By Riforma
Sara Tourn
In un articolo pubblicato online lo scorso 14 settembre, il quotidiano francese di impostazione cattolica La Croix
analizza la complessa situazione del cristianesimo orientale attraverso
due esempi che pongono la questione del legame, talvolta spinoso, tra
le Chiese cristiane d’oriente e le loro diaspore nel mondo.
Nelle ultime settimane il patriarca
copto-ortodosso Tawadros II ha salutato con soddisfazione l’espansione
della sua comunità in Giappone e Australia. Ha inaugurato una chiesa a
Kyoto e un monastero femminile, un grattacielo di 44 piani, nella
modernissima Melbourne. Se quella del Giappone è una diaspora
relativamente piccola, e quella inaugurata è la prima chiesa
copto-ortodossa del Paese, nata per rispondere alle esigenze di fedeli
provenienti da Egitto, Etiopia ed Eritrea, la chiesa copto-ortodossa
australiana è la terza più grande al mondo (dopo Egitto e Stati Uniti),
con 120.000 fedeli.
I rapporti tra nucleo «storico» e diaspore, o
periferie, possono però essere difficili, specie in chiese minacciate
come quelle cristiane irachene, sia nei loro paesi di origine sia in
quelli di approdo.
Ad esempio negli Stati Uniti, tradizionalmente
terra di migrazioni che nei secoli hanno accolto le popolazioni più
diverse, e che stanno ponendo seriamente in discussione questo loro
carattere identitario. Molti cristiani mediorientali hanno trovato
rifugio qui (così come in Europa e Australia), nel passato e ancora più
ne avrebbero bisogno oggi che le loro terre sono travolte dalle
violenze.
Questo spinge i patriarchi a compiere viaggi e
visite in queste diaspore per cercare in qualche modo di accompagnarle
nel loro percorso «al di fuori della loro culla storica». Louis Raphaël
Sako, patriarca cattolico iracheno, dal 2013 patriarca di Babilonia dei
Caldei, alla fine di agosto è stato ricevuto da diversi gruppi giovanili
della diocesi di San Diego. Il patriarca ha rimarcato la necessità di
«creare dei ponti» fra loro, ormai californiani, e i loro giovani
fratelli nella fede iracheni. Insieme alla diocesi di San Tommaso a
Detroit, quella di San Pietro a San Diego è una delle più importanti del
Paese: insieme contano circa 170.000 fedeli e quindici comunità. Il
futuro della Chiesa caldea è pertanto anche nelle mani di queste
comunità e della loro capacità di essere solidali con i loro fratelli
rimasti in Iraq, ha sottolineato il patriarca.
La situazione delle chiese di diaspora non è facile, ha spiegato a La Croix
il professor Christian Cannuyer (Facoltà di Teologia dell’Università
cattolica di Lille, direttore dell’associazione «Solidarité Orient» in
Belgio): «Da una parte hanno la preoccupazione di valorizzare la loro
identità, senza creare dei ghetti comunitari, di mantenere una vita
parrocchiale incentrata sulle tradizioni, ma anche quella di stringere
legami con le comunità rimaste in patria. Esiste inoltre, sicuramente,
la volontà dei patriarcati di invogliare i cristiani al ritorno in
patria, anche se quelli che lo fanno davvero sono pochi, e più l’esilio
si prolunga, più questa volontà si affievolisce».
E ha continuato: «La possibilità di un’estinzione,
o quanto meno di una riduzione della comunità cristiana a una
percentuale davvero ristretta in Iraq non è più un’ipotesi angosciosa,
ma un futuro abbastanza prossimo». Il patriarca ha moltiplicato, negli
ultimi mesi, gli appelli, soprattutto ai fedeli originari di Mossul e
delle città della piana di Ninive, liberate dal giogo jihadista, «a
riprendere rapidamente le loro terre prima che altri lo facciano», per
ritrovare «la loro identità e il loro patrimonio».
Eppure sappiamo quanto sarà difficile per loro rispondere a questo appello.
Eppure sappiamo quanto sarà difficile per loro rispondere a questo appello.
La Croix
14/09/2017
Les patriarches orientaux soignent les liens avec leur diaspora