By Asia News
La regione mediorientale non è in grado di “sopportare” un’altra guerra, che rappresenterebbe “un disastro per tutti”. È quanto ha sottolineato il primate caldeo, card Louis Raphael Sako, ricevendo nella sede patriarcale nel fine settimana l’incaricato di affari dell’ambasciata Usa a Baghdad Joey Hood. Intanto un razzo [ignoti gli autori del lancio] è caduto ieri nella “Zona Verde” della capitale irakena, poco distante dalla rappresentanza diplomatica statunitense e il presidente Donald Trump è tornato a minacciare Teheran.
La regione mediorientale non è in grado di “sopportare” un’altra guerra, che rappresenterebbe “un disastro per tutti”. È quanto ha sottolineato il primate caldeo, card Louis Raphael Sako, ricevendo nella sede patriarcale nel fine settimana l’incaricato di affari dell’ambasciata Usa a Baghdad Joey Hood. Intanto un razzo [ignoti gli autori del lancio] è caduto ieri nella “Zona Verde” della capitale irakena, poco distante dalla rappresentanza diplomatica statunitense e il presidente Donald Trump è tornato a minacciare Teheran.
In questo momento di grande tensione, il patriarca Sako ha
sottolineato che è “urgente focalizzare” gli sforzi di entrambi le parti
“per calmare la situazione” e rilanciare l’invito a un “dialogo
civile”. Bisogna fare il possibile, ha aggiunto il porporato, per
“scongiurare qualsiasi tipo di soluzione militare”. Pronta la risposta
dell’incaricato di affari Usa, secondo il quale gli Stati Uniti “sono
consapevoli” delle conseguenze nel caso in cui si continui ad
“alimentare” questo scontro.
Interpellato da AsiaNews il card Sako conferma “la grande
paura fra la gente” per un possibile, nuovo scontro. “Personalmente -
aggiunge - non credo vi sarà una guerra, perché sarebbe un disastro per
tutti: per l’Iran, per i Paesi vicini come l’Iraq, il Libano, la Siria e
con implicazioni regionali, l’Arabia Saudita. Tutti sarebbero
coinvolti”. Bisogna essere “molto prudenti e dialogare”, aggiunge il
porporato, secondo cui “il pericolo sono i gruppi fondamentalisti e le
milizie armate che vogliono provocare americani e iraniani,
trascinandoli alla guerra. Dobbiamo pensare - conclude - agli 80 milioni
di cittadini iraniani”.
Un possibile conflitto
fra Repubblica islamica e americani è uno dei grandi temi di queste
settimane, oltre che elemento di grande timore fra le diplomazie
internazionali. Ad innescare l’escalation della tensione, la decisione
del presidente Usa Donald Trump nel maggio dello scorso anno di ritirarsi dall’accordo nucleare (Jcpoa) raggiunto a fatica dal predecessore Barack Obama, introducendo le più dure sanzioni della storia contro Teheran.
Una decisione che ha provocato un significativo calo nell’economia iraniana - confermato da studi Fmi - e un crollo nel petrolio, obiettivo della seconda parte delle
misure in vigore dal 4 novembre scorso. In risposta, l’Iran nelle
scorse settimane ha deciso di “riaprire” al nucleare ritirandosi da
alcuni impegni “minori e generali” previsti dall’accordo sull’atomica. All’annuncio di Teheran ha fatto seguito l’invio di navi da guerra e bombardieri nelle acque del Golfo da parte degli Stati Uniti e incidenti navali dai contorni poco chiari.
Ieri il presidente Usa Trump ha inviato un messaggio durissimo alla
leadership di Teheran, affermando che la Repubblica islamica sarà
distrutta nel caso di una guerra fra i due Paesi. “Se l’Iran vuole
combattere - ha scritto in un tweet l’inquilino della Casa Bianca - sarà
la fine ufficiale per l’Iran. Non provate mai più a minacciare gli
Stati Uniti!”. Una retorica bellicosa in cui assicura che non permetterà
mai all’Iran di “sviluppare armi nucleari”.
Se Trump alimenta la retorica del conflitto, dalle parti di Teheran
si cerca di stemperare la tensione. “Non vi sarà una guerra - ha
sottolineato il ministro iraniano degli Esteri Mohammad Javad Zarif
all’agenzia Irna - dato che noi non vogliamo la guerra e
nessuno può nutrire l’illusione di affrontare l’Iran nella regione”. Al
capo della diplomazia di Teheran si aggiungono le parole del capo dei
Pasdaran, il generale Hossein Salami, secondo cui gli ayatollah “non
sono in cerca di un conflitto”, mentre gli Stati Uniti “hanno paura
della guerra e non la cercheranno”.
Nello scontro a distanza fra Washington e Teheran si inserisce anche
Riyadh, che accusa l’Iran per una serie di incidenti avvenuti di recente
nella regione. Nel fine settimana il principe ereditario saudita
Mohammed bin Salman (Mbs) ha discusso al telefono degli sviluppi
politici, diplomatici e militari nella regione con il segretario di
Stato Usa Mike Pompeo. Confermando il colloquio, il ministro saudita
degli Esteri Adel al-Jubeir ha dichiarato che “noi vogliamo pace e
stabilità nella regione, ma non resteremo inermi di fronte ai continui
attacchi iraniani”