"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

16 ottobre 2018

Sinodo, la denuncia del patriarca Sako: nell’Instrumentum Laboris si parla poco dei giovani cristiani perseguitati

Francesco Gnagni

“L’importante non è il documento finale. Il Sinodo non è un parlamento politico. Ma ci sono pastori, dunque l’importanza è: cosa ognuno di noi porta per i nostri giovani e fedeli? Quale spirito, e speranza, possiamo dare loro? Nell’Instrumentum Laboris si parla di tutti i problemi ma poco di questi giovani cristiani perseguitati. Nei circoli minori ne abbiamo parlato. Una grande responsabilità cade su vescovi e preti, loro sono pastori e padri, che ascoltano e accompagnano, e devono ascoltare la realtà della gente e non della nostra, che è diversa. I loro sogni, speranze, paure. Anche preti, seminaristi, religiosi e religiose hanno paura di impegnarsi nel sacerdozio, come i giovani nel matrimonio. Nel Vangelo si parla della luce, del sale e del lievito. Noi siamo gente molto sensibile a questi piccoli gesti, simboli”.
Lo ha affermato il cardinale Louis Raphaël I Sako, Patriarca di Babilonia dei Caldei, Capo del Sinodo della Chiesa Caldea, in Iraq, in Sala stampa vaticana durante il briefing quotidiano sui lavori del Sinodo sui giovani.
“Io ritorno tra due settimane, ho molto imparato e prenderò con me tante cose. Ho già cominciato a scrivere in arabo per la nostra gente, loro non hanno la possibilità di seguire”, ha spiegato Sako. “Per me il sinodo è stato una scuola. Abbiamo molto imparato, dentro è una micro chiesa rappresentata da tutto il mondo, che è diverso. Per me è il quarto sinodo, ma questo è molto diverso. Nel modo di ragionare e anche analizzare tutte le sfide dei giovani, i loro problemi, ma soprattutto cercare un linguaggio comprensibile per parlare con loro. Questo è nuovo. Noi come Chiesa siamo abituati a un linguaggio tradizionale. Noi, come i nostri padri della Chiesa all’inizio hanno cercato un linguaggio logico per parlare di Gesù Cristo e del Regno di Dio al mondo, oggi dobbiamo cercare un altro linguaggio. Secondo me oggi la Chiesa è uscita dal palazzo, è molto vicina e solidale con il mondo, soprattutto con i giovani. Ci sono 35 giovani, e io ne speravo di più. Noi siamo 268 padri. Ma hanno preso molto la parola”.