Salvatore Cernuzio
Uno parla dello «svuotamento» del Medio Oriente della sua
componente cristiana, quasi «un peccato mortale». L’altro denuncia
invece la piaga della droga nel suo Brasile e in tutta l’America latina
che miete più vittime di una guerra e colpisce una famiglia su tre. Lo
sguardo universale del Sinodo si riflette nel briefing di oggi in Sala
Stampa vaticana, dove il cardinale iracheno Raphael Louis Sako,
patriarca di Babilonia dei Caldei, e l’arcivescovo Jaime Spengler della
diocesi brasiliana di Porto Alegre condividono con i giornalisti le
preoccupazioni - già espresse in aula - per «il male» che travolge i
giovani delle loro terre.
Ad accompagnarli ci sono anche il cardinale Peter Turkson, prefetto
del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale, l’uditrice
suor María Luisa Berzosa González, direttrice della rivista spagnola Fe
y alegría, e, come sempre, il prefetto del Dicastero per la
Comunicazione, Paolo Ruffini, che ha annunciato la notizia di un
pellegrinaggio dei padri sinodali per gli ultimi 6 chilometri della Via
Francigena. Un’iniziativa, questa, proposta durante i lavori del Sinodo
che si terrà giovedì 25 ottobre, dalle 8.30 alle 11; il percorso
inizierà dal Parco di Monte Mario e si concluderà nella basilica di San
Pietro, dove alla Tomba dell’apostolo sarà celebrata una messa da
monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la
Nuova evangelizzazione che organizza il pellegrinaggio. Sono in corso le
iscrizioni dei padri sinodali, ha spiegato Ruffini, e ancora si stanno
definendo i dettagli. Per ora, ha riferito il prefetto a Vatican Insider, non è prevista alcun tipo di partecipazione del Papa.
Prendendo la parola, Sako - alla sua quarta assemblea sinodale - ha
definito quella nell’aula vaticana «una micro ecclesia da tutto il
mondo», che seppur nelle sue diversità - «Il Medio Oriente non è
l’America, l’America non è l’Africa, l’Africa non è l’Europa» - si sta
dimostrando coesa nel «ragionare e analizzare le sfide dei giovani e i
loro problemi». In particolare il patriarca, creato cardinale da
Francesco nel giugno scorso, ha voluto accendere i riflettori sul dramma
dei rifugiati iracheni, circa 4 milioni in totale (120mila cristiani)
in fuga negli anni scorsi dalle violenze dell’Isis e rimasti a vivere in
campi profughi in Libano, Giordania e Paesi limitrofi perché
impossibilitati ancora a ritornare nelle loro case.
«Molti sono giovani» e di loro si è parlato troppo poco durante le
plenarie del Sinodo ma molto più nei Circoli minori, ha detto il
patriarca lamentando lo «svuotamento» della sua terra che ha definito
«un peccato mortale». «Noi cristiani d’Oriente se andiamo via abbiamo
perso identità e un patrimonio ricchissimo», per questo Sako dice di
plaudere alla Ungheria di Viktor Orbán «che, se non ho capito male,
invece di ricevere i rifugiati ha donato cinque milioni per ricostruire
case e scuole».
A chi osservava che anche dagli Stati Uniti sono stati indirizzati
fondi per gli stessi obiettivi, frutto anche di molte campagne “per i
cristiani perseguitati”, Sako ha risposto laconicamente che: «Noi per
ora non abbiamo visto niente. Ci sono promesse, ma nella realtà finora
non c’è niente. Bisogna invece aiutare questa gente a tornare nelle loro
case, incoraggiare i cristiani a rimanere sul posto, aiutarli ad avere
un lavoro, a riparare la casa, dare loro una speranza».
«Non capiamo perché la situazione è peggiorata», ha aggiunto il
primate caldeo. E le domande rimangono ancora in sospeso: «Perché
uccidere le persone? Chi c’è dietro all’Isis? Perché adesso più di tre
milioni di iracheni hanno dovuto lasciare le loro case? Chi ricostruirà?
L’Iraq non ha soldi…».
Sulla questione è intervenuto il cardinale Turkson che ha spiegato
come il suo ufficio stia coordinando diversi aiuti provenienti da
organizzazioni di Chiese americane. «Arrivano contributi anche da
singoli cittadini o da appartenenti alle Chiese, a livello di governo
vengono fatti annunci ma non succede nulla». Attualmente è in via di
definizione un progetto per la ricostruzione delle case dei rifugiati:
«Ma queste case devono essere costruite dove si trovano ora i rifugiati o
nei loro luoghi di provenienza? Bisogna fare una panoramica della
situazione attuale», ha sottolineato Turkson. «Come facciamo ad essere
certi che vogliano tornare?».
Diverso lo scenario ma uguale l’apprensione di monsignor Spengler per
il Brasile che ha denunciato soprattutto i danni provocati dalla droga
che «fa parte della vita di tanti giovani e famiglie», tanto che «le
statistiche affermano che si muore più in Brasile che nella guerra in
Siria».
Frase, questa, accolta con una smorfia dal patriarca Sako che,
interpellato proprio sulla sua espressione facciale, ha chiarito che non
ci può essere un paragone tra questo fenomeno sociale latinoamericano e
quella che è una tragedia umanitaria nel Medio Oriente: «Là sono
giovani liberi, da noi spesso sono innocenti ad essere uccisi».
E' vero, «sono realtà diverse», ha precisato Spengler, ma accomunate
entrambe dalla «crudeltà». In Brasile «le vittime sono giovani, i grandi
spacciatori sono seminatori di morte, ci sono settori della società e
del mondo politico che vogliono la liberazione di alcuni tipi di droga,
si promuove così la dipendenza ma dopo lo Stato non si impegna a curare
queste persone. Sono residui, sono i crocifissi di oggi che la società
ha difficoltà a guardare. E tantissime famiglie vivono questa realtà
difficile… Ogni fine settimana c’è una carneficina nelle periferie della
grandi città». Per non parlare degli stessi giovani «che soffrono e
sentono quanto è difficile fare la strada o il cammino del ritorno». In
tutto il Sudamerica, ha aggiunto il vescovo, «la Chiesa fa un lavoro
straordinario in questo ambito della vita cercando di aiutare i ragazzi e
creando spazi dove loro forse possono reinserirsi in società».
Sempre monsignor Spengler ha individuato altre due sfide che
accomunano i giovani di tutti i continenti: il cosiddetto «cambiamento
di epoca», «un tempo di conquiste straordinarie nel campo della scienza e
della tecnica» che però non si sa «quanto bene crei e per quante
persone», poi la «globalizzazione» che «produce cambiamenti a cui
attingono tutti» dando tuttavia la priorità a «produttività, consumo e
guadagno». «Come possiamo, noi pastori, rispondere alle necessità dei
giovani che vivono questa realtà nel quotidiano?», è stata la domanda
del vescovo.
Per Turkson bisogna scrivere «un manuale della vita», al pari di un
libretto di istruzioni degli elettrodomestici, per aiutare i giovani ad
orientarsi e maturare. Per Sako si dovrebbe «cercare un linguaggio
comprensibile per parlare» con le nuove generazioni: «Siamo abituati
come Chiesa ad un linguaggio tradizionale che però non parla, bisogna
trovare un nuovo vocabolario». Soprattutto bisogna farlo oggi, in un
tempo in cui «la Chiesa è uscita dal palazzo, è solidale con il mondo e
con i giovani» ha detto Sako, non nascondendo una lieve critica una
scarsa presenza di ragazzi al Sinodo proprio a loro dedicato: «Speravo
ci fossero più giovani, 34 è un po’ poco, mentre noi siamo circa 260
padri…».
Nel suo breve intervento suor Maria Luisa ha spiegato - quasi in
risposta alle polemiche che circolano da ieri sul ruolo marginale delle
donne al Sinodo - di sentirsi «molto coinvolta» nelle discussioni.
«Voglio difendere la Chiesa da dentro e non essere una spettatrice.
Certo, le donne dovrebbero essere più presenti, ma se noi donne nella
Chiesa non abbiamo la porta spalancata e c’è però una fessura ci
infiliamo subito».
Ruffini, infine, ha riferito che sono state consegnate a Papa
Francesco 1.509 cartoline di giovani francesi appartenenti alle otto
diocesi dell’Ile-de-France che hanno partecipato ad un incontro
pre-sinodale a Lourdes. Rispondendo ad un’altra domanda, ha confermato
che il documento finale sarà votato punto per punto, non in blocco, e
con la maggioranza dei due terzi, come già previsto dal
regolamento pubblicato su L'Osservatore Romano.