire piuttosto che
vivere in un continente dove gli “infedeli” dettano legge. L’Europa non
si deve vergognare dei propri valori cristiani come noi, cristiani
iracheni, abbiamo sempre difeso i nostri valori e le nostre radici in
Medio oriente riuscendo a creare una società plurale, almeno fino a poco
tempo fa.
Come bisognerebbe comportarsi con i jihadisti europei che si
sono arruolati nell’Isis? Istituire un tribunale internazionale in
Siria, Iraq o in Europa?
L’assenza di giustizia non è mai un bene. Ogni paese deve essere
responsabile per i propri cittadini e deve rimpatriare i propri
jihadisti e giudicarli in Europa. È incomprensibile come alcuni dei
foreign fighters, che tanti danni hanno arrecato in Iraq, siano tornati
in Europa senza subire nessuna conseguenza.