By Fides
La rapina e le violenze subite in casa da due anziane donne cristiane nella Piana di Ninive da un gruppo armato sono diventate “caso” politico, facendo riesplodere le polemiche sulla mancanza di sicurezza in quell’area dell’Iraq, tradizionale zona di insediamento delle comunità cristiane.
Le due donne – madre e figlia – sono state pestate a sangue lunedì 13 maggio nella loro casa, nella cittadina di Bartella, da una squadra di uomini armati, che dopo aver fatto irruzione nella loro abitazione le hanno massacrate di botte e rapinate dei loro beni. Le due donne si trovano in ospedale, in condizioni gravi. Intanto, Il giorno dopo la violenta rapina, le forze di polizia hanno arrestato due sospetti, che in casa detenevano un vero e proprio arsenale, costituito da tre Kalashnikov, quattro bombe a mano e sette coltelli militari.
La vicenda non viene liquidata sui media locali come un semplice episodio di cronaca nera. Esponenti di organizzazioni cristiane come la professoressa Muna Yaku, docente di giurisprudenza all'Università di Salahaddin di Erbil, collega il pestaggio delle due donne a altre azioni intimidatorie volte a allontanare o tenere lontane le famiglie cristiane dai loro villaggi d’origine, situati nella Piana di Ninive, e da cui i cristiani sono fuggiti tra la primavera e l’estate del 2014, quando l’intera area era caduta sotto il controllo delle milizie del sedicente Stato Islamico (Daesh). Richieste veementi di indagare sulla vicenda criminale e di individuare e punire i colpevoli sono arrivate anche da Rayan al Kildani, capo delle “Brigate Babilonia”, gruppo politico nato come milizia armata, che ha sempre rivendicato la propria etichetta di milizia composta da cristiani, anche se risulta documentato il loro collegamento con milizie sciite filo-iraniane.
La Piana di Ninive era in passato un’area di convivenza etnica e religiosa, dove vivevano insieme arabi sunniti, cristiani, curdi, shabak, yazidi. Molti dei gruppi minoritari della zona sono stati costretti a fuggire quando Daesh ha preso il controllo di Mosul.
A Bartella, nonostante gli appelli delle gerarchie ecclesiastiche e le iniziative di solidarietà e sostegno economico, meno di un terzo delle 3.800 famiglie cristiane fuggite al tempo dell’occupazione jihadista sono tornate alle proprie case.
La Piana di Ninive continua a essere al centro di interessi regionali e operazioni di gruppi etnico-religiosi diversi, con esponenti delle comunità cristiane che lanciano allarmi periodici denunciando tentativi di alterare i tradizionali equilibri demografici dell’area. In passato (vedi Fides 2/2/2018), Khalil Jamal Alber, direttore generale per gli affari cristiani presso il Ministero per le dotazioni religiose (Awqaf) del governo della Regione autonoma del Kurdistan iracheno, aveva sostenuto che le Forze di mobilitazione popolare – milizie di matrice sciita presenti sul territorio della Piana di Ninive – stavano ponendo in atto un vero e proprio tentativo di modificare la composizione multi-religiosa e multi-etnica della popolazione della Piana, a scapito della componente cristiana. Tale programma, a detta di Khalil Jamal Alber, veniva portato avanti attraverso il trasferimento nella regione di popolazione sciita proveniente anche dall'Iraq meridionale, e con forme di intimidazione e di pressione sociale messe in atto anche da esponenti della gruppo etnico religioso Shabak.
La rapina e le violenze subite in casa da due anziane donne cristiane nella Piana di Ninive da un gruppo armato sono diventate “caso” politico, facendo riesplodere le polemiche sulla mancanza di sicurezza in quell’area dell’Iraq, tradizionale zona di insediamento delle comunità cristiane.
Le due donne – madre e figlia – sono state pestate a sangue lunedì 13 maggio nella loro casa, nella cittadina di Bartella, da una squadra di uomini armati, che dopo aver fatto irruzione nella loro abitazione le hanno massacrate di botte e rapinate dei loro beni. Le due donne si trovano in ospedale, in condizioni gravi. Intanto, Il giorno dopo la violenta rapina, le forze di polizia hanno arrestato due sospetti, che in casa detenevano un vero e proprio arsenale, costituito da tre Kalashnikov, quattro bombe a mano e sette coltelli militari.
La vicenda non viene liquidata sui media locali come un semplice episodio di cronaca nera. Esponenti di organizzazioni cristiane come la professoressa Muna Yaku, docente di giurisprudenza all'Università di Salahaddin di Erbil, collega il pestaggio delle due donne a altre azioni intimidatorie volte a allontanare o tenere lontane le famiglie cristiane dai loro villaggi d’origine, situati nella Piana di Ninive, e da cui i cristiani sono fuggiti tra la primavera e l’estate del 2014, quando l’intera area era caduta sotto il controllo delle milizie del sedicente Stato Islamico (Daesh). Richieste veementi di indagare sulla vicenda criminale e di individuare e punire i colpevoli sono arrivate anche da Rayan al Kildani, capo delle “Brigate Babilonia”, gruppo politico nato come milizia armata, che ha sempre rivendicato la propria etichetta di milizia composta da cristiani, anche se risulta documentato il loro collegamento con milizie sciite filo-iraniane.
La Piana di Ninive era in passato un’area di convivenza etnica e religiosa, dove vivevano insieme arabi sunniti, cristiani, curdi, shabak, yazidi. Molti dei gruppi minoritari della zona sono stati costretti a fuggire quando Daesh ha preso il controllo di Mosul.
A Bartella, nonostante gli appelli delle gerarchie ecclesiastiche e le iniziative di solidarietà e sostegno economico, meno di un terzo delle 3.800 famiglie cristiane fuggite al tempo dell’occupazione jihadista sono tornate alle proprie case.
La Piana di Ninive continua a essere al centro di interessi regionali e operazioni di gruppi etnico-religiosi diversi, con esponenti delle comunità cristiane che lanciano allarmi periodici denunciando tentativi di alterare i tradizionali equilibri demografici dell’area. In passato (vedi Fides 2/2/2018), Khalil Jamal Alber, direttore generale per gli affari cristiani presso il Ministero per le dotazioni religiose (Awqaf) del governo della Regione autonoma del Kurdistan iracheno, aveva sostenuto che le Forze di mobilitazione popolare – milizie di matrice sciita presenti sul territorio della Piana di Ninive – stavano ponendo in atto un vero e proprio tentativo di modificare la composizione multi-religiosa e multi-etnica della popolazione della Piana, a scapito della componente cristiana. Tale programma, a detta di Khalil Jamal Alber, veniva portato avanti attraverso il trasferimento nella regione di popolazione sciita proveniente anche dall'Iraq meridionale, e con forme di intimidazione e di pressione sociale messe in atto anche da esponenti della gruppo etnico religioso Shabak.