By Vatican News
Cecilia Seppia
Tocca diversi temi in questa lunga intervista, il card. Sako che oltre ad essere patriarca di Babilonia dei Caldei è presidente dei vescovi cattolici in Iraq e lo scorso febbraio è stato nominato da Papa Francesco membro del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. In queste ore si trova a Bruxelles presso la sede della Comece (Commissione delle Conferenze episcopali europee) e sta incontrando i rappresentanti delle istituzioni europee, in particolare la Commissione Ue e gli Affari Esteri per sottoporre alla loro attenzione la questione dell’Iraq e dei cristiani iracheni ancora troppo spesso discriminati e oggetto di persecuzioni. Il patriarca di Babilonia dei Caldei ha anche avuto modo di vedere con il supporto della Comece i rappresentanti delle varie Chiese e organizzazioni ecclesiastiche per motivarli ad un sostegno di preghiera e azione. Nelle sue parole, la condizione dei cristiani, il monito all’Europa ad impegnarsi in quei Paesi dove c’è la guerra e ad essere in primo luogo Unione di pace, l’azione concertata di governi e istituzioni per affrontare la sfida epocale del fondamentalismo islamico che continua a colpire seminando morte e distruzione come accaduto in Sri Lanka, durante gli attacchi di Pasqua.
Ci sono progressi in Iraq. La sicurezza è migliorata a Baghdad, ma anche in altre città, e il nuovo governo vuole fare delle riforme, ma ci vuole tempo e un accordo con gli altri. Dal punto di vista militare l’Is è stato sconfitto, ma l’ideologia è ancora forte; bisogna risolvere il problema del fondamentalismo musulmano. Spetta alle autorità musulmane fare delle riforme per affrontare la modernità e il pluralismo che noi viviamo, la diversità delle religioni, le diversità etniche … É brutto, orribile oggi uccidere qualcuno perché non è della mia religione e penso che la grande sfida per il mondo intero sia il fondamentalismo musulmano. È come una bomba, semina il panico un po’ dappertutto. Tutti devono collaborare per sconfiggere questa ideologia.
Cecilia Seppia
Tocca diversi temi in questa lunga intervista, il card. Sako che oltre ad essere patriarca di Babilonia dei Caldei è presidente dei vescovi cattolici in Iraq e lo scorso febbraio è stato nominato da Papa Francesco membro del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. In queste ore si trova a Bruxelles presso la sede della Comece (Commissione delle Conferenze episcopali europee) e sta incontrando i rappresentanti delle istituzioni europee, in particolare la Commissione Ue e gli Affari Esteri per sottoporre alla loro attenzione la questione dell’Iraq e dei cristiani iracheni ancora troppo spesso discriminati e oggetto di persecuzioni. Il patriarca di Babilonia dei Caldei ha anche avuto modo di vedere con il supporto della Comece i rappresentanti delle varie Chiese e organizzazioni ecclesiastiche per motivarli ad un sostegno di preghiera e azione. Nelle sue parole, la condizione dei cristiani, il monito all’Europa ad impegnarsi in quei Paesi dove c’è la guerra e ad essere in primo luogo Unione di pace, l’azione concertata di governi e istituzioni per affrontare la sfida epocale del fondamentalismo islamico che continua a colpire seminando morte e distruzione come accaduto in Sri Lanka, durante gli attacchi di Pasqua.
Ci sono progressi in Iraq. La sicurezza è migliorata a Baghdad, ma anche in altre città, e il nuovo governo vuole fare delle riforme, ma ci vuole tempo e un accordo con gli altri. Dal punto di vista militare l’Is è stato sconfitto, ma l’ideologia è ancora forte; bisogna risolvere il problema del fondamentalismo musulmano. Spetta alle autorità musulmane fare delle riforme per affrontare la modernità e il pluralismo che noi viviamo, la diversità delle religioni, le diversità etniche … É brutto, orribile oggi uccidere qualcuno perché non è della mia religione e penso che la grande sfida per il mondo intero sia il fondamentalismo musulmano. È come una bomba, semina il panico un po’ dappertutto. Tutti devono collaborare per sconfiggere questa ideologia.
Lei si trova a Bruxelles presso la sede Comece e sta incontrando
le istiutuzioni europee. Che cosa può fare l’Unione Europea per
sostenere gli iracheni, i cristiani in Medio Oriente?
Fare pressione sui governi in Medio Oriente affinché vengano
rispettati i diritti dell’uomo. Questo è fondamentale! Poi, può aiutare
la gente per arrivare ad un accordo comune per salvaguardare tutte
queste componenti che sono irachene e non sono rifugiati. Qui i
musulmani hanno tutti i diritti; in Iraq, in Siria i cristiani sono
soggetti a discriminazione, ma talvolta c’è anche una persecuzione in
nome della religione. Questo non è accettabile. L’assemblea
internazionale, ma soprattutto l’Unione Europa che consce la situazione è
vicina anche a questi Paesi; deve questi Paesi a fare un progresso
soprattutto per quanto riguarda il tema della cittadinanza.
L’Iraq è un Paese a maggioranza musulmana, il 95 per cento degli
abitanti per l’esattezza… Sul fronte del dialogo interreligioso sono
stati fatti dei passi avanti, Eminenza, anche sotto la sua guida?
Sì, noi abbiamo formato un comitato di dialogo cristiani,
musulmani, sciiti, sunniti, ma anche yazidi due anni fa e abbiamo fatto
un gran progresso in questo senso. Sono venuti due volte al patriarcato i
vari rappresentanti per fare questo incontro, ma anche io sono andato a
Kerbala dai sunniti … Veramente, fra noi c’è una buona intesa. C’è una
volontà di realizzare la convivenza pacifica. Abbiamo anche preparato un
libretto in cui ogni regione si presenta e questo aiuta nella
conoscenza reciproca ma anche per intavolare delle riforme, nel rispetto
delle diversità, per mettere a punto programmi educativi nelle scuole.
Abbiamo incontrato anche il Presidente della Repubblica, abbiamo fatto
due marce, una tutti insieme a Kerbala; la gente veniva a salutarci, io
avevo la talare con la croce in una città totalmente musulmana sciita,
un segno forte. Abbiamo fatto conferenze stampa e chiesto anche ai media
di aiutarci a divulgare questo messaggio di fraternità e la gente
diceva: “Siamo contenti che almeno i capi religiosi vengono a trovarci!
Sono in strada, con noi”. Invece i politici non possono uscire dalla
zona verde. Penso sia una testimonianza molto importante. Dopo abbiamo
dialogato su come cercare oggi un messaggio religioso positivo per i
nostri fedeli cristiani, musulmani, sciiti e sunniti.
Il dialogo interreligioso credo che sia anche una sfida che
attende l’Europa in vista delle elezioni europee. Recentemente c’è stata
anche una lettera dei vescovi europei che hanno richiamato i cittadini
al voto e hanno elencato una serie di sfide per l’Europa, tra queste,
l’immigrazione, il lavoro, il rispetto della vita, sfide che Lei,
Eminenza, condivide? Secondo il suo punto di vista, quali sono appunto
le urgenze per il Vecchio Continente?
Penso che il mondo intero deve pensare ad un altro livello per
la pace, ma in particolare l’Europa. Gli occidentali hanno capito che le
guerre non servono a nulla, perciò solo il dialogo aiuta alla pace, e
il rispetto delle dignità umana; sono 70 anni che non si hanno più
guerre in Occidente. E allora bisogna pensare a quei posti dove ci sono
guerre e conflitti, ad esempio in Medio Oriente quattro o cinque Paesi
ad oggi sono in guerra e la gente muore. Quindi c’è una responsabilità
umana, ma anche morale, di aiutare questa gente in difficoltà.
Eminenza che input le arrivano da Papa Francesco? Quanto sono
importanti per l’Iraq e i Paesi dove non c’è pace i suoi richiami, gli
appelli...
Molto. Penso ad esempio alla visita del Santo Padre ad Abu Dhabi, ma
anche quella in Marocco. Lui ha fatto un lavoro ottimo quando ha firmato
il documento sulla Fratellanza Umana con il Grande Imam di Al-Azhar. Ma
soprattutto la Messa è stato un momento importante. Milioni di
musulmani hanno seguito la Messa celebrata ad Abu Dhabi; donne, ragazzi,
ragazze, uomini, bambini, tutti pregavano con rispetto e silenzio,
insieme e questo era impensabile, perché per loro uomini e donne non
possono mai pregare insieme. È una scoperta! Poi gli inni, la musica, le
preghiere, le letture, l’omelia hanno colpito il mondo musulmano ed io
ho sentito tanti musulmani dire: “Ma noi non sapevamo che voi pregate
così”, perché avevano sospetti. Anche quando ho incontrato il Santo
Padre tre settimane fa, l’ho ringraziato per questo gesto e gli ho
chiesto di fare più visite in quella parte del mondo. Mi ha detto che
una persona con tre bambini era venuta a ringraziarlo per la visita e
gli ha domandato: “Ma perché noi musulmani non abbiamo una Messa come
voi?”. Questa è una domanda così intelligente! Come il Papa ha detto:
“Non dobbiamo fare proselitismo”, ma ci sono altre maniere di
testimoniare la nostra fede: la carità, la preghiera, l’amicizia, la
vicinanza, la fraternità.