"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

5 novembre 2018

La fuga di Azeez

By Città Nuova
Tamara Pastorelli

Azeez Sadeq viveva nella piana di Ninive, a Qaraqosh, la città cristiana più importante dell’Iraq. La sua era una vita normale, simile a quella di un qualsiasi altro diciottenne, fatta di amici, sport, famiglia, scuola, finché la sua tranquilla routine non fu interrotta dall’arrivo dei miliziani del sedicente “stato islamico”.
«Era il 6 agosto 2014 – racconta Azeez, oggi ventiduenne altissimo e affusolato, dai folti capelli neri e ricci –. Ci misero di fronte ad una scelta: convertirci, diventare musulmani e pagare un riscatto o… essere decapitati. Abbiamo dovuto abbandonare la nostra casa e la nostra città in fretta e furia, solo con i vestiti che portavamo addosso. Siamo stati fortunati a riuscire a scappare»!
Così, Azeez e la sua famiglia si incamminano, tra la folla anonima dei profughi cristiani che fuggono dalla Piana di Ninive. Non si hanno cifre esatte di quell’esodo, si parla di circa 60 mila persone fuggite nella notte tra il 6 e il 7 agosto, forse 120 o 150 mila in totale.
«Era come vivere dentro un film d’azione – confessa Azeez –, in cui non capivo la differenza tra ciò che mi stava realmente accadendo e ciò che stavo immaginando dentro alla mia testa». I suoi ricordi, passo dopo passo, sono come tanti flash: la coda dei rifugiati, l’angoscia della gente che camminava a piedi, le lacrime, i soldati, le persone che dormivano per la strada. Normalmente, il viaggio per raggiungere Arbil, nel Kurdistan iracheno, richiedeva mezz’ora d’auto, invece, quel giorno, durò circa dodici ore e, aggiunge Azeez: «noi, io e la mia famiglia, siamo stati fortunati perché viaggiavamo in auto, sennò ci avremmo messo ancor più tempo! »
Dopo Arbil, la famiglia Sadeq si dirige verso nord, verso la città di Dohuk. «Lì, siamo rimasti per circa due mesi. Quello è stato un periodo molto doloroso per noi, perché abbiamo aspettato settimane, nella disperata speranza di poter tornare a casa, ma la nostra città continuava ad essere occupata dai terroristi».
Rabbia, rassegnazione, disperazione, nella testa e nel cuore di Azeez non c’è pace: tutto questo è volontà di Dio? Uno strano e durissimo test da superare, una lezione da imparare?
«Ad un certo punto, mi sono reso conto che se fossi rimasto radicato nella mia sofferenza, non sarebbe cambiato nulla e non sarei stato in grado di andare avanti – confida Azeez –. Così, ho pensato a Gesù, quando, inchiodato sulla Croce, attraversa quel momento difficile, dove si sente abbandonato anche da Dio, suo Padre, e grida: “Perché mi hai abbandonato?”. Anche io mi sentivo impotente come Lui, indifeso come Lui, solo, e abbandonato come Lui. Così, mi sono affidato a Gesù e ho deciso di vivere pienamente il momento presente, pensando che se fossi riuscito anche solo a far sorridere mio fratello, avrei apportato un cambiamento, nonostante tutto quello che mi era successo».
In viaggio con la loro, c’è anche la comunità Yazidi, un popolo a cui i terroristi non avevano concesso l’opportunità di fuggire: avevano ucciso gli uomini, violentato le donne, e quelli che erano riusciti a scappare si ritrovavano disperati, sconsolati. «Ho vissuto con loro una meravigliosa esperienza, dimenticando le mie ferite per consolarli».
Poi, dopo due mesi di esilio, i genitori di Azeez prendono la decisione di trasferirsi in Francia, perché il paese offriva loro asilo. «Siamo arrivati a Lyon, il 26 ottobre del 2014. Alcune persone straniere ci hanno accolto e aiutato in tanti modi! In quei momenti, sentivo davvero come se Dio stesso lavorasse attraverso queste persone gentili per consolare i miei genitori» racconta ancora Azeez.
Così, per la famiglia Sadeq, comincia una nuova vita. «All’inizio, specialmente per i miei genitori, è stato molto difficile, perché in Iraq occupavano posti di lavoro importanti, mentre in Francia, dovevano adattarsi a mestieri più “normali” e poi, imparare il francese è stato più difficile per loro».
Oggi, Azeez si è diplomato, ha potuto iscriversi all’università e, oltre alla sua lingua madre, l’aramaico, la lingua di Gesù, e l’arabo, parla correntemente francese e inglese. Ci confida: «Oggi ho perdonato Daesh, e credo che, come giovani, possiamo essere il cambiamento che vogliamo vedere in questo mondo: basta osare sognare un mondo di pace e di amore, e cercare di essere strumenti di pace lì dove siamo, ricominciando sempre. Questo è il mio motto per la vita».