By Avvenire
3 novembre 2018
Luca Geronico
3 novembre 2018
Luca Geronico
La campana ha iniziato a suonare di nuovo. Rintocchi secchi che dal quartiere di Sheqaq, adesso si odono in tutta Qaraqosh. A fianco la cappellina, 10 metri per 20, costruita grazie alla donazione di alcuni «amici cattolici americani». Una scommessa vinta per padre Jalal Yako, rogazionista tornato nella natia Qaraqosh da cui era fuggito, con tutti gli altri cristiani, la notte del 6 agosto 2014.
Dall'agosto
dell'anno scorso, quando Mosul era stata liberata solo da un mese, è
rientrato nella Piana di Ninive ancora semi-disabitata. Appena possibile ha riaperto la missione nel quartiere Sheqaq: una schiera di case popolari costruite più di una decina di anni
fa su terreni della Chiesa per ospitare le famiglie cristiane fuggite
da Baghjdad e Mosul durante la prima ondata di terrorismo del dopo
guerra in Iraq: quella di al-Qaeda.
«Adesso sono circa 300 famiglie cristiane, quasi tutte siro-cattoliche.
Alcune abitavano già a Sheqaq nel 2014, altre sono arrivate in cerca di
una comunità dove ricominciare occupando le case di chi invece è
fuggito all'estero», spiega padre Jalal Yako. Il primo desiderio, in
questa periferia alla periferia del mondo, è stato di «avere un
cappellina al posto del garage dove ci riunivamo a pregare». Una
cappellina, all'interno della parrocchia di San Benan e Sara, per
«essere vicini ai più poveri». Il campanile, una struttura essenziale, è
stato costruito grazie ai fondi di “Fraternité d'Iraq”, associazione
francese. La campana è stata recuperata dal campo Ashti 1, ad Ankawa,
il sobborgo di Erbil dove per tre anni padre Jalal Yako è stato il
“parroco dei profughi”. E la cappellina, come la chiesa di Ankawea, sarà
dedicata alla trasfigurazione.
La campana era giunta dall'Italia due anni, un regalo di alcuni amici di Padova e della congregazione dei Rogazionisti. Il 24 ottobre, grazie a un autocarro, la campagna è giunta a Qaraqosh. Dopo una veloce manutenzione è stata messa in funzione.
Un
segno di speranza, mentre si spera di riprendere la tradizionale
attività di allevamento di pollame e in un raccolto migliore per il 2019,
dopo che la siccità quest'anno ha bruciato tutto. «Intanto, ogni sera,
vado a recitare il rosario e a condividere la Parola di Dio nelle
famiglie che mi ospitano. Dopo un anno le ho visitato tutte almeno una
volta», conclude padre Jalal. La vita, sia pure a fatica riprende
quattro anni dopo la fuga forzata per l'avanzata dei diavoli neri del
Daesh. Una vita adesso scandita dai rintocchi della campana di Ashti 1.